Amministrativo

L'amicizia su Facebook tra candidati e commissari non invalida il concorso

di Daniela Casciola

L'amicizia su Facebook non è tra le cause di incompatibilità del componente la commissione di concorso. Lo ha stabilito il Tar della Sardegna, nella sentenza n. 281/2017, chiarendo che nei pubblici concorsi i componenti delle commissioni esaminatrici hanno l'obbligo di astenersi solo ed esclusivamente se ricorre una delle condizioni tassativamente previste dall'articolo 51 del codice di procedura civile, senza che le cause di incompatibilità previste dalla norma possano essere oggetto di estensione analogica.

La vicenda - Un gruppo di partecipanti alla prova scritta e pratica del concorso per docenti di materie enogastronomiche negli istituti alberghieri, non ammessi all'orale, hanno presentato ricorso per dimostrare che le operazioni della Commissione sono state viziate innanzitutto per la presenza di cause di incompatibilità e/o inopportunità nei rapporti tra i commissari e i singoli concorrenti. Rapporti non solo di colleganza ma anche di amicizia.
Nello specifico, i ricorrenti hanno sostenuto che due commissari erano docenti del medesimo Ipsar nel quale insegnavano alcuni candidati ma, soprattutto, che dalle fotografie pubblicate sul social network Facebook fosse chiaro che tra un commissario e alcuni candidati vi fossero rapporti non di semplice conoscenza ma di amicizia, frequentazione e confidenza. Come prova, sono state depositate le fotografie scaricate da Fb.

La decisione - Secondo i giudici, le uniche cause di incompatibilità da prendere in considerazione sono quelle elencate tassativamente nell'articolo 51 del codice di procedura civile che disciplina l'astensione del giudice e la articola in 5 casi:
1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado 0 legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
5) se è tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.
Le cosiddette “amicizie” su Facebook non rientrano nella casistica e, secondo i giudici, sono del tutto irrilevanti poiché lo stesso funzionamento del social network consente di entrare in contatto con persone che nella vita quotidiana sono del tutto sconosciute.
Facebook implica una possibile diffusione del materiale pubblicato sul profilo dell'utente a un numero imprecisato e non prevedibile di soggetti se l'utente stesso non provvede ad effettuare restrizioni che peraltro il social network consente. Né si può pretendere che gli utenti (escluso un utilizzo sconveniente del mezzo) debbano controllare ogni possibile controindicazione del social network posto che esso, per come si è evoluto, costituisce ormai una modalità di comunicazione difficilmente classificabile (ognuno ne fa l'utilizzo che ritiene più appropriato ma per lo più si tratta di attività ludica e ricreativa).
In ordine alle foto “scaricate” dal social network la conclusione non cambia. Esse non valgono a provare alcuna «commensalità abituale» quale è prevista dall'articolo 51 del codice di procedura civile.

Tar Sardegna - Sezione I - Sentenza 3 maggio 2017 n. 281

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©