Penale

Nesso di causalità: c’è effetto interruttivo quando l’evento è eccentrico rispetto al rischio

di Giuseppe Amato

Ai fini dell'apprezzamento dell'eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l'evento (articolo 41, comma 2, del Cp), il comportamento successivo può avere valenza interruttiva non perché eccezionale, ma perché eccentrico rispetto al rischio che il garante è chiamato a governare: in effetti, tale eccentricità potrà rendere in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento, ma ciò è una conseguenza accidentale, in quanto l'effetto interruttivo può e deve essere individuato in qualsiasi circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che, appunto, il garante è chiamato a governare. Lo hanno stabilito i giudici penali della Cassazione con la sentenza n. 33329 del 28 luglio 2015.

La teoria del rischio - In questa prospettiva, in cui è la teoria del rischio a guidare nell'apprezzamento dell'eventuale effetto interruttivo, anche il fatto illecito altrui non esclude in radice l'imputazione dell'evento al primo agente, che avrà luogo fino a quando l'intervento del terzo, in relazione all'intero concreto decorso causale della condotta iniziale all'evento, non abbia soppiantato il rischio originario; cosicché l'imputazione non sarà invece esclusa quando l'evento risultante dal fatto del terzo possa dirsi realizzazione sinergica anche del rischio creato dal primo agente.

L’importanza della sentenza - La sentenza si segnala per una innovativa ricostruzione della disciplina dell'interruzione del nesso causale per effetto di una causa sopravvenuta (articolo 41, comma 2, del Cp), che, esplicitamente, si riallaccia a considerazione già sviluppate dalle sezioni Unite nella sentenza 24 aprile 2014, Espenhahn.

Il principio sintetizzato, secondo la Corte, si applica anche all'attività medica, quando cioè la prima condotta illecita sia costituita dalla condotta terapeutica inappropriata di un primo medico. Di regola, si sostiene, ciò non comporta l'interruzione del nesso causale, perché il rischio terapeutico resta solitamente il medesimo, anche se diversamente declinato. Possono, peraltro, verificarsi situazioni nelle quali ad un primo errore di un sanitario, ne segua un altro che innesca un rischio nuovo, incommensurabile, letale, con la conseguente interruzione del nesso causale.

Un caso di errore diagnostico - La Cassazione ha fatto applicazione del principio in una fattispecie in cui una pluralità di medici erano stati chiamati a rispondere della morte di una paziente affetta da ascesso tonsillare, deceduta prima dell'intervento chirurgico programmato per l'esecuzione di una tracheotomia resa necessaria dall'ingravescenza della patologia e morta in conseguenza di un grave errore dell'anestesista, il quale nel dare corso, senza esito, a un'anestesia generale con somministrazione di curaro e intubazione, aveva provocato, con il curaro, un effetto miorilassante con paralisi dei muscoli respiratori e totale occlusione delle vie respiratorie, di guisa che la paziente, nonostante l'effettuazione di una tracheotomia in emergenza, era deceduta.

Ha osservato la Corte che i diversi errori diagnostici e terapeutici in cui erano incorsi, prima dell'intervento, i primi medici che l'avevano seguita durante il ricovero, avrebbero potuto avere rilevanza nel corso dell'esecuzione dell'atto chirurgico, ma, poiché l'intervento non era stato eseguito, e la morte era stata determinata dall'errore dell'anestesista, si era in presenza di un rischio nuovo rilevante per ascrivere l'addebito morte all'anestesista, con esclusione del nesso causale tra l'evento letale e la condotta dei primi sanitari.

Corte di cassazione – Sezione IV penale – Sentenza 28 luglio 2015 n. 33329

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