Lavoro

Sproporzionato il licenziamento del lavoratore che utilizzi diversamente i permessi sindacali

La Corte di cassazione con la sentenza n. 6495/21 ha evidenziato la sproporzione della sanzione inflitta rispetto al comportamento tenuto

di Giampaolo Piagnerelli


Non risulta proporzionale il licenziamento inflitto al lavoratore che ha utilizzato diversamente i permessi sindacali ricevuti dall'azienda. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza n. 6495/21.

I fatti. Il giudice di appello ha ritenuto che la condotta contestata al lavoratore e cioè aver tenuto un comportamento contrario a correttezza, buona fede, fedeltà e diligenza in quanto nei giorni 11 e 29 ottobre e 29 novembre 2014 non aveva partecipato all'attività sindacale e si era arbitrariamente assentato dal posto di lavoro, era un comportamento punibile solo con una sanzione conservativa. La Corte di merito ha, infatti, accertato che il lavoratore, in virtù di un permesso ottenuto in base all'articolo 30 della legge 300/70, pur non avendo partecipato ad alcuna riunione sindacale, aveva tuttavia svolto attività riconducibile al suo mandato di componente della Segreteria Uil- Trasporti Molise. I giudici di merito, in definitiva, hanno rilevato come il prestatore avesse partecipato ad attività che rientravano nell'ambito di quelle proprie dell'incarico sindacale. Conseguentemente la Corte d'appello ha ritenuto che la condotta disciplinarmente rilevante, non integrava una giusta causa di licenziamento in quanto si risolveva in un'ingiustificata assenza dal servizio che il contratto collettivo e la legge punivano con una sanzione conservativa. Per l'effetto ha ritenuto applicabile la tutela reintegratoria con tutte le conseguenze anche risarcitorie. Nell'appello in Cassazione la Srl presso cui lavorava il "sindacalista" ha eccepito che i permessi possono essere concessi per la partecipazione alle riunioni degli organi sindacali e che pertanto non possono essere utilizzati per fini diversi da quelli per i quali sono stati attribuiti. La società, quindi, ha puntualizzato che l'utilizzo di un permesso per finalità diverse da quelle per le quali è concesso ha un disvalore sociale rilevante che giustifica il recesso per giusta causa incidendo sull'elemento fiduciario lavoratore/datore. La Cassazione però, in pieno accordo con i giudici di appello, ha precisato - che la condotta contestata non comporta ex se la sussistenza in concreto della giusta causa di licenziamento. Anche in questo caso è, infatti, richiesta la verifica della proporzionalità della sanzione espulsiva sulla base dell'integrazione del generale precetto di legge.

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