Civile

La Corte costituzionale: urgente la riforma della riscossione

Il monito della Consulta al Parlamento anche se viene salvato l’aggio

di Giovanni Negri

Una spinta, sia pure indiretta, a una più complessiva riforma della riscossione (cui peraltro il Governo sta già lavorando, come sottolineato ieri dalla viceministra dell’Economia Laura Castelli al convegno del Sole 24 Ore sulla riforma fiscale, si veda pagina 7). È quella che arriva dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 120, depositata ieri e scritta da Luca Antonini, interviene sul tema dell’aggio sulla riscossione delle entrate pubbliche sollecitando, pur dichiarando l’inammissibilità della questione, un intervento riformatore da parte di Parlamento e Governo.

Il legislatore, spiega la Corte, è tenuto a valutare se l’aggio conserva ancora «una sua ragion d’essere – posto che rischia di far ricadere su alcuni contribuenti, in modo non proporzionato, i costi complessivi di un’attività ormai svolta quasi interamente dalla stessa amministrazione finanziaria e non più da concessionari privati – o non sia piuttosto divenuto anacronistico e costituisca una delle cause di inefficienza del sistema».

Infatti, se il finanziamento della riscossione, da un lato, finisce per gravare prevalentemente sui cosiddetti “contribuenti solventi” e, dall’altro, fornisce risorse insufficienti al corretto esercizio della funzione pubblica di riscossione, si determina anche un disincentivo alla lotta della cosiddetta «evasione da riscossione» nei confronti di chi riesce a sfuggire in senso totale ai propri obblighi, soprattutto se di importo relativamente modesto.

Anche un obbligo tributario di ridotto ammontare, come può essere spesso quello derivante da imposte locali, concretizza l’inderogabile dovere di solidarietà previsto dall’articolo 2 della Costituzione e in quanto tale deve essere considerato dall’ordinamento, pena non solo la perdita di rilevanti quote di gettito «ma altresì il determinarsi di disorientamento e amarezza per coloro che tempestivamente adempiono e ulteriore spinta a sottrarsi al pagamento spontaneo per molti altri».

L’eccessiva dimensione delle entrate pubbliche non riscosse, pari a circa mille miliardi di euro accumulati in venti anni, rappresenta, ricorda ancora la sentenza, un’anomalia non riscontrabile nel panorama internazionale e incide sulla funzione della riscossione, provocando il paradosso di addossare su una limitata platea di contribuenti, individuati in ragione della loro solvenza (seppure tardiva rispetto alla fase dell’accertamento dei tributi), il peso di una solidarietà né proporzionata né ragionevole, perché determinata, in realtà, dal costo considerevole della sostanziale impotenza dello Stato a riscuotere i propri crediti.

Del resto, una riforma complessiva della riscossione, puntualizza ora la Consulta, è stata sollecitata di recente anche dalla Corte dei conti nel suo rapporto sul coordinamento della finanza pubblica dello scorso 24 maggio.

Le modalità di una riforma che sia diretta, da un lato, a superare i profili di irragionevolezza della disciplina dell’aggio (sostanzialmente riprodotta, nella sua essenziale struttura, anche nella disciplina vigente) e, dall’altro, a garantire adeguate risorse e soluzioni per l’efficiente funzionamento della riscossione coattiva sono però rimesse, in prima battuta, alla discrezionalità del legislatore, secondo uno spettro di possibilità che varia, tra l’altro, dalla fiscalizzazione degli oneri della riscossione - come avvenuto nei principali Paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna) - a soluzioni anche miste, che prevedano criteri e limiti adeguati per la determinazione di un aggio proporzionato.

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