Comunitario e Internazionale

Lo stakeholder capitalism in una direttiva europea

Sotto il profilo tecnico, per le aziende cambia la dimensione della sostenibilità, passando da un livello "individuale" a un livello "collettivo": l'impresa non è più responsabile unicamente dei propri impatti sui fattori ambientali, sociali e di governance (Esg

di Luca Testoni *

A fine febbraio, la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva, quella relativa alla Corporate Sustainability Due Diligence, che ha il potenziale per stravolgere i modelli della sostenibilità aziendale, sia dal punto di vista tecnico sia, soprattutto, dal punto di vista politico.

Sotto il profilo tecnico, per le aziende cambia la dimensione della sostenibilità, passando da un livello "individuale" a un livello "collettivo": l'impresa non è più responsabile unicamente dei propri impatti sui fattori ambientali, sociali e di governance (Esg).

Al contrario, diviene responsabile anche degli effetti Esg imputabili ai soggetti con cui intrattiene relazioni di business. Effetti che l'azienda è tenuta a conoscere, monitorare, limitare e, addirittura, prevedere ed evitare.

Tale situazione impone una moltiplicazione di responsabilità per i soggetti che sono a capo di una filiera.

Ma, al contempo, moltiplica le responsabilità negli stessi componenti della filiera: ogni piccola e media impresa, infatti, sarà trainata (cioè, probabilmente, obbligata) alla sostenibilità dal proprio committente, alla luce del fatto che, per legge, quest'ultimo diviene responsabile anche per gli Esg del proprio "piccolo e medio" fornitore.

Accanto a questo terremoto tecnico, la proposta di Direttiva ha lanciato un messaggio politico probabilmente anche più forte, mettendo per la prima volta nero su bianco principi che vanno a incidere sugli equilibri dell'attuale modello di shareholder capitalism, spostandoli in direzione di uno stakeholder capitalism.

Va letta in questo senso l'introduzione del concetto di Esg duty, cioè l'estensione del "duty of care" al concetto di sostenibilità. Nelle spiegazioni introduttive alla proposta, la Commissione prende atto che le normative esistenti prevedono già che il dovere degli ammministratori sia quello di agire al meglio per l'azienda, sottintendendo quindi anche le responsabilità Esg. Ma l'esecutivo europeo ha deciso comunque di esplicitare queste responsabilità nell'articolo 25, per cui il duty dei directors prevede di «prendere in considerazione le conseguenze delle loro decisioni in materia di sostenibilità, compresi, se del caso, i diritti umani, il cambiamento climatico e le conseguenze ambientali, anche a breve, medio e lungo termine».

E, nell'articolo successivo, la proposta si spinge a estendere le responsabilità di questo dovere Esg oltre l'azienda, laddove chiede agli amministratori «la dovuta considerazione per le sollecitazioni pertinenti degli stakeholders e delle organizzazioni della società civile».

Meno esplicito, ma altrettanto forte, il richiamo allo stakeholder capitalism nell'articolo 9, dedicato alle procedure di reclamo. È vero, infatti, che il titolo "Complaints procedure" si riferisce alla definizione di un modello per garantire questo genere di segnalazioni.

Ma poi va oltre, e spiega che «i reclami possono essere presentati da:

(a) persone interessate o che hanno ragionevoli motivi per ritenere che potrebbero essere colpite da un impatto negativo;

(b) sindacati e altri rappresentanti dei lavoratori che rappresentano persone che lavorano nella catena del valore in questione;

(c) organizzazioni della società civile attive nei settori collegati alla catena del valore in questione».

Insomma, una rappresentazione didascalica del concetto di stakeholder.

Non solo. Nelle procedure per i reclami viene espressamente previsto che l'azienda dia risposta a queste segnalazioni e, soprattutto, che chi ha reclamato possa «incontrare i rappresentanti dell'azienda a un livello appropriato per discutere gli impatti negativi gravi potenziali o reali che sono l'oggetto del reclamo».

Quindi, si va ben oltre i complaints, e si arriva a una sorta di concertazione allargata per la soluzione dei problemi. Un prodromo normativo di stakeholder capitalism.

*a cura di di Luca Testoni, Direttore di ETicaNews

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