Lavoro

Non licenziabile il direttore generale in disaccordo

di Angelo Zambelli

La segnalazione di fatti di potenziale rilievo penale, ipoteticamente commessi dal datore di lavoro, non può di per sé integrare una giusta causa di licenziamento, laddove priva di intento calunnioso. Così è stato affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza 17689/2022 in una fattispecie peculiare.

Il ricorso per Cassazione era stato presentato da un direttore generale licenziato per giusta causa dopo soli quattro mesi dalla sua assunzione per aver espresso il suo formale dissenso in seno al consiglio di amministrazione con riferimento alla bozza di bilancio relativa al periodo antecedente alla sua nomina, prospettando in una relazione analitica l’astratta configurabilità di alcune ipotesi di reato.

Secondo la tesi datoriale, avallata in entrambe le sedi di merito, il licenziamento disciplinare era giustificato dal fatto che le affermazioni del dirigente erano «risultate sprovviste di qualsiasi contenuto reale» e, pertanto, si erano «risolte in una ingiustificata e gratuita denigrazione dell’operato dei dirigenti e amministratori dell’azienda».

Accogliendo le censure del ricorrente, il giudizio di legittimità si è concluso invece con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Milano. Secondo il Supremo collegio, la Corte di appello di Brescia avrebbe infatti errato nel ritenere che la manifestazione di dissenso del direttore generale avesse travalicato le previsioni degli articoli 2392 e 2396 del Codice civile e che il contenuto delle critiche rivelatesi infondate, unitamente a un comportamento complessivo del dirigente valutato come «volontariamente posto in contrapposizione con le scelte adottate dagli organi gestionali», potessero concretare una giusta causa di licenziamento.

Investita della questione, la Suprema corte, tenuto conto dei principi inerenti l’esercizio del diritto di critica e del diritto e dovere al dissenso, anche alla luce delle implicazioni che discendono dalle responsabilità connesse al ruolo di direttore generale (richiamate in entrambi i gradi di merito) ha escluso che al comportamento del dirigente potesse attribuirsi una rilevanza disciplinare, non ravvisando alcuna illiceità nelle modalità di manifestazione del dissenso e precisando che la condotta di un dirigente e direttore generale che, senza neanche rivolgersi all’autorità giudiziaria o amministrativa, si limiti a ipotizzare la configurabilità di illeciti, mettendo in guardia i soggetti insieme a lui teoricamente responsabili in solido, nelle sedi e con le modalità previste dall’ordinamento, non integra di per sé una giusta causa di licenziamento.

Quanto al requisito della giustificatezza del licenziamento, è stato rilevato come il legame fiduciario che caratterizza il rapporto di lavoro dirigenziale non possa determinare alcuna compressione del diritto di critica, di denuncia o di dissenso, con la conseguenza che il giudice di merito del procedimento di rinvio dovrà procedere a un accurato componimento tra i contrapposti doveri e diritti in capo al lavoratore, escludendo la giustificatezza del licenziamento laddove l’esercizio del diritto di critica, di denuncia o di dissenso si manifesti in maniera ragionevole e non pretestuosa, nonché con modalità formalmente corrette.

È stato precisato, infine, che se il dirigente estromesso riveste anche la qualifica di direttore generale, la giustificatezza del licenziamento sarà esclusa se il diritto al dissenso viene esercitato nelle sedi proprie indicate dalle norme codicistiche, nonché con modalità non diffamatorie e non offensive.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©