Civile

L'agricoltore aggredito da un cinghiale della vicina riserva naturale doveva autoproteggersi

di Paola Rossi

L'amministrazione non risarcisce l'agricoltore per le lesioni personali subite da un cinghiale, mentre svolge la propria attività in un fondo adiacente a un'oasi naturale di ripopolamento abbandonata a se stessa e, in particolare, non recintata per evitare sconfinamenti della fauna selvatica al di fuori dell'area. La Corte di cassazione con la sentenza n. 5722 depositata ieri ha escluso che l'attività di controllo della fauna selvatica comporti per l'ente regionale l'obbligo di recintare le riserve dedicate all'introduzione o alla proliferazione di specifiche specie della fauna selvatica. Anzi, spetta al privato recintare la propria proprietà a fini di autoprotezione.

La richiesta di danni - Il coltivatore diretto era stato aggredito in Sicilia da un esemplare di cinghiale proveniente da un'area che - nell'ottica di stabilire un equilibrio tra le specie animali sul territorio - era stata destinata all'introduzione e riproduzione di cinghiali. Adite le vie legali per ottenere il risarcimento del danno patito, l'agricoltore - secondo i giudici di appello che avevano riformato la sentenza di primo grado e ora secondo la Cassazione - avrebbe mancato di indicare quale fosse la norma violata dalla Pa per la mancata recinzione dell'area. I giudici sostengono, infatti, che tale obbligo non sussista affatto in via astratta e che il coltivatore doveva indicare la norma speciale che avrebbe imposto l'adozione di recinti da parte del soggetto pubblico .

La responsabilità per gli animali selvatici - La responsabilità di un ente pubblico - per i danni derivanti da animali selvatici - scatta solo quando si è in presenza di un allarme generalizzato o di una specifica segnalazione di pericolo e questo resti inerte non adottando alcuna misura di contenimento e di affrontamento del rischio. Nella sentenza spicca, anzi, la netta affermazione che solo il privato sia tenuto a esercitare la propria facoltà di delimitare il territorio di cui è proprietario al fine di "autoproteggersi". Praticamente un "obbligo di recintare" che invece non sussiste inversamente per la Regione che persegua una politica di ripopolamento di animali selvatici in via di estinzione.

Il controllo - A nulla è valsa anche l'altra argomentazione del coltivatore diretto che puntava il dito contro lo stato di abbandono dell'area. Divenuta fonte di un'incontrollata presenza di cinghiali nella zona. La Cassazione spiega che - anche se può sembrare squilibrato - la legge attribuisce una maggiore e diretta responsabilità al privato che detiene un animale per i danni che questo provoca, mentre non sussiste automaticamente in capo all'ente pubblico che gestisce il territorio e la fauna.Quindi, la Pa, in ipotesi di danno provocato da un animale selvatico, risponde solo per colpa ai sensi dell'articolo 2043 del Codice civile e non in base all'articolo 2052 (danno cagionato da animali). Ciò determina, in un caso come questo, che l'onere probatorio è completamente affibbiato al privato che deve appunto "provare", in assenza dell'ipotesi della violazione di un obbligo da parte dell'amministrazione, tanto la colpa quanto il nesso causale tra danno ed evento determinato dalla condotta illecita. Nello specifico il ricorrente indicava come violato l'articolo 4 della legge regionale siciliana n. 33/1997 , che attribuisce all'assessorato regionale agricoltura e foreste il controllo della fauna declinandolo in una serie di compiti e attività senza mai citare un obbligo di recintare le aree che, a tali fini, gestisce.

Corte di Cassazione – Sezione III – Sentenza 27 febbraio 2019 n. 5722

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