Casi pratici

Formazione del contratto: dalle trattative al preliminare

Trattative e minuta contrattuale

di Laura Biarella

la QUESTIONE?

Quale rilevanza hanno le trattative nella formazione del contratto? Le c.d. puntuazioni vincolano le parti? Deve sussistere una causa concreta? Il definitivo supera in ogni caso il preliminare? Qual è il regime giuridico, riconosciuto dalla prevalente giurisprudenza, del "preliminare di preliminare"? E' valido il preliminare di vendita con cui si versa l'intero importo del bene?


L'iter formativo del contratto è spesso contrassegnato dall'intervento di accordi parziali, non vincolanti, su specifici punti, peraltro spesso contenuti in documenti scritti redatti dalle parti e nella prassi variamente denominati: minute, puntuazioni o lettere di intenti.
Si è, dunque, posto in dottrina e giurisprudenza il problema di individuare i criteri utilizzabili dall'interprete per stabilire "quando" il contratto possa dirsi concluso.
Un primo indirizzo dottrinale ha proposto di considerare concluso il contratto quando le parti raggiungano l'accordo sugli elementi astrattamente essenziali e indipendentemente dalla determinazione di quelli accidentali.
Tale tesi presenta l'evidente limite di avvalersi esclusivamente del criterio della completezza contenutistica, prescindendo da un'indagine sulla volontà delle parti di vincolarsi o meno all'assetto di interessi delineato. Le parti, infatti, possono attribuire valore decisivo ai fini del consenso anche a elementi astrattamente accessori: si pensi al termine, alla condizione, alla rateizzazione del pagamento del prezzo. In tal caso, riservandosi di svolgere ulteriori trattative, determinano l'essenzialità in concreto di specifiche clausole. Dunque, anche un documento contrattuale racchiudente un insieme completo di clausole e condizioni può essere ritenuto privo di valore conclusivo e vincolante, se vi sono elementi dai quali si deduca che le parti non sono decise a contrarre.
Parallelamente, può accadere, invece, che le parti abbiano inteso vincolarsi definitivamente, ma il contenuto del contratto non sia sufficientemente determinato, né aliunde determinabile. La valutazione della sufficienza del contenuto, infatti, rileva ai fini della validità del contratto ai sensi del combinato disposto degli artt. 1346 e 1418, comma 2, c.c., presupponendo come già accertata la formazione dello stesso.
Un primo significativo intervento giurisprudenziale sul tema si è avuto nel 1994 (Cassazione civ., Sez. I, 30 marzo 1994, n. 3158). In tale occasione la Suprema Corte ha chiarito che al fine di stabilire il momento in cui il contratto può ritenersi concluso è necessario ricostruire l'effettiva volontà delle parti quale manifestata nella scrittura e interpretata secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. Dunque, per sostenere la natura di semplice minuta contrattuale di un documento contenente una completa regolamentazione degli interessi, occorre che dalla scrittura stessa emerga la mancanza di una volontà negoziale attuale.
Successivamente la giurisprudenza di legittimità ha cercato di meglio definire i contorni della nozione di minuta contrattuale. Essa ricomprende sia i documenti contenenti intese parziali in ordine al futuro regolamento di interessi (c.d. "puntuazione di clausole") sia le scritture con cui le parti predispongono con completezza un accordo negoziale in funzione preparatoria del medesimo (c.d. "puntuazione completa di clausole"). È, però, ricavabile una differenza a livello di regime probatorio: un documento regolante con completezza un assetto negoziale è, infatti, assistito da una presunzione semplice di avvenuto perfezionamento del contratto, superabile attraverso la dimostrazione dell'insussistenza in capo alle parti di una reale e definitiva volontà di impegnarsi.
Si osservi, infine, che le intese racchiuse in minute contrattuali o puntuazioni, pur non avendo natura vincolante, assumono, comunque, rilevanza sul piano della responsabilità precontrattuale. In altri termini, le parti, pur avendo predisposto nel corso delle trattative un regolamento negoziale completo, documentato per iscritto, sono comunque legittimate a rifiutare la stipulazione definitiva, ma un recesso ingiustificato dalle trattative espone la parte che vi ha dato causa a responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.
L'evoluzione giurisprudenziale (specie in seno alla Corte di Cassazione, ma anche presso le corti di merito) è arrivata all'affermazione della validità ed efficacia del contratto preliminare di preliminare, ossia un accordo in virtù del quale le parti si obblighino a concludere un successivo contratto che preveda anche solamente effetti obbligatori (e con l'esclusione dell'esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento), ove sia configurabile un interesse delle parti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto, fondata su una differenziazione dei contenuti negoziali, e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. Per la Corte d'Appello di Genova (Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 126), la violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, è idonea a fondare, per la mancata conclusione del contratto stipulando, una responsabilità contrattuale da inadempimento di una obbligazione specifica sorta nella fase precontrattuale. Il giudice di legittimità (Sez. II civ., Ordinanza 28 novembre 2019 n. 31188), meglio specificando il pregresso orientamento, è arrivato a chiarire che, in presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex articoli 1351 e 2932 codice civile, ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell'esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento.

Il preliminare del preliminare
Nella sentenza del 2 aprile 2009 n. 8038, la Corte di Cassazione affrontava per la prima volta la questione relativa alla efficacia del c.d. preliminare del preliminare, un accordo con cui le parti si impegnavano a concludere in futuro un contratto con effetti obbligatori, che le vincolava a stipulare successivamente il contratto definitivo. Nel caso di specie, gli attori citavano in giudizio la convenuta che aveva formulato una proposta irrevocabile di acquisto di un immobile posto in vendita per il tramite di un'agenzia immobiliare, con l'impegno di versare una somma a titolo di caparra e con l'aspettativa di stipulare un successivo contratto preliminare nel quale sarebbero state fissate le ulteriori clausole contrattuali.
Rifiutandosi la proponente di stipulare il negozio preliminare, eccependo che il proprio consenso fosse viziato da dolo, gli attori la convenivano in giudizio chiedendo la risoluzione del contratto, il pagamento della caparra e il risarcimento delle spese e provvigioni.
La Cassazione, pronunciandosi sul ricorso avverso la sentenza d'appello che respingeva le richieste attoree, conferma la decisione dei giudici di secondo grado. In particolare, la sentenza in questione si inserisce proprio nell'ambito della copiosa giurisprudenza che si è sviluppata in ordine alle caratteristiche e alla efficacia non vincolante della c.d. puntazione e ora la S.C. apporta un significativo contributo all'argomento, nel momento in cui afferma che a questa fase delle trattative va ricondotta anche la stipulazione del preliminare di preliminare.
In particolare, viene precisato che l'art. 2932 c.c. instaura un diretto e necessario collegamento strumentale tra il contratto preliminare e quello definitivo, destinato a realizzare effettivamente il risultato finale perseguito dalle parti.
Riconoscere come possibile funzione del primo anche quella di obbligarsi a obbligarsi a ottenere quell'effetto, darebbe luogo a una inconcludente superfetazione, non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico, ben potendo l'impegno essere assunto immediatamente: in altri termini, non ha senso pratico il promettere ora di ancora promettere in seguito qualcosa, anziché prometterlo subito.
Secondo la S.C., quindi, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che le parti si trovassero, in relazione al futuro contratto preliminare, nella fase delle trattative, sia pure nello stato avanzato della "puntuazione", destinata a fissare, ma senza alcun effetto vincolante, il contenuto del successivo negozio.
Anche in seguito (Cassazione civ., Sez. II, Ordinanza 28 novembre 2019, n. 31188) è stato confermato che, in presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex articoli 1351 c.c. e 2932 codice civile, ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell'esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. Degna di nota è la vicenda esaminata dal medesimo giudice di legittimità (Cassazione civ., Sez. II, 19 novembre 2019, n. 30083) e dove, per riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, si è affermato che l'affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore stesso, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all'art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. Al contempo, deve essere escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un "affare" in senso economico-giuridico, bensì si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell'affare, come nell'ipotesi ove sia stato stipulato un patto di opzione, idoneo a vincolare una parte soltanto, ovvero un cd. "preliminare di preliminare", costituente un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall'esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in caso di inadempimento che, pur essendo di per sé stesso valido ed efficace e non nullo per difetto di causa, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela alla formazione progressiva del contratto fondata sulla differenziazione dei contenuti negoziali delle varie fasi in cui si articola il procedimento formativo, non legittima tuttavia la parte non inadempiente ad esercitare gli strumenti di tutela finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l'oggetto finale del progetto negoziale abortito, ma soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell'autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione endoprocedimentale contenuta nell'accordo interlocutorio.

Il contratto preliminare: premessa
Il contratto preliminare è un vincolo negoziale preparatorio, incidente sulla libertà di contrarre. Con esso una sola parte (c.d. "preliminare unilaterale") o entrambe (c.d. "preliminare bilaterale") si impegnano a stipulare un successivo contratto (c.d. "definitivo"), il cui contenuto è stato determinato nel preliminare stesso.
La natura giuridica del preliminare e la prevalente tesi del "doppio contratto"
Il tema della natura giuridica del contratto preliminare, nel corso degli anni, è stato oggetto di varie elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali.
Si deve ormai ritenere superata l'impostazione tradizionale (prevalente fino al 1985), in base alla quale il contratto preliminare era considerato un negozio meramente preparatorio, da cui derivava solo un obbligo di facere, ovverosia l'obbligo di prestare il consenso alla stipula del contratto definitivo. Nel 1985, infatti, una storica pronuncia delle Sezioni Unite (25 febbraio 1985, n. 1720) ha inaugurato un nuovo orientamento sul tema della natura giuridica del preliminare, facendolo assurgere da promessa di consensi a promessa di prestazioni; ossia da promessa avente a oggetto il mero facere dato dalla stipula del definitivo a promessa avente come oggetto finale un dare, costituito dal trasferimento della proprietà. Non più, dunque, mero pactum de contrahendo ma anche, per non dire principalmente, pactum de dando.
Tale impostazione, tuttora prevalente in dottrina e giurisprudenza, assestandosi lungo una linea interpretativa mediana, implementa il contenuto del preliminare senza svilire l'essenza negoziale del definitivo. Dunque, preliminare e definitivo hanno entrambi natura contrattuale e, almeno in parte, sono sorretti da una medesima causa, ossia la realizzazione complessiva del programma concernente le prestazioni finali.
Il contratto preliminare è quindi un contratto preparatorio caratterizzato da un'efficacia obbligatoria complessa che partecipa del programma finale, al pari del contratto definitivo: da esso, infatti, deriva non solo l'obbligo di prestare il consenso alla stipula del definitivo, ma anche quello di porre in essere tutte le attività necessarie per far sì che il programma finale sia attuabile in modo satisfattivo per entrambe le parti.
Il contratto definitivo, a sua volta, è assistito, di norma, da un concorso di cause, e cioè presenta una causa propria, connessa alla funzione assolta dal preliminare quale strumento di controllo delle sopravvenienze, e una funzione solutoria, che si concreta nell'esecuzione dell'obbligo assunto in sede di preliminare.

La tesi minoritaria: il preliminare quale contratto "definitivo" obbligatorio
Occorre, infine, dar conto seppur sinteticamente di un minoritario orientamento dottrinale il quale giunge a identificare il preliminare di vendita con una vera e propria vendita obbligatoria definitiva, con cui, da un lato il promissario acquirente si obbliga definitivamente al pagamento del prezzo, e dall'altro, il promittente venditore si vincola in modo definitivo a trasferire la proprietà del bene oggetto del contratto.
La produzione dell'effetto traslativo sarebbe, invece, differita al compimento da parte del promittente venditore di un successivo atto meramente solutorio (secondo alcuni avente natura di negozio con causa esterna, secondo altri di atto giuridico in senso stretto).
Tale tesi, riecheggiando il modello tedesco - che, dando la stura alla nota scissione tra titulus e modus adquirendi, attribuisce efficacia traslativa a un atto astratto solutorio rispetto a un contratto definitivo ad efficacia meramente obbligatoria - eleva il preliminare a contratto definitivo a efficacia reale differita e degrada il definitivo ad atto, dalla negozialità dubbia o pallida, meramente adempitivo dell'obbligo assunto con la stipulazione a monte, e quindi privo di una causa propria.
La giurisprudenza in materia di applicabilità dell'art. 1183 c.c. al contratto preliminare
Come noto, ai sensi dell'art. 1183 c.c., la regola dell'immediata esigibilità della prestazione opera con esclusivo riguardo al caso della mancata determinazione del tempo della medesima, mentre quando il termine non sia stato fissato, essendosene rimessa l'individuazione alla volontà di una delle parti, spetta al giudice - con apprezzamento di fatto che si sottrae a controllo di legittimità se correttamente e congruamente motivato - di stabilirlo secondo le circostanze.
Ebbene, si è posto il problema se tale regola sia applicabile anche nel caso in cui, nell'ambito di un contratto preliminare, sia stata rimessa a una delle parti la fissazione del termine entro cui addivenire alla stipula del definitivo e tale parte non vi abbia ingiustificatamente provveduto. Sul punto, la giurisprudenza si è espressa in senso affermativo (Cassazione civ. 10 dicembre 2001, n. 15587) è tornata sull'argomento, soffermandosi su taluni corollari derivanti da tale impostazione.

Il preliminare quale strumento di controllo delle sopravvenienze
Dobbiamo spendere, ora, qualche parola proprio sulla funzione di gestione delle sopravvenienze, assolta dal contratto preliminare.
Attraverso la sequenza preliminare-definitivo, le parti, una volta "fermato" l'affare, rinviano il trasferimento del diritto, e, generalmente, il saldo del prezzo a una successiva manifestazione di volontà. È evidente che l'introduzione di un intervallo temporale tra il momento obbligatorio e quello traslativo assolve alla fondamentale funzione di consentire ai paciscenti una più attenta valutazione della convenienza del programma negoziale, alla luce di eventuali mutamenti delle circostanze intervenuti nel corso di tale spatium temporis.
Dunque, laddove nelle more si verifichino sopravvenienze, le parti, prima di acconsentire alla stipula del definitivo, avranno modo di ponderare la consistenza delle stesse, l'incidenza di esse sulla realizzabilità dell'assetto di interessi programmato, e l'opportunità o meno di apportare modifiche. Si suole distinguere tra variazioni essenziali (o patologiche) e variazioni marginali (o fisiologiche). Le prime incidono in modo sostanziale sull'idoneità dell'originario programma contrattuale a soddisfare gli interessi perseguiti dalla parti (si pensi ad esempio all'apposizione di un vincolo preordinato all'esproprio, che rende il bene promesso in vendita, sostanzialmente incommerciabile). Le seconde, invece, ingenerano solo un'alterazione dell'equilibrio economico tra le prestazioni (si pensi a titolo esemplificativo, alla sopravvenuta apposizione sul bene promesso in vendita di un vincolo storico-artistico, la quale non impedisce l'utilizzazione del bene, imponendo solo l'adozione di misure conservative finalizzate a preservare le caratteristiche di pregio dello stesso).
È evidente che in presenza di sopravvenute variazioni (anche di carattere essenziale) le parti, nell'esplicazione dell'autonomia negoziale, sono libere di pervenire, comunque, alla stipula del contratto definitivo; contratto del quale si è, non a caso prima ribadita, in quest'ottica, la schietta negozialità. Occorre solo soggiungere che ove il definitivo modifichi il programma contrattuale graffiato da sopravvenienze radicali, si tratterà di un c.d. "falso definitivo", ossia di un contratto autonomo volto a servire una causa concreta nuova.
Qualora, invece, il definitivo apporti modifiche valoristiche a un preliminare piegato allo stesso programma, avremo a che fare, con tutte le conseguenze disciplinatorie del caso, con un definitivo
c.d. "infedele", ma non un "falso definitivo". Si è, invece, a lungo dibattuto se il giudice abbia il potere di controllare le sopravvenienze e di apportare modifiche al regolamento preliminarmente concordato dalle parti, laddove queste ultime non raggiungano un accordo sulla rilevanza o consistenza delle variazioni intervenute.
In una prima fase, la giurisprudenza, in ossequio al dogma dell'identità contenutistica tra preliminare e sentenza ex art. 2932, c.c., muovendo dall'assunto che la gestione delle sopravvenienze competesse esclusivamente alle parti, è giunta a sostenere che qualsiasi variazione, anche non incidente in modo significativo sul programma negoziale, impedisse l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre derivante dal preliminare.
Successivamente, si è acquisita consapevolezza che proprio il principio di identità contenutistica tra preliminare e sentenza ex art. 2932, c.c., se letto correttamente, conduce a esiti differenti. Tale principio, infatti, inteso in senso sostanziale, esige perché sia rispettata la volontà espressa dalle parti in sede di preliminare, che il giudice adito ex art. 2932, c.c., si faccia carico di ristabilire l'equilibrio economico tra le prestazioni venuto meno nelle more.
Dunque, il giudice, in presenza di variazioni marginali, ha il potere-dovere di accogliere la domanda ex art. 2932, c.c., apportando le modifiche necessarie.
A fronte di variazioni essenziali (o patologiche), invece, la domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre non può essere accolta, principio, questo, ribadito dalla seconda sezione civile della Suprema Corte (Cassazione civ., 30 novembre 2007, n. 25050).
Le Sezioni Unite (6 marzo 2015, n. 4628) chiarirono che la stipulazione di un contratto preliminare di preliminare, ossia di un accordo in virtù del quale le parti si obblighino a concludere un successivo contratto che preveda anche solamente effetti obbligatori (e con l'esclusione dell'esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento) è valido ed efficace, e dunque non è nullo per difetto di causa, ove sia configurabile un interesse delle parti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto, fondata su una differenziazione dei contenuti negoziali, e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. Il medesimo massimo consesso precisava, ulteriormente, che la violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, è idonea a fondare, per la mancata conclusione del contratto stipulando, una responsabilità contrattuale da inadempimento di una obbligazione specifica sorta nella fase precontrattuale.
Si è arrivati ad affermare che in ipotesi di contrattazione preliminare relativa a una compravendita immobiliare scandita in due fasi, con la previsione della stipula di un contratto preliminare dopo la conclusione del primo accordo, il giudice di merito deve dapprima verificare se tale intesa non sia già da considerare un negozio giuridico valido e suscettibile di effetti ai sensi degli articoli 1351 e 2932 del codice civile o solo effetti obbligatori con l'esclusione dell'esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento (Cassazione civ., Sez. II, Ordinanza 28 novembre 2019, n. 31188). Più specificamente, come laconicamente affermato dallo stesso Giudice di legittimità (Cassazione civ., Sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26861) il "preliminare di preliminare" si può far valere per violazione dell'obbligo a contrarre.

L'esistenza di una causa concreta
Per i giudici ermellini il giudice di merito non può considerare nullo per difetto di causa un accordo, ritenendolo riconducibile ad un preliminare di preliminare, senza verificare la sussistenza di una causa concreta. La verifica in questione, qualora positiva, risulta tale da rendere l'accordo meritevole di tutela da parte dell'ordinamento giuridico, poiché inserito in una sequenza procedimentale differenziata, secondo un programma di interessi realizzato in modo graduale. La II Sezione Civile della Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 23736 depositata il 28 ottobre 2020, ha accolto, sul punto, la richiesta del ricorrente di rivedere la sentenza con cui la Corte territoriale aveva considerato nulla, per difetto di causa, una scrittura privata, tramite la quale una società si era impegnata a vendere un bene immobile in favore del ricorrente. Per i giudici territoriali la scrittura doveva essere qualificata "preliminare di un preliminare" e, per l'effetto, non degna di tutela. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rammentato che gli stessi giudici di legittimità, a Sezioni unite, hanno eliminato le incertezze in ordine all'ammissibilità del cosiddetto preliminare di preliminare, chiarendo che in ipotesi di "contrattazione preliminare relativa a una compravendita immobiliare scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti". Nel caso di esito negativo, potrà considerare produttivo di effetti l'accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un ulteriore contratto preliminare. E ciò "qualora emerga la configurabilità dell'interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare". Tali passaggi, tuttavia, risultavano essere stati omessi dal collegio territoriale, che si era limitato ad una verifica iniziale sulla riconducibilità dell'accordo concluso tra le parti ad un contratto preliminare, senza indagare sulla reale sussistenza di una causa concreta.

Il contenuto del definitivo supera sempre quello dei patti preliminari?
Il contenuto del contratto definitivo supera i patti impressi nel preliminare e, per l'effetto, i firmatari di quest'ultimo non possono adire la giustizia al fine di chiedere, ed ottenere, l'adempimento di obblighi che, nonostante già previsti nell'accordo primigenio, non siano stati, in seguito, replicati nel successivo contratto definitivo. Il principio è stato affermato da un Giudice di merito (Tribunale di Roma, Sentenza n. 35549 dell'8 ottobre 2019), che richiama, confermandola, la giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto. Nella specie, l'attore, in veste di venditore, si era impegnato a cedere, alla parte poi convenuta in guidizio, le quote di partecipazione ad una S.r.l. al medesimo intestate, per un corrispettivo pari ad euro 85.500, da versarsi in rate da 500 euro mensili. La promissaria acquirente, nel gennaio 2015, aveva interrotto i versamenti, quindi il promittente chiedeva la condanna della donna al pagamento di 33.500 euro, pari alla somma residua di cui si affermava creditore. La convenuta deduceva che, nella medesima data in cui era stato raggiunto l'accordo preliminare, le parti avevano convenuto, in una scrittura privata con firme autenticate da un notaio, un accord ove l'attore avrebbe ceduto le proprie quote della S.r.l. sia alla donna che a una terza persona, ma per un importo inferiore a quello dapprima stabilito, contestualmente dichiarando di aver ricevuto il pagamento del corrispettivo e, per l'effetto, di non aver più nulla da pretendere. Il Giudice di merito che ha esaminato la vicenda ha evidenziato che,nell'ipotesi ove le parti, a seguito della stipula di un preliminare, in seguito concludano il definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo. E ciò in quanto il preliminare determina unicamente l'obbligo reciproco della stipula del definitivo, conseguendo che la disciplina del secondo accordo può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva. Richiamando la sentenza n. 1677 del 2015 della Corte di Cassazione, il Giudice di merito ha rammentato che, nel silenzio del definitivo, la presunzione di conformità del nuovo negozio alla volontà delle parti può essere vinta soltanto dalla prova (dovendo peraltro risultare da atto scritto qualora il contratto abbia per oggetto immobili) di un accordo concluso dalle medesime parti in simultaneal alla stipula del definitivo, e dal quale risulti che ulteriori obblighi o prestazioni, già previsti nel preliminare, sopravvivono. Prova siffatta deve essere fornita dalla parte che richieda l'adempimento di tale distinto accordo. Nella specie, il contratto definitive conteneva la quietanza di pagamento del corrispettivo della cessione delle quote, ed era stato sottoscritto pure da un terzo, in qualità di acquirente di una parte delle medesime quote. Le rappresentate circostanze comprovano che il definitivo costituiva, per l'effetto, l'unica fonte dei diritti e degli obblighi delle parti, con la conseguenza che il Giudice ha rigettato la domanda attorea.

Preliminare di vendita di cosa totalmente e parzialmente altrui
Negli ultimi anni la giurisprudenza ha avuto occasione di soffermarsi, più volte, su specifiche problematiche inerenti il preliminare di vendita di cosa altrui.
È bene chiarire fin da ora che all'interno della fattispecie in esame si suole distinguere, sotto il profilo oggettivo, a seconda che il bene sia integralmente o parzialmente altrui; e sotto il profilo soggettivo, a seconda che il promissario acquirente, all'atto del preliminare, sia o meno consapevole che il bene promesso in vendita dalla controparte appartenga (integralmente o parzialmente) ad altri.
Sulla tematica del preliminare di vendita di cosa integralmente altrui stipulato da un promissario acquirente ignaro del difetto di legittimazione del promettente-venditore sono intervenute le Sezioni Unite con Cassazione civ., Sez. Un., 18 maggio 2006, n. 11624.
Giova ai nostri fini ricordare che sul tema specifico della garanzia per evizione è intervenuta fra l'altro la Suprema Corte (Cassazione civ., Sez. II, 23 novembre 2007, n. 24448). Tale pronuncia ha precisato che, qualora il contratto di vendita sia stipulato direttamente tra terzo proprietario e promissario acquirente, il promittente venditore può essere chiamato a rispondere per evizione purché il trasferimento del diritto di proprietà sulla res sia avvenuto in conseguenza dell'attività dal medesimo svolta.
Passando ora all'esame del preliminare di vendita di bene parzialmente altrui, esso si configura laddove alla stipula di un preliminare avente a oggetto un bene comune non acconsentano tutti i comproprietari.
In tema di comunione ordinaria, si ricordano le Sezioni Unite del 1993 (Cassazione civ., Sez. Un., 8 luglio 1993, n. 7481): esse hanno affermato, con riferimento al preliminare di vendita di un immobile indiviso, che quando il consenso non sia stato manifestato da tutti i comproprietari o sia stato validamente manifestato da alcuni soltanto di essi, il contratto è inesistente (per mancato perfezionamento dell'iter formativo) o invalido, non essendo stato validamente manifestato il consenso di una delle parti.
Un'altra peculiare ipotesi di preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui è costituita dal preliminare concluso da un coniuge senza il consenso dell'altro, in regime di comunione legale. Sul tema, si segnala la pronuncia delle Sezioni Unite (Cassazione civ., Sez. Un., 24 agosto 2007, n. 17952), particolarmente interessante, specie per talune affermazioni inerenti profili processuali. In particolare, la Suprema Corte assume una posizione netta in ordine alla necessità o meno della partecipazione del coniuge pretermesso al giudizio ex art. 2932 c.c., instaurato dal promissario acquirente a fronte del rifiuto di pervenire alla conclusione del definitivo oppostogli dal coniuge stipulante.
Essa afferma, infatti, che laddove nel giudizio promosso ex art. 2932 c.c. dal promissario acquirente il coniuge rimasto estraneo alla stipula del preliminare non sia stato convenuto, né sia stato successivamente integrato il contraddittorio nei suoi confronti, il processo svoltosi è da ritenersi nullo e deve essere nuovamente celebrato a contraddittorio integro.
I preliminari c.d. "a catena"
Si ha preliminare a catena laddove promittente venditore e proprietario del bene sono a loro volta parti di un contratto preliminare di vendita preesistente. Innanzitutto, si è posta la questione se, in presenza di simili circostanze, il promissario acquirente sia legittimato ad agire in via surrogatoria ex art. 2900 c.c., sostituendosi al promittente venditore nell'esercizio dell'azione ex art. 2932, c.c., allo stesso spettante nei confronti del terzo proprietario del bene.
Ai sensi dell'art. 2900 c.c., il creditore per assicurarsi che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni, può esercitare i diritti e le azioni, che spettano verso i terzi al proprio debitore, purché per loro natura o per disposizione di legge non siano diritti o azioni che possono essere esercitati solo dal loro titolare. Dunque, assume rilievo centrale il dubbio interpretativo concernente la natura personale o meno dell'azione ex art. 2932 c.c.
È evidente che muovendo dalla teoria del doppio contratto, che esalta il ruolo del preliminare quale strumento di controllo delle sopravvenienze, si dovrebbe escludere l'ammissibilità dell'azione surrogatoria, essendo il definitivo esplicazione dell'autonomia negoziale delle parti.
La Suprema Corte è, invece, giunta a opposta conclusione, affermando che, quanto meno a tali fini, prevale la causa solutoria del definitivo, essendo stata compiuta la scelta negoziale in sede di stipula del contratto preliminare. Implicitamente ha aderito a tale impostazione una pronuncia della seconda sezione del 2006 (Cassazione civ., Sez. II, 16 marzo 2006, n. 5875).
Il preliminare a effetti anticipati
Con l'evolversi della prassi commerciale, soprattutto nell'ambito del mercato immobiliare, accanto al contratto preliminare puro, si sono delineate differenti figure di tale negozio qualificate come "complesse". Tra queste, ha avuto una particolare diffusione il c.d. "preliminare a effetti anticipati", con il quale le parti convengono la consegna della res e il pagamento parziale o totale del prezzo contestualmente alla conclusione dell'accordo.
Questo istituto è stato oggetto di attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza, che hanno proposto varie ricostruzioni del fenomeno. Secondo un primo orientamento, risalente nel tempo, si riteneva che le obbligazioni suddette trovassero la loro fonte nel definitivo.
Successivamente, alla luce della teoria del c.d. "doppio contratto", la giurisprudenza ha ricondotto la fonte delle obbligazioni della consegna del bene e del pagamento del prezzo al preliminare, quali prestazioni accessorie rispetto alla principale obbligazione di stipulazione del definitivo.
Nei casi, registrati di frequente nella pratica negoziale del settore immobiliare, di contrattazione preliminare di compravendita immobiliare scandita in due fasi con previsione della stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione del primo accordo, è stato chiarito (Cassazione civ., Sez. II, Ordinanza 28 novembre 2019, n. 31188) che gli artt. 1325, 1326, 1351, 1418, 1470 e 2932 del codice civile impongono al Giudicante di valutare quale sia la causa concreta del negozio giuridico: in particolare, se il Giudice di merito ravvisa nel primo accordo l'interesse delle parti ad una formazione progressiva del contratto allora esso non costituisce un "preliminare di preliminare", bensì un preliminare valido, che obbliga le parti alla stipula successiva di un altro contratto preliminare e che da luogo all'esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. Tale tipologia di negozio ha posto l'esame della questione afferente agli effetti di un'eventuale risoluzione del vincolo, a cui risulta essere stata riconosciuta, tuttavia, la sola efficacia obbigatoria: la disponibilità di un immobile a seguito della relativa consegna in base ad un preliminare ad effetti anticipati ha natura di detenzione qualificata e non di possesso utile ai fini dell'usucapione, stante la efficacia solamente obbligatoria del contratto in parola (Corte Appello Bologna, Sez. I, 29 maggio 2019, n. 1757).
Il preliminare del contratto preliminare di bene comune
Infine, un ultimo cenno merita la questione relativa al preliminare del preliminare di un bene indiviso. Nella peculiar ipotesi di stipulazione di un contratto preliminare di preliminare, avente ad oggetto la compravendita di un bene in comunione "pro indiviso", secondo la giurisprudenza di legittimità (Cassazione civ., Sez. III, Ordinanza 08 marzo 2019, n. 6727) sussistono i presupposti dell'obbligazione solidale passiva, cosicché la domanda di risarcimento del danno per inadempimento può essere proposta dal promissario acquirente nei confronti anche di uno solo dei comproprietari, non configurandosi un'ipotesi di litisconsorzio necessario. Nella fattispecie esaminata dal collegio di legittimità, è stata confermata la sentenza che aveva escluso la sussistenza del litisconsorzio necessario con riferimento alla domanda risarcitoria proposta dai promissari acquirenti nei confronti di uno solo dei comproprietari dell'immobile, il quale aveva concluso il relativo contratto preliminare di preliminare sia in proprio, sia quale rappresentante degli altri comproprietari, in forza di procura speciale da questi ultimi ricevuta.
Il contratto perfezionato per corrispondenza: è soggetto a registrazione e versamento dell'imposta?
Per completezza, degna di nota è l'Ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione (n. 19799 del 26 luglio 2018) che ha esaminato la fattispecie relativa allo "scambio di corrispondenza commerciale", statuendo che per configurarlo, e pertanto renderlo soggetto a registrazione e, ulteriormente, al pagamento dell'imposta proporzionale di registro solo in caso d'uso (e non in termine fisso entro 20 giorni), non è necessario che il rapporto epistolare si attui esclusivamente mediante lettere spedite e ricevute. A siffatta modalità va, infatti, equiparata pure quella identificata con lo scambio delle dichiarazioni unilaterali effettuato brevi manu, con l'effetto che risulta irrilevante la mancanza della prova dell'avvenuta trasmissione tra le parti dei documenti redatti in forma di lettera commerciale, come proposta e accettazione, nonché la circostanza che le società abbiano avuto la medesima sede sociale. Ciò considerando, i giudici hanno respinto il ricorso avanzato dall'Agenzia delle Entrate avverso la decisione di merito che aveva annullato tre avvisi di liquidazione dell'imposta di registro emessi nei confronti di alcune società. Ancor più in dettaglio, nella vicenda de qua, l'amministrazione finanziaria aveva disconosciuto la redazione, in forma di lettera commerciale, di alcuni contratti relativi a operazioni di finanziamento infruttifero effettuare da una S.p.A. in favore di due S.r.l., sue socie. Tra gli ulteriori motivi sollevati in sede di legittimità, l'Agenzia aveva lamentato che, nella specie, anche se i finanziamenti risultavano da lettere commerciali, non poteva dirsi che tali operazioni si fossero perfezionate per corrispondenza, mancando la prova della spedizione e, in ogni caso, dello scambio dei documenti tra le parti. In definitiva, secondo il dictum in questione, il contratto stipulato per corrispondenza non è soggetto a registrazione ed al conseguente pagamento dell'imposta di registro poiché, ai fini dell'imposta di registro, il contratto stipulato per corrispondenza si distingue da quello stipulato per scrittura privata non autenticata, in quanto in ogni documento rappresenta la raccolta della volontà unilaterale di un solo contraente (ogni atto risultava, infatti, sottoscritto solo da un contraente). Tale modalità si verifica anche qualora lo scambio delle dichiarazioni unilaterali avvenga brevi manu. Nella medesima occasione la Corte di Cassazione ha evidenziato che il contratto è soggetto a registrazione ed al pagamento dell'imposta di registro solamente in caso d'uso, bensì non in termine fisso, ovvero entro venti giorni.
Versamento del prezzo alla stipula del contratto preliminare
Il contratto di compravendita è legittimo e non richiede interpretazione alcuna, ove la parte acquirente ha inteso corrispondere l'intero prezzo del bene al momento della stipula del preliminare, senza pertanto attendere il negozio definitivo. In caso contrario, la parte acquirente sarebbe fortemente penalizzata, non riconoscendosi all'intero pagamento anticipato la possibilità di far entrare l'acquirente nell'esclusiva titolarità del bene. Nella vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 703/22, la parte venditrice aveva ritenuto che il giudice territoriale avesse sbagliato nel ritenere adempiuta l'obbligazione principale derivante dal preliminare, con conseguente inadempimento all'obbligo di stipulare il contratto definitivo ad opera della parte venditrice. Secondo i giudici di legittimità, si tratta di un ricorso basato unicamente su un elemento formale che non può inficiare in alcun modo la sostanza del negozio: il giudice territoriale ha ritenuto comprovato l'avvenuto pagamento del corrispettivo in base all'interpretazione di una clausola impressa sul contratto preliminare, nella quale si leggeva che il corrispettivo "era stato pagato per l'intero importo alla firma del preliminare". L'interpretazione fornita al contratto poteva spettare unicamente al giudice di merito, per l'effetto è risultata insindacabile da parte della Cassazione, trattandosi peraltro di un "ragionamento giuridico" che il Collegio romano ha ritenuto plausibile. Per l'effetto, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente.
Considerazioni conclusive
In conclusione, dopo aver esaminato i molteplici aspetti e le questioni afferenti alla tematica del "preliminare di preliminare", che impegna da anni dottrina giuridica e giurisprudenza, significativa, e degna di nota, appare l'argomentazione esposta da un giudice di merito (Tribunale Catania civ., Sez. I, 21 marzo 2018, n. 1290) che, soffermandosi sulla materia contrattuale, ha esaminato e riassunto l'attuale posizione: integra un contratto preliminare il negozio preparatorio bilaterale, concluso in vista della stipula del contratto definitivo, che, pur contenendo al pari del preliminare, il contenuto essenziale del futuro contratto, individuando con sufficiente precisione sia le parti, sia il bene oggetto della compravendita e sia il prezzo, obbliga, tuttavia, le parti alla stipula del preliminare al verificarsi di un determinato evento, come il rilascio della concessione edilizia. Sussiste in tal caso la volontà delle parti di procedere a una formazione progressiva del consenso che comporta una procedimentalizzazione dell'intera operazione negoziale, di cui deve essere vagliata la meritevolezza degli interessi che la giustificano. Il contratto è valido, infatti, se il successivo negozio non sia meramente ripetitivo dello stesso, ma realizzi un interesse concreto delle parti meritevole di tutela. Nel caso vagliato dal Tribunale, la suddivisione in fasi dell'intera vicenda negoziale è stata ritenuta meritevole di tutela in quanto rispondente sia all'interesse del venditore a conseguire medio tempore la concessione edilizia, a cui è collegata temporalmente la stipula del compromesso, ma anche all'interesse dell'acquirente a dilazionare il pagamento del prezzo nel tempo con scadenze successive prestabilite. Infine, nell'Ordinanza n. 703 resa dalla VI Sezione Civile della Cassazione il 12 gennaio 2022, si afferma che nel contratto di vendita è legittima a perfezionare il negozio la clausola del preliminare in cui si dice che il prezzo è stato versato per intero alla firma del preliminare.

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