Casi pratici

Art. 384 c.p.: avvertimento e convivenza more uxorio

Falsa testimonianza e casi di non punibilità

di Serena Gentile

La causa di non punibilità di cui all'art. 384 comma 1, c.p., operante con riguardo ai delitti contro l'attività giudiziaria, è stata più volte oggetto di attenzione ermeneutica con riguardo alla sua natura e ai limiti di applicabilità. Ancora oggi, infatti, non c'è unanimità di opinioni circa la struttura ontologica di tale istituto, inquadrato come causa di giustificazione nel senso di species del più ampio genus dello stato di necessità, ovvero second lo statuto della scriminante escludente la colpevolezza, o ancora come causa di non punibilità in senso stretto originata per motivi di politica criminale.
Più precisamente, la prima questione rimessa alle Sezioni Unite della Suprema Corte concerne la possibile applicabilità dell'esimente in parola nei confronti del prossimo congiunto dell'imputato che, ritualmente avvisato della facoltà di non rispondere ex art. 199 c.p.p., decida di non avvalersene, deponendo il falso. Nell'occasione, è stata fornita una risposta stringente, volta a non legittimare forme di testimonianza privilegiate in ragione dei rapporti con l'imputato.
Di recente, invece, il Supremo Consesso è stato adito per risolvere un ulteriore quesito, connesso alla possibilità di estendere il concetto di prossimo congiunto al convivente more uxorio ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità in disamina. Questa volta, al contrario, la Corte di legittimità si è espressa in ottica estensiva, ampliando l'ambito di operatività della norma di favore in disamina.
Le Sezioni Unite con la sentenza 14 febbraio 2008, n. 7208 si sono espresse sulla scriminante speciale di cui all'art. 384 c.p., in relazione al reato di cui all'art. 372 c.p., che punisce chi, chiamato a deporre come teste di fronte all'autorità giudiziaria, non comunichi tutto ciò di cui è a conoscenza e non dica il vero. L'art. 384 c.p. prevede due ipotesi diverse. Il comma 1 dispone che: «nei casi previsti dagli artt. (...), non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore». Il comma 2, invece, afferma che «nei casi previsti dagli artt. (...), la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione». Dal punto di vista processuale, la facoltà di astensione dal testimoniare a favore di coloro che si trovano in un rapporto di parentela con la persona imputata o indagata è prevista dall'art. 199 c.p.p. Tale disposizione dispone che è preciso obbligo per il giudice - a pena di nullità - avvisare le persone chiamate a rendere testimonianza che versino in stato di parentela con il prevenuto della facoltà di astenersi dal testimoniare, avvertendoli che qualora non intendono avvalersene incombe su di loro il dovere di verità.
La causa di non punibilità di cui all'art.384 c.p. è sempre stata al centro del dibattito dottrinale pretorio per le diverse posizioni interpretative riguardanti l'esatto inquadramento della sua natura giuridica, per la configurabilità della medesima anche in caso di reato commesso dopo gli avvertimenti di rito e, da ultimo, per l'estensibilità dei suoi effetti anche al convivente more uxorio.


La natura giuridica
La rubrica del 1930 genericamente riporta la dizione "casi di non punibilità", così omettendo qualsiasi indicazione specifica rispetto alla ratio della previsione, tanto da provocare una querelle esegetica ancora oggi non del tutto sedata circa l'effettiva natura giuridica dell'istituto.
Le soluzioni sono sostanzialmente riconducibili a due ipotesi: una, di natura oggettiva, che inquadra siffatto strumento di non punibilità nell'alveo delle cause di giustificazione e, più segnatamente, nella species del più ampio genus dello stato di necessità di cui all'art. 54 c.p. Secondo l'altra prospettiva, invece, l'art.384 c.p. integrerebbe una causa di non punibilità di natura soggettiva, che individuerebbe nella norma una eccezionale circostanza soggettiva di esclusione della punibilità esterna alla fattispecie criminosa. Per completezza, deve anche richiamarsi un orientamento minoritario secondo cui, invece, l'istituto in parola escluderebbe l'elemento soggettivo del reato.
L'esatto inquadramento strutturale non è solo una questione dogmatica, giacchè dall'attribuzione della ratio giuridica derivano gli effetti pratico-applicativi.
Di fatti, se si considera l'art. 384 c.p. una forma speciale di causa di giustificazione ne consegue l'operatività in modo oggettivo, ossia, a prescindere dalla circostanza che la condotta del soggetto agente sia supportata dal necessario requisito psicologico. Inoltre, tale ricostruzione muterebbe a seconda dell'adesione all'una o all'altra delle teorie relative alla struttura del reato. Aderendo alla teoria tripartita, in base alla quale il reato si compone degli elementi della tipicità, antigiuridicità e colpevolezza, la causa di giustificazione si configurerebbe come esclusione dell'antigiuridicità in senso oggettivo e, dunque, elemento collocato al di fuori degli elementi del fatto tipico, con la conseguente possibilità di ammetterne l'operatività sebbene la causa sia ignorata o non conosciuta dal soggetto, e di sganciare la stessa dal divieto di analogia che informa il diritto penale, con possibilità di estenderne gli effetti favorevoli a soggetti diversi da quelli espressamente individuati. Viceversa, aderendo alla teoria bipartita, l'effetto è più stringente : poiché in tal caso il reato si compone di tipicità, nella quale ricercare l'elemento negativo dell'assenza di altre norme dell'ordinamento che facoltizzano il comportamento vietato dalla norma penale, e di colpevolezza, l'art..384 c.p. risponde all'operatività del principio di riserva di legge e del divieto di analogia, con conseguente impossibilità di spiegare i propri effetti nei confronti di soggetti diversi.
La dottrina maggioritaria, aderendo alla concezione tripartita, ravvisa nelle cause di giustificazione delle eccezionali cause di esclusione dell'antigiuridicità. Il fatto è, dunque, tipico, ma non antigiuridico perchè legittimato e scriminato dall'esistenza di una norma dell'ordinamento che lo prevede e lo ritiene lecito.
Con riguardo alla riconducibilità della causa esimente in disamina nello schema dello stato di necessità ex art. 54 c.p., la principale obiezione sollevata è quella relativa alla differenza strutturale tra le due previsioni: lo stato di necessità attiene all'esistenza di un pericolo attuale e inevitabile all'incolumità e alla persona, i "casi di non punibilità" di cui al'art.384 c.p., invece, operano solo in presenza di un danno concreto (alla libertà e all'onore, non all'incolumità fisica). Altresì, si evidenzia, che l'applicazione dell'art. 54 c.p. può aversi solo nei casi in cui la fonte di pericolo provenga da circostanze esterne al soggetto che lo invoca, circostanza del tutto opposta a quella che si contempla nella norma di favore di cui all'art.384 c.p. ove il periculum deriva da uno status personale e da un'autoderminazione libera e consapevole.
Sul versante opposto, parte della dottrina e della giurisprudenza hanno qualificato la norma recante "casi di non punibilità" come causa di esclusione della colpevolezza, in forza dell'operatività del principio di inesigibilità della condotta lecita. Quindi, il fatto sarebbe tipico ed antigiuridico, ma non rimproverabile per l'inesigibilità della condotta posta in essere in una situazione di conflitto psicologico dell'agente.
Un ulteriore indirizzo ermeneutico ha incasellato la causa di non punibilità di cui all'art.384 c.p.p. tra quelle "in senso stretto, cioè strumenti di politica criminale utilizzate dal legislatore per evitare la punibilità di un soggetto per mere ragioni di opportunità sociale.


Gli effetti dell'avvertimento
La Sesta Sezione della Corte di Cassazion nel 2008 ha denunciato un contrasto giurisprudenziale sulle condizioni di applicabilita' della causa di non punibilita' prevista dall'articolo 384 c.p. nell'ipotesi in ad il testimone abbia deposto il falso pur essendo stato avvertito dalla facoltà di astenersi.
Il Supremo Consesso, nell'occasione, ha ribadito che l'art.384 c.p. trova la sua giustificazione nell'istinto alla conservazione della propria liberta' e del proprio onore (nemo tenetur se detegere) e nell'esigenza di tener conto, agli stessi fini, dei vincoli di solidarieta' familiare. La medesima ratio fonda il disposto dell'art. 199 c.p.p., relativo alla facolta' di astensione dal rendere testimonianza in capo ai prossimi congiunti dell'imputato. I due istituti di origine sostanziale e processuale debbono considerarsi profili diversi di un unico strumento predisposto dal legislatore, onde impedire situazioni di conflitto derivanti dal rapporto di congiunzione parentale nelle rime descritte dall'art.307, comma 4°, c.p.
In tale prospettiva, poiché il legislatore ha accordato la facolta' di astenersi dal deporre solo se, ed in quanto, l'interessato reputi di non dovere, o non potere, superare il conflitto di cui si e' detto, deve affermarsi che il soggetto agente è posto nelle condizioni di assumere, proprio in quel momento, una scelta libera e consapevole. L'avvertimento, dunque, costituisce l'occasione concessa dalla legge per evitare la situazione di contrasto psicologico del potenziale testimone. Ciò posto, laddove
il prossimo congiunto accetti di deporre assumerà la qualita' di teste al pari di qualsiasi soggetto, con tutti gli obblighi che ne derivano ex art.198 c.p.p. : con l'avvertimento, infatti, devono intendersi cessate le ragioni che giustificavano la tutela della sua particolare posizione.
Le Sezioni Unite del 2008, pertanto, con la pronuncia n.7208, poiché "..Una interpretazione diversa finirebbe col costituire, come si e' efficacemente osservato, una sorta di grimaldello capace di scardinare l'obbligo di verita' imposto dalla norma processuale, con il pericolo di una totale deresponsabilizzazione del dichiarante, a totale scapito dell'interesse alla corretta amministrazione della giustizia..." hanno affermato il principio di diritto secondo cui "In tema di falsa testimonianza, la causa di esclusione della punibilità prevista per chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore non opera nell'ipotesi in cui il testimone abbia deposto il falso pur essendo stato avvertito della facoltà di astenersi".


La questione giurisprudenziale attuale: è applicabile la causa di non punibilità al convivente more uxorio?
L'art.384 c.p., negli ultimi tempi, è stato oggetto di un ulteriore dibattito, sino a giungere alla richiesta di intervento nomofilattico delle Sezioni Unite. La quaestio attiene all'estensibilità della causa di non punibilità di cui all'art.384 c.p. anche al convivente more uxorio. Nel novembre 2020, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, dovendosi pronunciare sul punto, nell'ordinanza n.1825 ha dato atto del registrato contrasto interpretativo sulla equiparazione dello status di convivente rispetto a quello di coniuge ai fini del riconoscimento dell'istituto in parola.
Secondo un primo orientamento più restrittivo, sulla scia di un'esegesi limitativa offerta dalla Corte Costituzionale rispetto al concetto di convivenza more uxorio (in tal senso Corte Cost. 121 del 2004 e 140 del 2009), ai sensi del combinato disposto dell'articolo 384 c.p., comma 1, e articolo 307 c.p., comma 4, nella nozione di prossimi congiunti non può contemplarsi anche la posizione del convivente qualificato. A tal proposito, la giurisprudenza ha osservato che tale indirizzo non si pone in contrasto con i principi di cui all'articolo 3 Cost., avuto anche riguardo a quanto gia' affermato dalla stessa Corte costituzionale , in particolare con l'ordinanza n. 121 del 2004 (ud. 10/12/2003): gli articoli 307 e 384 c.p. non includono nella nozione di prossimi congiunti anche il convivente "more uxorio", oltre il coniuge, finanche separato di fatto o legalmente. Tra l'altro, a favore dell'esclusione propendono "ragioni costituzionali" che giustificano un differente trattamento normativo tra i due casi, trovando il rapporto coniugale tutela diretta nell'art. 29 Cost., mentre il rapporto di fatto poggia il suo substrato nell'art.2 Cost., norma aperta e ispirata al principio solidaristico a tutela della dignità umana. Ancora piu' di recente, con la sentenza n. 140 del 2009, la Consulta ha ribadito che la convivenza more uxorio e' diversa dal vincolo coniugale in ragione della diversita' delle norme all'uopo, con cui si giustifica la possibilità di trattamenti giuridici non omogenei.
L'orientamento opposto, prevalente nella giurisprudenza dell'ultimo decennio, afferma al contrario che la causa di non punibilita' prevista dall'articolo 384 c.p., comma 1, in favore del coniuge opera anche in favore del convivente "more uxorio" sulla scorta dei principi rinvenibili nell'art.8 CEDU e sostenuti dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo , <<… la quale considera la famiglia in senso dinamico, come una formazione sociale in perenne divenire, e non come un istituto statico ed immutabile, essendo irrilevante che il rapporto familiare sia sanzionato dall'accordo matrimoniale...>>.
nello stesso solco si e' posta Sez. 6 n. 11476 del 19/09/2018, Cavassa Samuel, Rv. 275206 che ha affermato che la causa di non punibilita' prevista dall'articolo 384 c.p.p. e' applicabile anche nei confronti dei componenti di una famiglia di fatto e dei loro prossimi congiunti, dovendosi recepire un'interpretazione "in bonam partem" che consenta la parificazione, sul piano penale, della convivenza "more uxorio" alla famiglia fondata sul matrimonio, argomentandosi che l'equiparazione ai coniugi dei soli componenti di un'unione civile, prevista dal Decreto Legislativo n. 19 gennaio 2017, n. 6, non esclude l'estensione della causa di non punibilita' ai conviventi "more uxorio", trattandosi di soluzione gia' consentita dal preesistente quadro normativo, oltre che dalla nozione di famiglia desumibile dall'articolo 8 CEDU, ricomprendente anche i rapporti di fatto. Siffatta interpretazione innovativa, tuttavia, si scontra con il dato legislativo contenuto nel Decreto Legislativo n. 6 del 2017, conseguente alla c.d. legge Cirinna' del 2016, "Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze", per mezzo del quale è stato positivizzato l'allargamento del concetto di "prossimi congiunti" sino a comprendere i soggetti uniti civilmente, ma non i conviventi di fatto. Rispetto a questo dato normativo, infatti, i sostenitori della tesi contraria continuano ad affermare che tale scelta legislativa non è una svista del legislatore, bensì una decisone normativa specifica di escludere i conviventi more uxorio dall'articolo 307 c.p., comma 4.
Ebbene, sulla base di tali contrasti esegetici il Collegio della Sesta Sezione, ex art.618 c.p.p., ha rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito : "se l'ipotesi di cui all'articolo 384 c.p., comma 1, sia applicabile al convivente more uxorio", cui è stata fornita risposta affermativa all'udienza del 26 novembre 2020 con l'informazione provvisoria n.22. Al momento, la motivazione della decisione non è stata ancora depositata.


Considerazioni conclusive
Tra i punti certi apposti dal Supremo Consesso della Corte di legittimità si pone la ratio della causa di non punibilità in disamina, cioè il principio nemo tenetur se detergere e la salvaguardia dei vincoli di solidarietà familiare.
Come è noto, il Legislatore non ha sancito un divieto assoluto di testimoniare nei confronti dei prossimi congiunti dell'imputato, ma in virtù del conflitto motivazionale in cui questi versano è stata accordata la facoltà di non deporre. Al teste è riconosciuta per legge la facoltà di astenersi solo se e in quanto lo stesso interessato reputi di non potere o non dovere superare il conflitto tra legame familiare e obbligo di verità su di lui incombente.
Nell'ipotesi in cui il prossimo congiunto accetti per libera scelta di deporre, egli assume la qualità di teste alla pari di qualsiasi altro soggetto. In Alcuni casi, è lo stesso dichiarante che supera autonomamente il conflitto motivazionale tra la tutela dell'onore o libertà del prossimo congiunto e l'obbligo di verità: ad esempio, con la presentazione della querela il denunciante non può in un secondo momento invocare sull'applicazione dell'art. 384 c.p. qualora propali dichiarazioni non veritiere.
La questione sugli effetti dell'avvertimento ai fini dell'applicabilità della causa di non punibilità dell'art.384 c.p. è stata risolta dalle Sezioni Unite nel senso di esclusione della medesima allorquando il testimone abbia deposto il falso pur essendo stato avvertito della facoltà di astenersi. Difatti, tra gli obblighi che il congiunto assume nel deporre vi è quello di dire la verità, poichè diversamente opinando si legittimerebbe l'ingresso nel nostro ordinamento di una figura di testimone con la facoltà di mentire incompatibile con il nostro sistema processuale, anche in ragione del valoro probatorio autonomo di tale mezzo dichiarativo.
Ulteriore questione risolta dalle Sezioni Unite è l'estensione della causa di non punibilità di cui all'art.384 c.p. anche ai conviventi more uxorio. Nell'attesa del deposito della motivazione della pronuncia del novembre scorso, deve osservarsi che l'ampliamento della nozione di prossimi congiunti anche al convivente è una soluzione che, sebbene possa apparire collimante rispetto alle scelte legislative recenti, si pone in linea all'interpretazione evolutiva del concetto di famiglia che, oramai, deve intendersi slegato rispetto a quello di cui all'art.29 Cost. fondato sul matrimonio. L'art.2 Cost, infatti, pur con i limiti della genericità, offre fondamenta costituzionali a tutti i diritti inviolabili della persona e, di conseguenza, non consente trattamenti disomogenei allorquando questi non siano dettati da stringenti criteri di ragionevolezza.

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