Penale

Bancarotta fraudolenta per distrazione: le responsabilità degli amministratori di diritto e di fatto

Nella distrazione societaria compiuta dall'amministratore di fatto la responsabilità concorrente dell'amministratore di diritto va accertata caso per caso.

di Enzo Gambararo*

Sempre di attualità è la questione della rilevanza del ruolo dell'amministratore di diritto per fatti distrattivi allorquando egli risulti sostanzialmente estraneo alla consumazione degli stessi, anche in contesti in cui il medesimo abbia coscientemente assunto il ruolo di prestanome addirittura incapace, sotto il profilo tecnico, di individuare e delineare le possibili attività illecite dell'amministratore di fatto.

Il primo baluardo, universalmente accettato, al riconoscimento della responsabilità penale è costituito dalla funzione di garanzia rivestita dell'amministratore "apparente" che l'art. 40 secondo comma del codice penale gli attribuisce, secondo cui è punibile chi, pur avendone l'obbligo giuridico di impedirlo, non impedisce un evento dannoso o potenzialmente dannoso.

E' tale, infatti, l'impostazione assunta dalla Corte di Cassazione che, con un orientamento ormai consolidato, ha individuato nella richiamata norma il riferimento per la responsabilità concorsuale per fatti compiuti dall'amministratore di fatto affermando che per integrare il dolo dell'amministratore di diritto è sufficiente la generica consapevolezza che l'agente, per l'appunto l'amministratore di fatto, compia una delle condotte indicate dall'art. 216 comma 1 n. 1 della legge fallimentare senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi.

In tale prospettiva all'amministratore apparente è imputabile la responsabilità legata all'omissione del compiuto adempimento dei doveri di salvaguardare l'integrità del patrimonio sociale ai sensi dell'art. 2394 c.c., di vigilare sul generale andamento della gestione, di adoperarsi per impedire il compimento di atti pregiudizievoli ed eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose ai sensi dell'art. 2392 c.c..

Fuori dai casi in cui l'amministratore di diritto svolga un ruolo da protagonista alla condotta fraudolenta dell'amministratore di fatto, circostanza in cui è agevolmente individuabile la sua responsabilità concorrente, è, tuttavia, pacifico che la sola assunzione della funzione di garanzia nel senso esposto non sarebbe sufficiente per procedere con l'incriminazione.

Infatti si è ritenuto che dalla cosciente accettazione di ricoprire la formale carica gestoria non discenda la necessaria consapevolezza di partecipare ad un evento fraudolento ma che, contrariamente, il profilo soggettivo della responsabilità debba essere accertato caso per caso valutando il significato probatorio dell'intero contesto della sua azione.

Ed è a tale principio che si è recentemente uniformata la Sezione 5 della Corte di Cassazione (sentenza n. 37453 del 7/9/2021 dep. 14/10/2021) la quale ha dato continuità all'orientamento secondo cui per l'imputabilità dell'amministratore di fatto non rileva il dato squisitamente formale, che, contrariamente, tenderebbe ad escluderla per farla ricadere sull'amministratore apparente, bensì assume centralità il criterio funzionalistico, o dell'effettività della gestione sociale, secondo cui il vero soggetto su cui si concentrano gli interessi dell'attività aziendale è quello che effettivamente gestisce l'impresa e sul quale, pertanto, deve ricadere la responsabilità penale, fermo restando per i motivi descritti, una possibile corresponsabilità, accertabile caso per caso, dell'amministratore di diritto.

Ciò che la Sezione 5 tende a contrastare è il rigido formalismo, che contrariamente si verrebbe ad innescare, tra la carica gestoria ricoperta e la responsabilità penale poiché limitarsi in tal senso, cioè delegando la soluzione alle disposizioni di natura civilistica che regolano la responsabilità contrattuale dell'amministratore, significherebbe baipassare i principi di tassatività e determinatezza che devono connotare la condotta penalmente rilevante.

In soccorso degli ermellini corre il richiamato art. 40 c.p. il quale richiede l'accertamento del nesso di causalità tra la condotta omissiva e l'evento dannoso che, in mancanza, renderebbe impossibile l'attribuzione delle responsabilità penali in capo all'amministratore di diritto benché egli sia, ex lege, soggetto titolare di una posizione di garanzia.

Ecco, dunque, che la prova dell'elemento soggettivo appare decisiva per l'imputabilità dell'amministratore apparente rimasto inerte non essendo ammissibile rifugiarsi negli astratti obblighi di garanzia senza eseguire un esame specifico del fatto in concreto.

Il caso affrontato dalla Sezione 5 chiarisce le argomentazioni esposte. L'amministratore di diritto era stato destinatario di una sentenza di condanna, confermata in appello, per fatti distrattivi conseguenti a più prelevamenti bancari eseguiti dall'amministratore di fatto munito di delega rilasciata ad hoc. La Corte ha ritenuto che la circostanza che la gestione aziendale di un'impresa si estrinseca anche, e soprattutto, con operazioni bancarie, avrebbe dovuto condurre i giudici di merito a rendere idonea motivazione, non ritenuta tale quella afferente il rapporto di coniugio che legava amministratore di diritto e di fatto, in ordine alla prova acquisita della consapevolezza del primo che la delega conferita era in realtà finalizzata al compimento delle distrazioni patrimoniali del secondo.

*A cura di Enzo Gambararo, Dottore commercialista, esperto in diritto penale commerciale e tributario, membro del Comitato Scientifico Nazionale della School University Foundation

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