Penale

Cimeli di D'Annunzio, contraffazione senza attenuanti

Francesco Machina Grifeo

La Cassazione, sentenza n. 12025 del 14 aprile, ha confermato la condanna di un coppia di librai colpevoli della contraffazione e vendita di cimeli falsamente attribuiti a Gabriele D'Annunzio. Dopo aver acquistato sulla piattaforma e-commerce E-bay gran parte del materiale "storico", i falsari vi apponevano "autografi" e "dediche" del "Vate" in modo da farne lievitare il prezzo per poi inserirle nel catalogo della propria libreria. La Suprema corte ha invece accolto il ricorso degli imputati con riguardo all'entità del risarcimento alle parti civili - una coppia di collezionisti ed il "Vittoriale degli Italiani" (55mila euro) - perché non adeguatamente motivato. Giudizio da rifare dunque sotto questo profilo.

Nel 2019 la Corte di appello di Milano aveva condannato i ricorrenti ad un anno e dieci mesi di reclusione (con la condizionale) e 2.500 euro di multa, negandogli le attenuanti generiche per aver commesso il reato previsto dall'articolo 178 del Dlgs n. 42 del 2004 (Codice beni culturali) in un periodo che andava dall'ottobre 2011 fino all'aprile 2013. In particolare, la coppia è stata ritenuta responsabile della "contraffazione, alterazione e riproduzione" ma anche della "autenticazione e accreditamento mendace" di oggetti poi riferiti a Gabriele D'Annunzio e della loro messa in commercio.

L'inchiesta era partita dopo che una delle parti lese aveva sottoposto all'esame della fondazione dannunziana la sua collezione di oltre 500 pezzi. Dall'expertise era emersa la contraffazione di 24 oggetti tutti acquistati presso la libreria "Il pensatoio" gestita dagli imputati. Che procedeva acquisendo il materiale online, alterandolo e rivendendolo. Si è così ricostruito, per esempio, che il "pugnale dell'ardito" al momento dell'acquisto su internet da parte dell'imputata non recava né il motto né la firma del poeta, presenti invece alla vendita. Così come nessuna firma aveva all'origine il volantino "antigiolittiano". In alcuni casi poi la falsificazione era anche più marchiana come in alcune foto d'epoca stampate su carta moderna o riportante motti non riferibili alle date precise in cui lo scrittore li utilizzava. O ancora la presenza di note sugli oggetti scritte sempre dalla stessa mano non attribuibile però a D'Annunzio.

Correttamente dunque, per la Suprema corte, è stata esclusa la concessione delle attenuanti considerata la «pluralità considerevole di beni, riferiti ad un poeta di particolare notorietà (recando cosi danno al patrimonio culturale nazionale), la protrazione della condotta per un lungo arco temporale, la commissione del fatto nell'esercizio di un'attività commerciale, ed anche nei confronti di clienti con cui si era instaurato un particolare rapporto di fiducia».
Per i giudici di legittimità invece non quadra il risarcimento per le parti civili, dove il danno morale in un caso è stato liquidato in misura superiore in un altro uguale e nel terzo, per il Vittoriale, inferiore (20mila euro) rispetto a quello patrimoniale (35mila euro). Giudizio da rifare dunque su questo punto da parte della Corte di appello di Milano.

Corte di cassazione - Sentenza 14 aprile 2020 n. 12025

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