Civile

I difficili rapporti tra Adr e condominio

di Luigi Salciarini

Questo approfondimento prende l'avvio dalla constatazione che nella mediazione (obbligatoria, di cui al Dlgs 28/2010), qualora un condominio sia una delle parti del procedimento, è inevitabile riscontrare una peculiarità consistente nel fatto che il soggetto che concretamente partecipa alle “trattative” e che, eventualmente, sigla l'accordo di conciliazione non è quello direttamente interessato dalla definizione bonaria della controversia, bensì il suo rappresentante legale (l'amministratore pro tempore); per di più tale soggetto è incaricato di rappresentare un “ente” privo di personalità giuridica, il quale pone in essere le sue manifestazioni di volontà (e, quindi, eventualmente decide di conciliare la controversia) mediante un meccanismo collegiale basato sul sistema maggioritario.

L’approvazione del contratto di mediazione e i problemi interpretativi - A questo profilo (che è contemporaneamente di fatto e di diritto), la normativa, invero, ha già fornito una risposta sia in via generale (con l'allestimento di un meccanismo di quorum variabili predisposti dal codice civile, e soprattutto dall'articolo 1136 del codice civile, per qualsiasi decisione condominiale), sia in via particolare con la previsione dell'articolo 71-quater delle disposizioni di attuazione del codice civile che si è assunto il compito di collocare nell'ambito della disciplina condominiale il procedimento di mediazione obbligatoria di cui al citato decreto legislativo.
Ma nonostante l'espressa previsione di un siffatto collegamento tra i due sistemi normativi (condominio, da una parte, e mediazione obbligatoria, dall'altra), alcune problematiche comunque sussistono e, probabilmente, non possono essere risolte se non in via interpretativa.

Sono questioni che innanzitutto si collegano a due fondamentali aspetti della fattispecie:
a) il condomino, come già accennato, non è un soggetto unipersonale, bensì, al contrario, pluripersonale («complesso delle persone dei condomini») per il cui “agire” giuridico è previsto un sistema basato su decisioni della maggioranza che, rispettati precisi requisiti procedimentali, vincolano la minoranza dissenziente, anche dal punto di vista patrimoniale; “sistema” grazie al quale gli interessati hanno facoltà di disporre di un insieme piuttosto ampio di diritti disponibili (non potendo, tuttavia, invadere il campo dei diritti “indisponibili”, per la negoziazione dei quali è necessario il consenso unanime);
b) il “condominio negli edifici” è un fenomeno ad alta “tipicità” (si pensi, innanzitutto, allo specifico aspetto degli effetti generati dal cosiddetto “vincolo di accessorietà” che lega le proprietà esclusive alle parti comuni), caratteristica che non può essere ignorata in nessun ambito normativo “speciale” (nemmeno all'interno del procedimento di mediazione previsto dal Dlgs 28/2010) e che anzi impone, per quanto qui ci riguarda, che venga considerato il rapporto (rectius, conflitto) che esiste (e che deve essere composto) tra la disciplina della mediazione e le regole che sovrintendono alla fattispecie condominiale.

In altri termini, tale particolare conformazione della nostra fattispecie, impone che il procedimento di cui al Dlgs 28/2010 sia regolamentato in modo da trasformare l'ordinario suo funzionamento in una vera e propria “mediazione condominiale” (in tal modo colmando quelle inevitabili lacune che si generano dall'incontestabile circostanza che tale procedimento obbligatorio è essenzialmente “generalista”, vale a dire progettato per funzionare per i più svariati argomenti e quindi incapace di far fronte alle specificità degli ambiti più particolari).

Per fare un esempio di tale conflitto e della suddetta necessità di un suo componimento può essere sufficiente evidenziare come, da una parte, l'articolo 71-quater delle disposizioni di attuazione del codice civile prevede espressamente la necessità di una deliberazione assembleare preventiva affinché l'amministratore pro tempore sia autorizzato a partecipare alla mediazione, mentre, dall'altra parte, la disciplina condominiale, come interpretata dalle sezioni Unite della Suprema corte (cfr. sentenza 6 agosto 2010, n. 18331) ammette anche la ratifica successiva (con efficacia ex tunc, cioè ab origine) delle iniziative processuali assunte dall'amministratore in difesa (urgente) degli interessi comuni.

Le interferenze tra disciplina della mediazione e quella del condominio - Sussiste una situazione di conflitto tra due sistemi di norme (disciplina della mediazione e disciplina condominiale) che necessita di una inevitabile composizione che non può che consistere nel fatto di qualificare la previsione dell'articolo 71-quater delle disposizioni di attuazione del Cc (cioè, della maggioranza prevista per l'approvazione dell'accordo di conciliazione) come una norma di mera “garanzia”, finalizzata cioè ad ottenere un'approvazione dell'accordo di conciliazione con una maggioranza superiore a quelle ordinariamente (cioè, per deliberazioni al di fuori della mediazione) previste dal codice civile, e non certo finalizzata a prescrivere maggioranze inferiori a quelle già poste dalla disciplina condominiale o, addirittura, dal diritto dei contratti.

In altri termini, la maggioranza prevista dall'articolo 71-quater non va posta in relazione con i quorum maggiori del codice civile (o addirittura con la necessità dell'unanimità), ma con i quorum minori (i quali, come visto, non sono affatto pochi).
Se, infatti, prendiamo ad esempio e riferimento, l'approvazione di un bilancio o di una ripartizione di spesa conforme a legge, nel caso in cui tale decisione sia contenuta in un accordo di conciliazione, in applicazione dell'articolo 71-quater tale decisione non potrà essere adottata con la maggioranza usuale (333 millesimi) ma con il quorum qualificato del comma 2 dell'articolo 1136 del codice civile (500 millesimi), in quanto appunto espressamente previsto per tale ambito.
Detto ancora in altro modo, l'articolo 71 quater – per l'accordo di conciliazione – determina l'effetto di aumentare i quorum più bassi, ma non quello di abbassare quelli più alti.
È evidente che, in un sistema di norme (come quello condominiale) dove le maggioranze previste dalla legge sono assolutamente inderogabili, ciò non può avvenire nemmeno attraverso l'interferenza di una disciplina diversa, quale è quella sulla mediazione che, evidentemente, è prevista ad altri fini (e, si ribadisce, non comporta effetti abrogativi dell'articolo 1136 del codice civile).

Quando invece l'accordo di conciliazione riguarda le materie speciali prima elencate (o, a maggior ragione, ha natura contrattuale, si pensi a una ripartizione di spesa in parti uguali) si applica, per quanto riguarda i requisiti dell'approvazione, la specifica disciplina condominiale.

Ne deriva che sarà imprescindibile porre una costante attenzione al contenuto dell'accordo di conciliazione per verificare se la maggioranza prevista dall'articolo 71-quater delle disposizione di attuazione del Cc sia sufficiente (o meno) rispetto alla normativa condominiale.
Se questo è il corretto coordinamento tra tali due sistemi di norme (mediazione/condominio), sorge la necessità per le parti in mediazione (soprattutto, per i loro difensori, ed anche per il mediatore) di acquisire una specifica competenza in materia condominiale al fine di evitare di favorire un accordo di conciliazione invalido in quanto carente di valida approvazione da parte dell'assemblea condominiale. Invero, la stessa competenza che viene richiesta all'amministratore di condominio chiamato quotidianamente (e concretamente) a “gestire” il procedimento assembleare.

La maggioranza secondo l'articolo 71-quater

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