Penale

Colpa medica: il giudizio contraffattuale non può prescindere dall'accertamento della probabilità logica

Nota a margine della sentenz, Cass. pen., sez. IV, 16-09-2020, dep. 12-10-2020, n. 28294

di Fabrizio Ventimiglia e Francesco Vivone*


La Suprema Corte di Cassazione, con la decisione in commento, torna a pronunciarsi sull'accertamento del nesso causale tra condotta ed evento nell'ambito della responsabilità colposa del sanitario.

Con la sentenza in oggetto, i Giudici ribadiscono come nel reato omissivo improprio non sia possibile accertare il rapporto di causalità tra condotta ed evento esclusivamente sulla base di un coefficiente probabilistico, risultando necessario che esso sia verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, calato sul fatto storico e sulle particolarità del caso concreto.

Questa, in sintesi, la vicenda processuale.

La Corte d'Appello di Milano confermava la condanna inflitta ad un medico ospedaliero in ordine al delitto di cui all'art. 589 c.p.

Secondo la ricostruzione del Tribunale, condivisa dai Giudici di secondo grado, il medico – responsabile dell'unità di chirurgia – aveva ridotto drasticamente le aspettative di vita del paziente deceduto omettendo esami di laboratorio che avrebbero consentito di definire la natura della malattia, di codificare il necessario f ollow up nonché di attuare i provvedimenti terapeutici più appropriati.

L'imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, proponeva ricorso per Cassazione lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'individuazione del nesso causale tra condotta ed evento.

In particolare, ad opinione del ricorrente, non era stato svolto correttamente il giudizio controfattuale, basatosi esclusivamente su dati statistici che – da soli – non possono però essere alla base di una pronuncia di condanna.

La Corte di Cassazione, in accoglimento delle censure avanzate dall'imputato, coglie l'occasione per svolgere alcune fondamentali considerazioni sul tema oggetto del ricorso.
Con riferimento all'accertamento del nesso causale, la Suprema Corte ricorda come secondo il consolidato orientamento della stessa giurisprudenza di legittimità possa essere individuato quale causa di un evento quell'antecedente senza il quale l'evento non si sarebbe verificato.

E' noto, ricordano i Giudici, che se in ipotesi di accertamento del nesso causale dei reati commissivi sia necessario svolgere un'operazione di sottrazione mentale finalizzata a capire quale sarebbe stato il decorso causale ipotizzando come non avvenuta la condotta posta in essere dall'agente, diversamente nei reati omissivi occorrerà procedere con un esercizio di aggiunta mentale al fine di verificare se la condotta omessa fosse sufficiente, da un punto di vista causale, alla produzione dell'evento del reato.

In altre parole si deve ipotizzare come avvenuta la condotta omessa al fine di stabilire se l'evento finale si sarebbe verificato ugualmente ovvero avrebbe seguito un decorso differente.

Affinché ciò sia possibile, secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. ex plurimis, Cass. Pen., Sez. IV, sent. 23339/13), è necessario procedere preliminarmente all'accertamento di ciò che è effettivamente accaduto formulando il c.d. "giudizio esplicativo".

Facendo applicazione di siffatti principi al tema della responsabilità medica, è indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia al fine di poter verificare se ed in che modo l'evento lesivo sarebbe stato evitato dalla condotta dovuta del sanitario.

È, infatti, indispensabile che il Giudice effettui una verifica sul caso concreto, sulla base delle circostanze di fatto e delle evidenze disponibili cosicché "all'esito del ragionamento probatorio, che abbia escluso l'interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto grado di "credibilità razionale".

Nel caso in esame, a parere della Suprema Corte, i Giudici non avrebbero fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

La Corte d'Appello, infatti, motiva la sentenza di condanna facendo esclusivo riferimento ad elementi statistici generali, affermando che tali tipologie di malattie, se correttamente trattate, garantiscono un margine di sopravvivenza compreso tra il 25% e il 70%.
Aderendo a tale impostazione il rischio è quello di omettere il giudizio di probabilità logica che avrebbe imposto di tenere in considerazione tutte le caratteristiche del caso concreto, integrando il criterio della frequenza statistica con gli elementi indiziari astrattamente idonei a modificarli.

La Corte di merito, tra l'altro, non aveva neppure tenuto in considerazione la perizia, secondo la quale "in termini penalistici non è possibile concludere che, un'anticipazione della diagnosi ed una corretta strategia terapeutica avrebbero con certezza evitato la morte del paziente né tantomeno prolungato sensibilmente la sua vita".

Alla luce di quanto osservato, la Suprema Corte annulla la sentenza impugnata rinviando alla Corte d'Appello per un nuovo esame richiedendo che esso venga ancorato quanto più possibile alll'analisi del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto.

I Giudici, in particolare, dovranno stabilire se l'omissione addebitata al medico, in assenza di fattori causali alternativi, sia stata condizione dell'evento morte.


*dell'Avv. Fabrizio Ventimiglia e del Dott. Francesco Vivone, Studio Legale Ventimiglia

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