Civile

Riconoscimento facciale: per il Garante il sistema del Viminale non è conforme alla normativa privacy

Si chiude col parere negativo dell'autorità l'annosa vicenda che vede contrapposti il Garante per la protezione dei dati personali e il Ministero dell'Interno-Dipartimento della pubblica sicurezza, in merito all'utilizzo da parte delle forze di polizia di un sistema di riconoscimento facciale in tempo reale

di Gianluca Fasano*


Si chiude col parere negativo dell'autorità l'annosa vicenda che vede contrapposti il Garante per la protezione dei dati personali e il Ministero dell'Interno-Dipartimento della pubblica sicurezza, in merito all'utilizzo da parte delle forze di polizia di un sistema di riconoscimento facciale in tempo reale (doc. web. n. 9575877).

Il sistema SARI, acronimo di Sistema Automatizzato di Riconoscimento Immagini, nella versione Real Time consente di analizzare in tempo reale i volti dei soggetti ripresi attraverso una serie di telecamere installate in un'area geografica predeterminata e delimitata, e di confrontarli con una banca dati predefinita (watch-list).

Tramite un algoritmo di riconoscimento facciale è possibile individuare una corrispondenza tra un volto presente nella watch-list ed un volto ripreso da una delle telecamere, così da generare un alert per l'operatore che ha modo di intervenire velocemente.

È bene ricordare che le forze di polizia hanno già in uso una versione di SARI, denominata Enterprise, relativamente alla quale il Garante Privacy ha già concesso l'autorizzazione all'utilizzo (doc. web. n. 9040256). Questo sistema, differentemente dal primo, prevede un più limitato uso dell'automazione. In dettaglio, partendo da un'immagine fotografica di un "soggetto ignoto" il sistema effettua automaticamente una ricerca nel data base con l'obiettivo di individuare, grazie a due algoritmi di riconoscimento facciale, le foto segnaletiche elencate secondo un grado di similarità. Sono sempre gli operatori specializzati della Polizia scientifica ad effettuare la necessaria comparazione fisionomica (valida come elemento probatorio).

Il sistema oggi censurato dal Garante, invece, presenta le caratteristiche proprie di un trattamento automatizzato su larga scala, posto che l'identificazione di una persona in un luogo pubblico comporta il trattamento biometrico di tutte le persone che circolano nello spazio pubblico monitorato, al fine di generare i modelli di tutti per confrontarli con quelli delle persone incluse nella "watch-list". In tal senso, la sorveglianza non è più circoscritta ad alcuni individui – persone di interesse degli operatori di polizia – ma diventa estesa con la possibilità di realizzare una sorveglianza universale, seppur finalizzata allo scopo di identificare alcuni individui.

Resta evidente che tali tecnologie hanno un forte impatto sul diritto al rispetto della vita privata delle persone e sul diritto alla protezione dei dati di carattere personale, previsti rispettivamente dall'art. 7 e 8 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea. Ma è altrettanto indubbio che esse possono apportare un notevole contributo, se non una svolta, nella gestione dell'ordine e della sicurezza pubblica nell'interesse dell'intera collettività.

Ancora una volta il criterio di equilibrio tra le contrapposte esigenze – libertà e sicurezza – si rinviene nell'art. 52 della citata Carta, in forza del quale eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta possono esser disposte soltanto mediane legge e, comunque, nel rispetto del principio di stretta proporzionalità.

Orbene, nella fattispecie non si rinviene alcuna disposizione di legge che consenta tale tipo di trattamento e sulla base di tale incontrovertibile constatazione il Garante ha potuto proibire l'utilizzo del sistema SARI Real Time.

Per il momento non possiamo che registrare questa battuta d'arresto, complice un quadro normativo formale privo di quegli addentellati che giustificherebbero l'introduzione nelle nostre vite di sistemi di sorveglianza di massa, come avviene da tempo in alti paesi.

Ciò nonostante, il tema resta molto dibattuto per via delle forti preoccupazioni ad esso connesse. In primis, quelle relative al fatto che le tecnologie di riconoscimento facciale hanno dimostrato di non essere infallibili, di poter commettere degli errori, errori spesso fonte di discriminazioni di matrice razziale e di genere. Sotto tale aspetto, il sistema SARI non sembrerebbe poter produrre discriminazioni, essendo adoperato nell'intenzione di identificare soggetti d'interesse delle forze di polizia, inclusi in una watch-list. Eppure la ricorrenza di errori di identificazione si rifletterebbe sull'efficienza del sistema stesso e, quindi, sarebbe difficile sostenere che l'uso di una tecnologia inefficiente rispetto al suo obiettivo possa giustificare, in un'ottica di stretta proporzionalità, limitazioni di diritti e libertà fondamentali delle persone coinvolte.

E le preoccupazioni si intensificano anche guardando all'orizzonte di un eventuale intervento normativo che rimuova l'impedimento, oggi acclarato dal Garante, all'introduzione nel nostro ordinamento di tali tecnologie, se soltanto ricordiamo la recente decisione della Corte di giustizia europea del 2 marzo, resa nella causa C-746/18, con cui è stata dichiarata l'illegittimità della regolazione (anche italiana) in materia di data retention e sempre per via di una non adeguata proporzionalità nelle limitazioni delle libertà personali per esigenze di sicurezza pubblica (vedi Data retention su NT+). La difficoltà nella regolazione di siffatta materia è oggettiva.

In conclusione, l'intervento normativo che oggi viene invocato come viatico per l'introduzione di sistemi automatizzati di sorveglianza di massa non potrà rappresentare un approdo sereno in termini di tutela della dignità umana e dei diritti e delle libertà fondamentali della persona, vuoi per le difficoltà oggettive che la regolazione incontra in siffatta materia vuoi perché le tecnologie digitali hanno la capacità di resistere alle intemperie normative se non accompagnate da rigorosi imperativi etici condivisi.

*Avv. Gianluca Fasano, Istituto di Ricerca ISTC-CNR

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©

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