Penale

Nessuna violazione del ne bis in idem per i reati già oggetto di condanna in sede "canonica"

Lo ha precisato la sezione III della Cassazione penale con la sentenza n. 34576

di Pietro Alessio Palumbo

Con la sentenza 34576/2021 la Corte di Cassazione ha chiarito che nulla osta a che il chierico giudicato in sede canonica per aver posto in essere atti sessuali nei confronti di minore affidatogli per ragioni di educazione religiosa, possa essere giudicato per lo stesso fatto anche dalla giurisdizione statale.

L'ipotetica violazione del principio
Nella vicenda affrontata dalla Corte, sul presupposto della identità dei fatti e della natura penale delle sanzioni già inflittegli, il ricorrente aveva eccepito la violazione del principio del ne bis in idem. Principio a suo dire applicabile nei rapporti anche tra Italia e Santa Sede.
La Corte ha in primo luogo escluso che la sussistenza del principio del ne bis in idem intercorrente tra ordinamento statale e ordinamento canonico possa derivare semplicemente dai principi di cui agli articoli 2 e 3 della Costituzione. Va anche escluso che tale principio, con riferimento all'efficacia delle sentenze penali straniere, debba essere riconosciuto come inerente ai diritti inviolabili della persona umana in base alla Convenzione europea del 1950 per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Infatti il principio del ne bis in idem non ha natura di principio generale del diritto internazionale capace di prevalere sul principio di territorialità penale, potendo lo stesso trovare applicazione solo in presenza di convenzioni ratificate e rese esecutive tra Stati.

Le sentenze pronunciate all'estero
A ben vedere il divieto del bis in idem con riferimento alle sentenze pronunciate all'estero non ha valore di principio comune alla generalità degli ordinamenti statuali moderni, e non può pertanto considerarsi come una delle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, a cui l'ordinamento italiano si conforma ai sensi dell'articolo 10 Cost. L'adozione del ne bis in idem come principio regolatore delle relazioni tra giudizi di organi giurisdizionali appartenenti al medesimo ordinamento statuale, e il riconoscimento della sua validità anche nell'ordinamento internazionale per le sentenze dei tribunali internazionali, non comporta, quale logica conseguenza, l'applicabilità del medesimo principio quale norma generale regolatrice delle relazioni tra le competenze giurisdizionali e le decisioni in materia penale di organi giudiziari appartenenti ad ordinamenti diversi.
Al contrario l'ordinamento italiano, come quelli della maggior parte degli Stati moderni, si ispira ai principi della territorialità e obbligatorietà generale della legge penale. E gli stessi hanno obiettiva giustificazione nella difforme realtà della disciplina penale e processuale penale nei diversi ordinamenti giuridici positivi, nei quali la valutazione sociale e politica dei fatti umani si manifesta con variazioni molteplici e spesso profonde da Stato a Stato. Una efficacia preclusiva presupporrebbe oltre alla identità di riflessi sociali e politici, anche una uniformità di previsioni delle fattispecie penali, nonché una quasi identica valutazione, nella coscienza dei popoli, delle varie forme delittuose e della entità e pericolosità della delinquenza in ciascuno Stato.

I rapporti con la Santa Sede
Il principio del ne bis in idem neppure potrebbe essere ritenuto operativo per effetto di intervenuti accordi tra la Santa Sede e l'Italia, o di convenzioni cui entrambe abbiano aderito e che sarebbero necessari proprio a fronte dell'assenza di un principio internazionalmente riconosciuto in tal senso.
Va in particolare escluso che la Santa Sede abbia aderito alla Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen e che detta adesione derivi dall'articolo 20 del Trattato del 1929. È anche da escludersi che la Santa Sede abbia aderito all'Unione Europea, avendo solo una stabile rappresentanza diplomatica con sede a Bruxelles. Il fatto poi che il Vaticano sia una "enclave" dell'Italia, quale membro della Unione Europea, non consente certo di affermare, in mancanza di una formale adesione, che anche il Vaticano e la Santa Sede siano consequenzialmente membri della stessa.
Allo stesso modo va rilevato che la Santa Sede non è membro della Organizzazione delle Nazioni Unite, avendovi solo lo status di Osservatore permanente. Nemmeno è invocabile il principio del ne bis in idem regolato dal Protocollo n.7 della Convenzione EDU poiché non è certamente applicabile nei casi di duplice procedimento nei confronti della stessa persona per il medesimo fatto in due Stati diversi, come confermato dalla stessa giurisprudenza della Corte EDU. Infine dall'esame dell'articolo 23 del Trattato tra Santa Sede e Italia si evince che la mera previsione di "riconoscimento" di cui al citato articolo non può equivalere al divieto di ne bis idem.

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