Civile

Irrilevante il divieto dell'autorità amministrativa ai fini dell'inadempimento del debitore

Lo ha ribadito la Cassazione con l'ordinanza 30435/2022

di Mario Finocchiaro

La liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della sua prestazione può verificarsi, secondo la previsione degli articoli 1218 e 1256 cod. civ., solo se ed in quanto concorrano l'elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sé considerata, e quello soggettivo dell'assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell'evento che ha reso impossibile la prestazione. Pertanto, nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare la predetta impossibilità con riferimento ad un ordine o divieto dell'autorità amministrativa (factum principis) sopravvenuto, e che fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all'atto della assunzione della obbligazione. Questo il principio espresso dalla Sezione I della Cassazione con l'ordinanza 17 ottobre 2022 n. 30435.

I precendenti
Pressoché in termini, Cassazione, sentenze 8 giugno 2018 n. 14915, che ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto il debitore liberato in seguito all'impugnazione e al conseguente annullamento dell'illegittima revoca dell'autorizzazione all'espletamento dell'attività dedotta in contratto, sebbene del prevedibile factum principis egli fosse stato reso edotto già prima della stipulazione - sulla base di una nota con cui la Pa gli aveva dato formale comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo - e, nonostante ciò, non avesse posto in essere alcuna preventiva attività volta a scongiurare l'emissione del provvedimento, e 28 novembre 1998 n. 12013, ove la precisazione che, in particolare, ove vengano in considerazione obblighi di natura contrattuale assunti da una pubblica amministrazione, l'impossibilità di adempiere connessa a sopravvenute esigenze di pubblico interesse va pur sempre apprezzata, anche in relazione all'esercizio di potestà pubblicistiche, alla stregua dell'obbligo della stessa amministrazione di tenere motivatamente presente la esistenza della convenzione contrattuale di fronte ai sopravvenuti interessi pubblici e che, pertanto, ha cassato la sentenza della Corte di merito che aveva ritenuto esente da responsabilità per inadempimento - a causa della impossibilità della prestazione connessa a sopravvenute esigenze di pubblico interesse - un Comune che, dopo essersi obbligato, nell'esercizio di un'attività di carattere privatistico, a ricostruire a proprie spese un locale adibito ad autorimessa di proprietà dei ricorrenti, demolito in sede di esecuzione di un'opera pubblica, pur non risultando compreso nella procedura di esproprio, aveva poi allegato, a giustificazione della mancata ricostruzione, la sopravvenuta normativa urbanistica, che aveva disposto la assoluta inedificabilità della zona de qua.(Nella specie il S.C. ha ritenuto non congruamente motivata la decisione, siccome basata solo sulla inammissibilità di un sindacato sulla volontà dell'ente in sede di formazione del Regolamento edilizio in quanto esercizio di un pubblico potere discrezionale, in assenza dell'apprezzamento, ai fini della valutazione della sussistenza della colpa in capo al Comune, anche della singolare prossimità dell'intervento dello strumento urbanistico rispetto all'assunzione dell'obbligo privatistico in esame, e, quindi, della ragionevole prevedibilità, all'atto di detta assunzione, della futura emanazione del provvedimento amministrativo di cui si tratta).
Nello stesso ordine di idee si è affermato, altresì:
- con riguardo alla promessa di vendere un locale ad uso commerciale munito di licenza di esercizio, non è ravvisabile il factum principis idoneo ad escludere l'imputabilità dell'inadempimento nella mancata concessione di tale licenza da parte della competente autorità derivante dall'inosservanza, da parte del richiedente, delle prescrizioni all'uopo necessarie, Cassazione, sentenza 23 febbraio 2000 n. 2059, in Società, 2000, p. 1205, con nota di Figone A., Cessione di quote sociali ed oggetto del negozio, e in Nuova giur. civ. commentata, 2002, I, p. 209, con nota di Giulianelli S., Alienazione di partecipazione societarie, autonomia patrimoniale della società e principi di correttezza e buona fede;
- la mancata attivazione del servizio telefonico da parte di un'impresa esercente servizi di telefonia (nella specie, a seguito di distacco dal vecchio gestore nell'ambito di procedura di migrazione unilaterale) integra inadempimento contrattuale, senza che rilevi, quale giustificazione, la sopravvenuta delibera interdittiva dell'AGCOM a non procedere con tali modalità al rientro dei clienti in precedenza abbonati presso altri gestori ove tale provvedimento dell'autorità sia stato colposamente provocato dall'impresa e fosse ragionevolmente prevedibile secondo la comune diligenza (nella specie, a fronte dei reiterati solleciti a non porre in essere procedure di rientro gestite autonomamente dall'impresa, in contrasto con la normativa vigente e comunque a concludere le negoziazioni in atto), Cassazione sentenza 10 giugno 2016 n. 11914.
Analogamente, in caso di sospensione dei lavori a causa di difficoltà inerenti la concessione edilizia, occorre tener presente che l'amministrazione committente, quale soggetto tenuto ad ottenere la concessione medesima, può ottenere di essere liberata dalla sua obbligazione per sopravvenuta impossibilità della prestazione secondo la previsione degli art. 1218 e 1256 Cc solo se ed in quanto concorrano vuoi l'elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sé considerata, vuoi l'elemento soggettivo rappresentato dall'assenza di colpa riguardo alla determinazione dell'evento che ha reso impossibile la prestazione, onde, nel caso che lo stesso debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare l'anzidetta impossibilità sotto la specie della forza maggiore idonea a far escludere l'imputabilità dell'adempimento, con riguardo ad un ordine o divieto sopravvenuto dell'autorità amministrativa o giurisdizionale (factum principis) che fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all'atto dell'assunzione dell'obbligazione, ovvero rispetto alla quale non abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio dell'ordinaria diligenza, sperimentato ed esaurito tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità, restando così inerte e ponendosi in condizione di soggiacervi senza rimedio, Cassazione, sentenza 20 agosto 2003 n. 12235, in Foro it., 2005, I, c. 858.
Sempre in argomento si è precisato, altresì:
- al fine di esonerarsi dalle conseguenze dell'inadempimento delle obbligazioni contrattualmente assunte, il debitore deve provare che l'inadempimento è stato determinato da causa a sé non imputabile (art. 1218 cod. civ.), la quale è costituita non già da ogni fattore a lui estraneo che lo abbia posto nell'impossibilità di adempiere in modo esatto e tempestivo, bensì solamente da quei fattori che, da un canto, non siano riconducibili a difetto della diligenza che il debitore è tenuto ad osservare per porsi nelle condizioni di poter adempiere, e, d'altro canto, siano tali che alle relative conseguenze il debitore non possa con eguale diligenza porre riparo, Cassazione, sentenza 8 novembre 2002 n. 15712, in Giurisprudenza italiana, 2003, c. 2266, che ha escluso potersi considerare quale causa non imputabile al debitore i provvedimenti di sospensione e di annullamento della concessione edilizia pronunziati dal giudice amministrativo, e determinanti per il debitore medesimo l'impossibilità di proseguire nell'attività di costruzione dell'immobile oggetto di preliminare di compravendita, affermando che la costruzione di un edificio può essere intrapresa solamente in quanto al proprietario del suolo sia stata rilasciata, su sua domanda, un legittima concessione edilizia;
- posto che l'assunzione a carico del bilancio statale delle rate di ammortamento dei mutui a pareggio dei disavanzi economici dei bilanci degli enti locali, nonché delle rate relative ai mutui di cui agli art. 1 e 4 decreto legge n. 2 del 1977, non configura un accollo ex lege ma una forma di successione (per factum principis) nel rapporto obbligatorio, è lo stato a porsi come unico soggetto passivo del pagamento, con conseguente liberazione degli originari debitori, Cassazione, sentenza 25 luglio 2021 n. 8342, in Foro it., 1993, I, c. 939.
In presenza di una clausola contrattuale che disciplina espressamente l'evento «forza maggiore» in maniera conforme a quanto previsto dalla legge italiana scelta dalle parti come regolatrice del contratto - si è osservato da parte di un giudice di merito - non costituisce factum principis configurante causa di forza maggiore un decreto governativo indirizzato esclusivamente a due società controllate dallo stato e volto a determinare la liberazione delle società dalle obbligazioni da esse assunte, mancando i requisiti della generalità del provvedimento e della estraneità dell'evento rispetto alla sfera giuridica del debitore, Tribunale di Torino, sentenza 21 novembre 2005, in Riv. dir. internaz. privato e proc., 2006, p. 475 (M. Fin.).

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