Responsabilità

Diamanti da investimento: il Cds riduce le sanzioni ma conferma la responsabilità delle Banche

Il Consiglio di Stato torna sulla questione con due diverse pronunce (n. 2081 e n. 2085, pubblicate in data 11 marzo 2021) riducendo del 30% la sanzione irrogata dall'Antitrust nel 2017 ma confermando la responsabilità delle Banche nelle pratiche commerciali scorrette ai danni dei risparmiatori

di Antonino La Lumia*


Il mercato dei diamanti da investimento, particolarmente florido per anni anche in Italia, ha recentemente conosciuto la ribalta - prima mediatica e poi giudiziaria - a seguito delle note vicende relative al fallimento, all'inizio del 2019, di una delle società più attive del settore: circostanza, che ha determinato inevitabili conseguenze pregiudizievoli per tutti i risparmiatori che avevano investito, il più delle volte tramite il canale bancario, nell'acquisto di pietre preziose, nella convinzione di aver messo "al sicuro" il proprio capitale.

La dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Milano (15 gennaio 2019) ha innescato una serie di reazioni a catena, in ambito non soltanto processuale, che hanno purtroppo coinvolti decine di migliaia di clienti in tutta Italia, che avevano acquistato i diamanti attraverso le sedi territoriali delle maggiori banche nazionali.

La vicenda ha, ovviamente, portata epocale sia per il numero enorme di soggetti interessati (molti dei quali piccoli consumatori), sia per l'entità delle somme oggetto dei contenziosi, che si sono sviluppati da allora: le questioni giuridiche sono di significativa complessità e alcune pronunce delle Autorità giudiziarie hanno avuto modo di risolvere le controversie, con soluzioni non sempre convergenti.

La responsabilità delle banche è il principale tema di discussione e, come prevedibile, ha acceso le più diverse interpretazioni, in dottrina e giurisprudenza, sulla possibilità o meno di riconoscere un risarcimento dei considerevoli danni subiti dagli acquirenti: effettivamente, a seconda di come si valuta l'apporto "causale" dell'istituto nella dinamica negoziale - in forma di fattispecie a formazione progressiva, che parte dalla proposta commerciale, prosegue con la segnalazione dell'interesse del cliente e termina con la conclusione del contratto di acquisto - può essere configurata una posizione piuttosto che un'altra nel rapporto debitore-creditore.

In questa prospettiva, i termini della vicenda diventano essenziali, nella loro connotazione cronologica-fattuale, per focalizzare le conseguenze giuridiche.

Ripercorriamo i fatti.

La società venditrice proponeva ai clienti, un duplice servizio: da un lato, un servizio di intermediazione nell'acquisto di diamanti "nuovi" e, dall'altro, un servizio di "ricollocamento", attraverso la ricerca di "nuovi acquirenti" qualora l'originario cliente intendesse disinvestire.

L'offerta dell'investimento in diamanti avveniva sulla base di diverse argomentazioni finalizzate a descrivere un'immagine di affidabilità dell'azienda, illustrare le caratteristiche qualitative dei diamanti e dell'offerta, nonché la convenienza dell'investimento.

Il principale dato comune a molte delle fattispecie era che la società venditrice aveva concluso accordi con alcuni Istituti di credito per la segnalazione dei clienti interessati: da qui, l'intensa attività promozionale, che le Banche hanno condotto, presso le loro filiali, illustrando investimenti diretti in tal senso.

È in questa fase che si delinea già la possibile responsabilità legata alle specifiche modalità di esposizione delle caratteristiche dell'operazione.

Proprio tale quadro è stato già oggetto di numerose pronunce dei giudici di merito, che hanno approfondito le dinamiche dei rapporti, traendo spunto dall'esame già definito sia dall'Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, nella decisione del 30 ottobre 2017 (che - riconosciuta la responsabilità degli operatori - ha irrogato considerevoli sanzioni amministrative nei confronti della società venditrice e delle banche), sia dal TAR Lazio, nelle sentenze del 14 novembre 2018, che hanno respinto i ricorsi, con i quali erano stati impugnati i provvedimenti sanzionatori.

Le contestazioni hanno riguardato essenzialmente il fatto che la società e le banche - attraverso i propri dipendenti - avessero presentato ai risparmiatori materiale promozionale ingannevole, che rappresentava falsamente:
a) il prezzo di acquisto dei diamanti come corrispondente a quello delle "quotazioni" di mercato, nonostante fosse in realtà privo di alcuna correlazione con i listini Rapaport e IDEX a più larga diffusione mondiale, essendo stato unilateralmente fissato dalla società venditrice;
b) l'aspettativa di apprezzamento del valore futuro dei diamanti, attraverso grafici rappresentanti l'andamento di "quotazioni" di diamanti, messe a confronto con indici ufficiali e quotazioni di titoli in mercati regolamentati;
c) la facile liquidabilità e rivendibilità dei diamanti, benché l'unico canale di rivendita fosse rappresentato dalla stessa società venditrice;
d) la qualifica di quest'ultima come "leader del mercato", senza alcuna precisazione al riguardo, che conferiva maggiore affidamento all'affare.

Come riportato dall'AGCM, infatti, "La convenienza dell'investimento era promossa – sia sul sito, sia nelle presentazioni alle banche - facendo leva sul trend positivo delle quotazioni dei diamanti, che veniva argomentata attraverso un grafico che raffrontava l'andamento in costante crescita dal 1992 delle quotazioni dei diamanti con l'andamento dell'inflazione (che risultava sempre inferiore) e con l'andamento assai più vario dell'EuroStoxx".

L'Autorità garante ha rilevato come la pratica scorretta avesse violato gli artt. 20 e 21, co. 1, lett. b), c), d) e f), 22, nonché 23, co. 1, lett. t) del Codice del Consumo, "in quanto contraria alla diligenza professionale ed idonea a indurre in errore i consumatori".

La relazione dell'Autorità conclude con il riconoscimento di una generale responsabilità concorrente della banca, assieme a quella della società, per la rappresentazione parziale, ingannevole e fuorviante dell'investimento in diamanti quale "bene rifugio".

Dopo circa due anni, il Consiglio di Stato torna sulla questione e - con due diverse pronunce (n. 2081 e n. 2085, pubblicate in data 11 marzo 2021) - decide sull'appello proposto da due banche, riducendo del 30% la sanzione irrogata dall'Antitrust nel 2017, ma confermando la responsabilità delle stesse nelle pratiche commerciali scorrette ai danni dei risparmiatori italiani.

Il Collegio, innanzitutto, afferma la competenza della medesima Autorità Garante, in quanto "non viene in alcun modo in considerazione l'esercizio dell'attività bancaria, né l'esercizio di attività ad essa connesse comunque sottoposte alla vigilanza della Banca d'Italia", ma "un'attività di mera intermediazione per l'acquisto e la vendita di un bene (i diamanti) completamente estranea all'ambito regolamentato".

Sul piano del merito, segue la linea dei giudici del TAR, sostenendo che "Deve escludersi che il ruolo della Banca nella realizzazione della pratica in oggetto si sia limitato semplicemente a trasmettere alla clientela un prodotto e un materiale divulgativo interamente predisposto da altri".

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, è indubbio che - al momento dell'acquisto - i clienti fossero convinti del fatto che l'operazione e le informazioni sull'investimento venissero verificate, e quindi "garantite", dalla banca: ciò in quanto, come si spiega nelle sentenze, "gli impiegati della Banca curavano la compilazione e l'invio a IDB del modulo d'ordine di acquisto delle pietre sottoscritto dal cliente, informavano il cliente stesso dell'esatto importo dell'investimento, organizzavano e presenziavano ad eventuali incontri tra cliente e IDB, nonché alla consegna della pietra, che avveniva nei locali della filiale laddove il cliente non avesse richiesto la custodia presso i caveaux di IDB. Anche nel caso di richieste di ricollocamento, la banca assumeva un ruolo di intermediazione, mettendo in contatto i clienti con IDB".

Da qui il coinvolgimento "attivo" (e la connessa responsabilità) delle banche, che non hanno svolto il ruolo di mere segnalatrici dell'interesse degli investitori.

Tuttavia, la circostanza che queste ultime abbiano operato soltanto a valle dell'operazione commerciale ideata e sviluppata autonomamente dalla società di diamanti rileva ai fini della determinazione della sanzione: infatti, il Collegio d'appello ha ritenuto che "il contributo, illecito ma comunque secondario, della banca non pare poter giustificare l'applicazione di una sanzione prossima al massimo edittale e quasi doppia a quella inflitta alla società di vendita, che è l'autrice principale dell'illecito": pertanto, la sanzione è stata ridotta del 30% rispetto a quella originariamente irrogata dall'Antitrust.

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*A cura dell'avv. Antonino La Lumia (Founding Partner di Lexalent)

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