Green claim: ecolabel e marchi al vaglio UE
In attesa di pubblicazione la Direttiva europea approvata il 17 gennaio 2024
Il tema dei green claim è sempre più caldo. La Direttiva europea destinata a disciplinarli è stata approvata dal Parlamento in data 17 gennaio 2024.
Il “ green claim ” consiste in un’affermazione con cui un’impresa promuove la propria sostenibilità ambientale e l’impatto positivo sull’ambiente.
Uno dei modi per esprimere i green claim, modo che va sempre più diffondendosi, è rappresentato dalle ECOLABEL. Si tratta di marchi di qualità green apposti su beni e servizi al fine di indicare, per l’appunto, che essi rispondono a determinati criteri di matrice ecologica, come il valore delle emissioni di CO2, lo smaltimento dei rifiuti, la sicurezza e la salute.
Tali marchi sono stati adottati sempre più spesso dalle imprese per lo più come strumenti di comunicazione volti a migliorare la percezione dell’azienda ma, al contempo, tramite esse è possibile per l’acquirente fare all’acquisto, scelte più consapevoli.
Si pensa subito ai consumatori, ma si tenga conto che, sempre più spesso, i grandi gruppi globali richiedono ai loro fornitori il rispetto di solidi criteri ESG.
Di frequente, le ECOLABEL sono rilasciate da enti certificatori sia governativi che indipendenti. A loro il compito di valutare la rispondenza del prodotto o del servizio sottoposto al loro esame a comprovati e verificabili criteri di sostenibilità. Ma il risultato non è sempre ottimale: secondo la Commissione europea tra le stesse etichette europee di sostenibilità il livello di trasparenza riscontrato non è sempre adeguato, in violazione delle norme poste a tutela del consumatore così come di quelle in tema di concorrenza sleale.
Inoltre, si intuisce che le ECOLABEL possono variare da paese a paese e possono esistere diverse etichette ecologiche specifiche per diverse regioni o settori. Pertanto, è consigliabile fare riferimento alle etichette e ai criteri specifici applicabili nel proprio contesto geografico per valutare correttamente l’impatto ambientale di un prodotto o servizio.
Alcuni esempi noti di ECOLABEL includono l’EU Ecolabel, il marchio Energy Star, il marchio FSC (Forest Stewardship Council), il marchio PEFC (Programme for the Endorsement of Forest Certification), l’etichetta biologica dell’Unione Europea, il marchio Fairtrade e molti altri.
In Europa l’esempio più noto e autorevole è il caratteristico “ fiore ” dell’etichetta basata sul Regolamento Europeo Ecolabel n. 66/2010 che a oggi viene attribuito a una quindicina di categorie di prodotti: in tutto 888045 prodotti dai detersivi alle calzature passando per i prodotti tessili e materassi.
L’etichetta Ecolabel dovrebbe quindi consentire al consumatore una scelta consapevole, assicurando l’acquisto di un prodotto/servizio ecologico perché meno dannoso per l’ambiente, in quanto assicura, per esempio, di contenere l’inquinamento idrico e atmosferico durante i processi di produzione.
Le certificazioni come l’ISO 14001 o i marchi di ecoetichetta possono quindi fornire una prova oggettiva delle pratiche sostenibili di un’azienda. Queste certificazioni possono contribuire a migliorare la reputazione del marchio e fornire una maggiore tutela in caso di controversie sulle affermazioni ambientali.
Al contrario, le etichette energetiche (come quelle che indicano l’efficienza energetica del nostro frigorifero, per intenderci) non fanno parte della categoria delle ecolabel: sono apposte sugli apparecchi elettrici al solo fine di specificare quanta energia viene consumata durante l’utilizzo dell’apparecchio stesso. Quindi nessun richiamo alla promozione o anche solo al rispetto di criteri ecologici come i valori di CO2.
Tuttavia occorre trasparenza e i marchi non devono essere decettivi, tanto che la normativa europea in tema Direttiva EU prevede uno specifico controllo di qualità.
Allo stesso modo la veridicità delle informazioni è necessaria anche nei green claim , spesso presenti nella etichetta o nella comunicazione di un prodotto ed evocativi di benefici e qualità ecologiche o sostenibili dello stesso e pertanto maggiormente appetibili agli occhi del consumatore.
Infatti nella tipologia dei marchi registrabili si rintraccia anche la categoria dei cd. pay off o slogan ; chi non ricorda ad esempio la frase “JUST DO IT”, che in effetti è stata registrata come marchio.
Gli slogan pubblicitari sono in effetti un elemento fondamentale nelle strategie di marketing e comunicazione pubblicitaria di un’azienda.
Questi slogan concisi ed efficaci, se sapientemente creati, sono capaci di sintetizzare l’essenza di un brand e di trasmettere i valori di un prodotto o servizio coinvolgente.
Secondo i dati raccolti dall’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), le domande di registrazione di marchi che comprendono slogan pubblicitari sono aumentate del 18% tra il 2015 e il 2020. Questa tendenza all’aumento, soprattutto per i green claim conferma la volontà delle aziende di proteggere quello che è diventato un vero e proprio asset strategico.
Affinché uno slogan sia registrabile è necessario innanzitutto il requisito della distintività.
La giurisprudenza europea stabilisce che uno slogan supera il test del carattere distintivo quando, pur essendo destinato a promuovere le vendite, contiene elementi creativi, giochi di parole tali da ricondurre i prodotti a una specifica fonte commerciale.
Al contrario, slogan costituiti da semplici messaggi evocativi o informativi sulla qualità dei prodotti difficilmente potranno essere registrati, poiché il pubblico li percepirà solo come formule pubblicitarie, non idonee ad individuare un’origine commerciale definita.
Diversi slogan sono stati rifiutati dagli Uffici Marchi in quanto considerati poco distintivi come ad esempio “La tua pelle merita di essere trattata bene” per prodotti cosmetici, in quanto considerata priva di capacità distintiva; decisione dell’Ufficio Marchi italiano riconfermata in Corte di Cassazione.
Tuttavia allo stesso tempo un elemento che può determinare ex post la nullità dello slogan come marchio è sicuramente la decettività dello stesso.
L’art. 21, comma 2, del Codice della Proprietà industriale stabilisce infatti il divieto di usare il marchio in modo da indurre in inganno il pubblico circa “la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato”.
Tale principio vale anche per gli slogan e pertanto qualora lo stesso venga provato essere ingannevole per il pubblico può essere dichiarato nullo dall’Ufficio marchi presso cui era stato depositato.
Come si può notare, anche la normativa sui marchi è stata ispirata dal fine di tutelare i consumatori e di indurre alla trasparenza nella comunicazione, in quanto un messaggio ingannevole, specialmente nel settore della sostenibilità, potrebbe risultare fuorviante per il consumatore ma allo stesso tempo falsare i piani della concorrenza tra le imprese, avvantaggiando quelle magari meno meritevoli.
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*A cura di di Clizia Cacciamani, Senior partner di Innova&Partner e Francesca Sutti, partner Studio WLex