Civile

Accertamento giudiziale sull’esistenza della società di fatto

a cura della Redazione PlusPlus24 Diritto

Società di persone - Società di fatto – Prova - Accertamento giudiziale - Elementi rilevanti - Mancanza di prova di alcuni elementi - Accertamento negativo - Sussistenza.
L'accertamento in ordine all'esistenza di una società di fatto, nei rapporti interni tra i soci, deve basarsi sulla valutazione circa la sussistenza nella specie della prova di un complesso di circostanze di fatto idonee a rivelare l'esercizio in comune di un'attività imprenditoriale e, quindi, dell'esistenza del fondo comune, dell'attività comune, della ripartizione degli utili e delle perdite, del vincolo di collaborazione tra i soci, essendo questi gli elementi necessari per l'esistenza della società, a norma dell'articolo 2247 codice civile (l'idoneità della condotta complessiva di taluno dei soci a ingenerare all'esterno il ragionevole affidamento circa l'esistenza della società rileva invece ai fini della responsabilità solidale dei soci nei confronti dei terzi ai sensi dell'articolo 2297 del codice civile). Tanto premesso, ove nel compiere tale accertamento - che, peraltro, risolvendosi in apprezzamenti di fatto è come tale insindacabile in sede di legittimità - il giudice rilevi la mancanza di prova di alcuni degli elementi che debbono necessariamente essere compresenti, la conclusione non può che essere quella dell'accertamento negativo, restando assorbite le questioni inerenti agli altri elementi essenziali del contratto di società.
•Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 21 luglio 2016 n. 15023

Società di persone - Società irregolare e di fatto - Società occulta - Requisiti - Partecipazione di tutti i “soci” all'esercizio dell'attività societaria in vista del risultato unitario - Determinazione dei conferimenti a costituire un patrimonio comune - Necessità.
La mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisce il presupposto indispensabile perché possa legittimamente predicarsi, da parte del giudice, l'esistenza di una società occulta, ma ciò non toglie che si richieda pur sempre la partecipazione di tutti i soci all'esercizio dell'attività societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell'ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio “comune”, sottratto alla libera disponibilità dei singoli partecipi (articolo 2256 del Cc) e alle azioni esecutive dei loro creditori personali (articoli 2270 e 2305 del Cc), l'unica particolarità della peculiare struttura collettiva “de qua” consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non già in nome della compagine sociale, vale a dire del gruppo complessivo dei soci, ma in nome proprio.
•Corte di cassazione, sezione VI civile, ordinanza 12 settembre 2016 n. 17925

Società di persone - Società irregolare e di fatto - Prova scritta - Mancanza - Irrilevanza - Svolgimento in comune di un'attività economica - Responsabilità solidale dei soci - Esteriorizzazione del vincolo sociale - Accertamento giudiziale - Sindacabilità in sede di legittimità - Esclusione.
La mancanza della prova scritta del contratto di costituzione di una società di fatto o irregolare, non richiesta dalla legge ai fini della sua validità, non impedisce al giudice del merito l'accertamento “aliunde”, mediante ogni mezzo di prova previsto dall'ordinamento, ivi comprese le presunzioni semplici, dell'esistenza di una struttura societaria, all'esito di una rigorosa valutazione (quanto ai rapporti tra soci) del complesso delle circostanze idonee a rivelare l'esercizio in comune di una attività imprenditoriale, quali il fondo comune costituito dai conferimenti finalizzati all'esercizio congiunto di un'attività economica, l'alea comune dei guadagni e delle perdite e la c.d. “affectio societatis”, cioè il vincolo di collaborazione in vista di detta attività nei confronti dei terzi. È sufficiente a far sorgere la responsabilità solidale dei soci, ai sensi dell'articolo 2297 del Cc, l'esteriorizzazione del vincolo sociale, ossia l'idoneità della condotta complessiva di taluno dei soci a ingenerare all'esterno il ragionevole affidamento circa l'esistenza della società. Tali accertamenti, risolvendosi nell'apprezzamento di elementi di fatto, non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazioni adeguate e immuni da vizi logici o giuridici.
•Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 11 marzo 2010 n. 5961

Società di persone - Società irregolare e di fatto - Apparenza della società - Presupposti - Affidamento dei terzi di buona fede - Onere della prova.
La società di fatto, sebbene inesistente nella realtà, può apparire esistente di fronte ai terzi quando due o più persone operino nel mondo esterno in modo da determinare l'insorgere dell'opinione ragionevole che essi agiscano come soci e del conseguente legittimo affidamento circa l'esistenza della società stessa: in tale ipotesi, a tutela della buona fede dei terzi, è sufficiente che il soggetto che abbia trattato con il socio apparente provi un comportamento che, secondo l'apprezzamento insindacabile del giudice di merito, sia idoneo a designare la società come titolare del rapporto. In tal caso incombe sulla società apparente la prova che controparte fosse consapevole dell'inesistenza del vincolo sociale e quindi non meritevole di tutela.
•Corte di cassazione, sezione II civile, sentenza 20 aprile 2006 n. 9250

Società di fatto - Imprenditore individuale apparente - Società con soci a responsabilità illimitata - Dichiarazione di fallimento - Ammissibilità - Fattispecie.
Se, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore apparentemente individuale, risulti che egli era socio di una società di fatto, anche se occulta, esercitante la stessa impresa, deve essere dichiarato il fallimento della società e di altri soci occulti, senza che sia necessario provare l'insolvenza di questi ultimi, essendo il loro fallimento conseguenza automatica del fallimento della società (art. 147, comma 1, legge fall.). (Nella specie, la Suprema corte cassava con rinvio la sentenza della Corte territoriale che si era pronunciata a favore dell'estensione del fallimento di un costruttore a una società di fatto occulta tra le cui attività di acquisto di suoli e vendita di unità immobiliari non risultava, però, compresa quella di costruzione, che veniva dal primo effettuata a favore della società attraverso contratti di appalto).
•Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 30 gennaio 1995 n. 1106

Società di fatto - Inesistenza della società “inter partes” - Esistenza nei confronti dei terzi – Tutela dell'affidamento in buona fede.
Per considerare esistente nei confronti dei terzi, anche se inesistente “inter partes”, una società di fatto, è necessario l'operare di due o più persone nel mondo esterno, in guisa da ingenerare l'opinione che siano legate da un vincolo sociale e la conseguente induzione dei soggetti con i quali esse entrano in rapporto a fare affidamento in buona fede (intesa come uso della cautela necessaria per non farsi trarre in inganno da manifestazioni esteriori suscettibili di controllo) sulla effettività e sulla responsabilità dell'apparente sodalizio.
•Corte di cassazione, sezione II civile, sentenza 9 giugno 1993 n. 6438

Società occulta - Elemento costitutivo - Patto di occultamento - Dichiarazione di fallimento - Revoca - Deliberazione assembleare - Mancanza - Società irregolare partecipata da società di capitali - Inconfigurabilità.
Essenziale elemento costitutivo della società occulta è rappresentato dal patto di occultamento, in forza del quale i rapporti con i terzi, ancorché intrattenuti per conto della società, figurano posti in essere da uno solo dei soci che appare all'esterno titolare di un'impresa individuale dal punto di vista fattuale, sì che, allorché non sia dato desumere dalla ricostruzione operata dal Tribunale alcuna plausibile ragione, e tanto meno dimostrazione, dell'esistenza del patto di occultamento , deve revocarsi la sentenza dichiarativa di fallimento di una società occulta. Non è configurabile la costituzione di una società irregolare partecipata da società di capitali, in assenza della preventiva deliberazione assembleare di cui all'articolo 2361, comma 2, del codice civile.
•Corte d'Appello di Venezia, sentenza 10 dicembre 2011

Società di fatto - Stato di insolvenza - Società capogruppo - Attività di direzione e controllo - Lesione al patrimonio sociale - Responsabilità per i creditori sociali - Dichiarazione di fallimento in estensione - Ammissibilità.
Ove più persone fisiche abbiano svolto attività di direzione e controllo di società a responsabilità limitata agendo nell'interesse imprenditoriale proprio in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sussiste la responsabilità di tali persone nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata al patrimonio della società e se fra di esse è ravvisabile una società di fatto svolgente attività di impresa la quale abbia assunto, in virtù dell'articolo 2497 del Cc, obbligazioni risarcitorie quantomeno nei confronti dei creditori delle società fallite per i danni subiti, tale società di fatto, laddove ne sia dimostrata l'insolvenza, può senz'altro essere dichiarata fallita. Qualora poi sia possibile configurare tale società come una “holding” che possieda, anche in via di fatto, le quote delle società commerciali utilizzate come strumento, la fallibilità è confermata dall'evoluzione giurisprudenziale che, a partire dal 1990, ha ammesso la fallibilità della società finanziaria capogruppo di società partecipate insolventi.
•Tribunale di Vicenza, sentenza 23 novembre 2006

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