Civile

L'eliminazione di passività fittiziamente iscritte in bilancio non genera sopravvenienze attive imponibili ai sensi dell'art. 88 del TUIR

Con la recente sentenza n. 26314 del 19 novembre 2020 la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sul tema dell'imponibilità delle sopravvenienze attive rilevate in bilancio a fronte di una sopravvenuta insussistenza di passività fittiziamente iscritta in un precedente esercizio, affermando che la componente positiva emersa deve essere assoggettata a tassazione nell'esercizio in cui si manifesta solo se e a condizione che l'insussistenza della posta passiva da cui origina sia sopravvenuta e non originaria

di Martina Bettarini

Nel caso oggetto della pronuncia, la controversia verteva sulla corretta interpretazione dell'art. 88 del TUIR e, in particolare, sul corretto trattamento fiscale da riservare ad una sopravvenienza attiva emersa a seguito dell'eliminazione di poste passive rilevate nel bilancio di un esercizio precedente a fronte di pagamenti per operazioni inesistenti, sanate dal contribuente in virtù dell'adesione al c.d. condono tombale previsto dall'art. 9, legge 27 dicembre 2002, n. 289.

Ad avviso della contribuente, la componente attiva iscritta in bilancio a seguito della riduzione della passività per operazioni ab origine inesistenti non poteva qualificarsi come sopravvenienza attiva tassabile ai sensi dell'art. 88 del TUIR, mentre secondo la tesi dell'Amministrazione finanziaria il presupposto di imponibilità di tale componente attiva doveva intendersi realizzato per il solo fatto che questa era stata iscritta in bilancio per la "sopravvenuta insussistenza di passività" iscritte in un esercizio precedente.

In tale contesto interpretativo, i giudici di legittimità, pur confermando che il disposto normativo di cui all'art. 88 del TUIR «inserisce tra le sopravvenienze attive da dichiarare anche "la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritti in bilancio in precedenti esercizi"», hanno chiarito che sulla base di tale definizione deve desumersi «che la sopravvenienza deve essere dichiarata (e tassata) nell'esercizio in cui si manifesta solo se la posta passiva sia stata già iscritta in precedenti bilanci e se la sua insussistenza sia sopravvenuta e non originaria, derivi cioè da eventi ulteriori che ne modifichino l'effettività, e non già, a contrario, se ne rilevi l'originaria inesistenza soltanto in un momento successivo», dovendosi quindi ritenere inapplicabile al caso di specie il disposto normativo di cui all'art. 88 del TUIR.

Ad avviso della Suprema Corte, infatti, dal «concetto di sopravvenienza attiva», il quale «implica che una spesa, una perdita o una passività, già iscritta in bilancio, fosse reale ed esistente, e che successivamente, per qualsiasi ragione, prevedibile o imprevedibile, la sua operatività od effettività sia venuta meno, od anche che abbia subito una variazione quantitativa favorevole», deve considerarsi «estranea l'ipotesi di una posta passiva (spesa o perdita o qualsiasi altra passività) iscritta in un determinato bilancio, ancorché inesistente perché documentata da atti o fatture false materialmente o ideologicamente o giuridicamente non dotate dei requisiti formali per essere portate in deduzione» e ciò, in quanto, «in tal caso la circostanza che i bilanci degli esercizi successivi siano indirettamente influenzati dalla falsità o insussistenza della perdita o passività già iscritta nulla toglie al fatto oggettivo che gli effetti tributari della passività indebitamente iscritta si siano già realizzati in relazione all'esercizio in cui la perdita è stata realizzata».

Pertanto, la sopravvenienza attiva si realizza solo con il venir meno di una passività effettivamente esistente, con la conseguenza che la componente attiva iscritta in bilancio a seguito della riduzione di una passività rilevata in bilancio a fronte di operazioni ab origine inesistenti e/o fittizie non può considerarsi tale e non deve quindi essere assoggettata a tassazione ai sensi dell'art. 88 del TUIR.

L'approdo cui giungono i giudici di legittimità appare condivisibile, sebbene si inserisca in una materia su cui l'orientamento giurisprudenziale risulta ancora oggi non univoco.

In seno alla Suprema Corte, infatti, si sono sviluppati due orientamenti tra loro confliggenti. In alcune pronunce, i giudici hanno ritenuto che la sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi costituisca sopravvenienza attiva e si realizzi «in tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, e dunque indipendentemente dal sopraggiungere di eventi gestionali straordinari o comunque imprevedibili, una posizione debitoria, già annotata come tale, debba ritenersi cessata, ed assuma quindi in bilancio una connotazione attiva, come liberazione di riserve, con il conseguente assoggettamento ad imposizione, in riferimento all'esercizio in cui tale posta attiva emerge in bilancio ed acquista certezza" (Cass. n. 20543 del 2006)» (sentenza 8 giugno 2011, n. 12436; nello stesso senso anche le sentenze 14 dicembre 2018, n. 32433; 30 dicembre 2019, n. 34710 e, da ultimo, la sentenza 23 gennaio 2020, n. 1508) e, quindi, anche in caso di eliminazione di passività ab origine inesistenti. In altre pronunce, invece, la Corte ha iniziato a discostarsi da tale orientamento, affermando che «non rientra» nel concetto di sopravvenuta insussistenza di passività recato dall'art. 88 del TUIR «la passività fittizia, cioè inesistente … che non può pertanto equipararsi alle altre passività iscritte nei precedenti esercizi, non fittizie ma esistenti al momento della loro iscrizione, e poi venute meno per fatti sopravvenuti. Ciò in quanto la sopravvenienza attiva si realizza venendo meno successivamente una passività effettivamente esistente, mentre nel caso di specie si tratta di una passività fittizia, che rileva, ai sensi dell'art. 55 TUIR [n.d.r.: art. 88], al momento della sua eliminazione per decisione discrezionale della contribuente» (Cassazione, sentenza del 2 agosto 2017, n. 19219).

Tale secondo filone, in cui si inserisce la recente sentenza n. 26314 del 19 novembre 2020, appare senz'altro più condivisibile rispetto al primo più restrittivo orientamento della Corte; e ciò, anzitutto, perché maggiormente in linea il dato letterale dell'art. 88 del TUIR che, chiaramente, richiede che l'insussistenza sia "sopravvenuta", ossia che sia correlata ad un'iscrizione di una passività originariamente esistente e non fittizia, divenuta insussistente successivamente per eventi e fatti intervenuti.

Inoltre, l'orientamento giurisprudenziale che esclude l'imponibilità della componente attiva iscritta in bilancio a seguito dell'eliminazione di una posta passiva fittizia, consolidatosi con la sentenza qui in commento, si pone, anche, in continuità con le più recenti prese di posizione della prassi amministrativa. L'Agenzia delle Entrate, infatti, da un lato, con la circolare 24 settembre 2013, n. 31/E ha negato l'immediato rilievo fiscale della componente di natura reddituale emersa nel bilancio dell'anno in cui si è operata la correzione di errori contabili commessi nei bilanci relativi ad esercizi precedenti, ritenendo che tale componente «non presenta i presupposti legittimanti né per la deduzione delle sopravvenienze passive ai sensi dell'articolo 101 del TUIR; né per l'assoggettamento a tassazione delle sopravvenienze attive di cui all'articolo 88 del TUIR» e, dall'altro, con la risposta ad interpello del 7 marzo 2019 n. 71 ha confermato la non imponibilità, fino a concorrenza delle spese oggetto di recupero a tassazione, delle sopravvenienze attive emerse in sede di cancellazione di passività iscritte in bilancio e relative ad operazioni inesistenti i cui costi sono stati disconosciuti dall'Amministrazione finanziaria in sede di accertamento.
D'altro canto, ritenere condivisibile il diverso orientamento giurisprudenziale secondo cui anche a fronte dell'eliminazione di una passività iscritta fittiziamente in bilancio emergerebbe una sopravvenienza attiva assoggettabile ad imposta ai sensi dell'art. 88 del TUIR nel momento «in cui viene evidenziata la sua insussistenza» (ordinanza 21 febbraio 2020, n. 4547), significherebbe legittimare lo spostamento in avanti della rilevanza fiscale del componente negativo fittizio dando luogo, da un lato, ad un'arbitraria estensione dei termini di accertamento e, dall'altro, ad un'evidente violazione del principio di competenza.
Senonché è noto come la Corte di Cassazione abbia più volte dichiarato, da un lato, illegittimo l'ingiustificato prolungamento del termine di decadenza per l'accertamento di costi, quali le quote di ammortamento, che danno diritto alla deduzione frazionata in più anni, richiedendo che tale termine decorra, in ogni caso, dalla presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in cui il costo è stato sostenuto ed iscritto in bilancio (ex multis, sentenza 24 aprile 2018, n. 9993).

Sul punto, si segnala anche l'ordinanza interlocutoria n. 10701 del 5 giugno 2020 con cui la sezione tributaria della Corte di Cassazione ha rimesso alla Sezioni Unite la questione relativa all'eventuale dilatazione dei termini di decadenza dall'accertamento degli oneri pluriennali) e, dall'altro, tassative le regole sull'imputazione temporale dei componenti di reddito dettate dall'art. 109 del TUIR, disponendo la loro inderogabilità tanto per il contribuente quanto per l'Amministrazione finanziaria (ex multis, sentenza 13 marzo 2019, n. 7121).

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