Penale

Nonnismo: pratiche estranee al servizio militare e giurisdizione spetta al giudice ordinario ai sensi del Codice penale comune

L'evocazione di tale deprecabile pratica nulla ha a che fare con la violazione di doveri militari applicandosi, semmai, la causa di esclusione contemplata dall'articolo 199 del Cpmp

di Aldo Natalini

Le disdicevoli ragioni della pratica del "nonnismo" militare e gli atti di sopraffazione che la contraddistinguono non sono in sé ricollegabili al dispiegarsi del rapporto gerarchico, né al servizio o al rispetto della disciplina militare. Il genere di dominio alla base delle prove vessatorie cui viene sottoposta la recluta è riconducibile, infatti, non già al grado e all'esercizio dei poteri dei superiori, bensì a un'"anzianità" della presenza nel gruppo in un certo contesto ambientale che resta, appunto, estranea alle ragioni del servizio e della disciplina militare e prescinde da ogni gerarchia istituzionale. Pertanto l'evocazione di tale deprecabile pratica nulla ha a che fare con la violazione di doveri militari applicandosi, semmai, la causa di esclusione contemplata dall'articolo 199 del Cpmp.
Così la sentenza n. 17091/2021, della sezione I penale della Corte di Cassazione, depositata il 4 maggio scorso, che ha risolto il conflitto di giurisdizione sollevato dal Gup del Tribunale militare di Roma nei confronti del Gup del Tribunale di Pisa.

La Suprema corte, esclusa la sussistenza del reato militare di violenza a inferiore ascritto davanti al giudice speciale, ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario perché quello di Emauele Scieri – il parà ucciso nella caserma Gamerra di Pisa il 13 settembre 1999 a seguito di atti di «spregiudicata e brutale violenza» – è qualificabile come omicidio volontario, perseguibile ai sensi del codice penale comune. Tanto più che il fatto si è verificato «nel momento in cui gli autori della condotta (i militari destinatari di una licenza breve) e la vittima (appena rientrata dalla libera uscita) non erano impegnati in attività di servizio e perciò si trovavano in abiti civili». «La caserma, quindi, si presenta[va] solo come il luogo in cui si verificava il fatto» senza che rilevi, ex se, detto "luogo militare" ai fini della configurabilità della fattispecie speciale di violenza contro inferiore, che resta inapplicabile ex articolo 199 Cpmp.

La vicenda e il denunciato conflitto
La nota vicenda di cronaca - definita, in punto di giurisdizione, con la sentenza in commento - vede imputati tre militari di fronte all'Ag militare (Gup militare di Roma) e all'Ag ordinaria (Gup di Pisa).
La Procura generale militare (dopo l'avocazione delle indagini) contestava loro il reato militare di violenza contro inferiore (articoli 195, comma 1 e 2, del Codice penale militare di pace, in relazione agli articoli 61 n. 4 e 575 del Codice penale: «Il militare, che usa violenza contro un inferiore, è punito con la reclusione militare da uno a tre anni. Se la violenza consiste nell'omicidio volontario, consumato o tentato, nell'omicidio preterintenzionale, ovvero in una lesione personale grave o gravissima, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale), con le aggravanti della minorata difesa e dell'essere i militari rivestiti di un grado.
L'imputazione militare addebitava ai predetti di avere, in concorso tra loro, all'interno del caserma "Gamerra" di Pisa, quali militari con il grado di caporale presso il Reparto corsi del Centro Addestramento Paracadutismo, cagionato la morte dell'allievo paracadutista Emanuele Scieri, ponendo in essere contro tale inferiore, per cause non estranee al servizio e alla disciplina militare, atti di violenza e omettendo, dopo i gravi traumi in tal modo cagionatogli, di attivare i necessari soccorsi, così da potere evitare il decesso.

Nel coevo procedimento davanti all'Ag ordinaria di Pisa – con udienza preliminare fissata ma non ancora celebrata – ai medesimi imputati si contestava il reato comune di omicidio volontario aggravato in concorso (articoli 110, 575 e 577, comma 1, n. 4, del Cp in relazione all'articolo 61 n. 1 del Codice penale), per avere cagionato, agendo in concorso fra loro, la morte di Emanuele Scieri, attraverso condotte di violenza poste in danno dell'allievo paracadutista, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo di cui sopra ma la cui descrizione, di contro, escludeva ogni derivazione da cause inerenti al servizio e alla disciplina militare. La richiesta di rinvio a giudizio davanti al giudice ordinario vedeva altresì imputati due ulteriori soggetti per il reato di favoreggiamento.

All'udienza celebratasi innanzi al Gup militare la difesa di uno degli imputati presentava denuncia di conflitto di giurisdizione.
A supporto dell'attribuzione della giurisdizione dell'Ag ordinaria, il Gup pisano proponeva le sue osservazioni ex articolo 31, comma 2, del Cpp: in capo agli imputati – rappresentava – non esisteva un rapporto gerarchico funzionale e diretto rispetto alla persona offesa; gli stessi non erano effettivi nel reparto di addestramento delle reclute e al momento del fatto non erano in servizio, cosicché neppure indossavano la divisa e anche la vittima si trovava in libera uscita e perciò portava gli abiti civili. Non solo gli imputati posero in essere atti di violenza fisica nei confronti della parte offesa, ma la stessa "arrampicata a sole braccia del palco di salita", configurata come conseguenza di tali atti di nonnismo, non era un esercizio contemplato per la formazione dell'allievo paracadutista. Ed ancora, il riferimento alla violazione dell'obbligo di prestare soccorso, pure contenuto nell'imputazione davanti all'Ag militare, traeva spunto da un assunto smentito da precise risultanze: quello secondo cui Scieri, dopo essere precipitato al suolo, si sarebbe trovato nelle condizioni di potere essere salvato.
Tutto ciò dunque - secondo il Gup di Pisa (tesi oggi avallata dalla Cassazione col dictum in commento) - dimostrava l'assenza nei fatti di ogni profilo attinente al servizio e alla tutela della disciplina militare, di talché, esclusa la possibilità di ritenere il reato militare ascritto davanti al giudice speciale, la giurisdizione per quello di omicidio spettava al giudice ordinario.
Dal canto suo, il Pg militare della Repubblica rappresentava che le ragioni per le
quali riteneva la giurisdizione militare in ordine ai fatti non si basavano su elementi di prova diversi da quelli in possesso dell'Ag ordinaria, ma attenevano piuttosto alla diversa qualificazione giuridica della condotta.

I "luoghi militari" e le cause estranee al servizio o alla disciplina militare
La Cassazione, ritenuto ammissibile il sollevato conflitto, in presenza di tutte le condizioni richieste dall'articolo 28, comma 1, lettera a), del Cpp, lo ha risolto attribuendo la giurisdizione – per il reato di omicidio aggravato, l'unico ritenuto sussistente – al giudice ordinario.
La motivazione si sofferma anzitutto sull'esatta lettura delle condizioni descritte dall'articolo 199 del Cpmp – come "riscritto" dalla Corte Costituzionale – che escludono il ricorso dei reati militari previsti dal Libro secondo, Titolo terzo, Capo terzo (reati di insubordinazione) e Capo quarto (reati di abuso di autorità), e dunque anche del reato – contestato nella specie per i medesimi fatti – previsto dall'articolo 195 del Cpmp (violenza contro l'inferiore) che, in una delle forme aggravate previste dal comma 2, si realizza tipicamente attraverso la violenza che dà causa all'omicidio volontario.
L'articolo 199 del Cpmp (già riformulato dall'articolo 9 della legge n. 689/1985), all'esito della declaratoria di illegittimità costituzionale limitatamente alle parole «o in luoghi militari» (Corte Costituzionale n. 22/1991), esclude l'applicabilità delle disposizioni dei capi terzo e quarto «quando alcuno dei fatti da esse preveduto è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori dalla presenza dei militari riuniti per servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare [o in luoghi militari]».

La Consulta ha dichiarato la norma parzialmente incostituzionale (in riferimento agli articoli 3 e 52 della Costituzione) nella parte in cui prevedeva l'inapplicabilità della causa di esclusione dei suddetti reati militari – e, quindi, manteneva ferma la loro operatività – per il solo fatto che le condotte, pur al di fuori dello svolgimento del servizio (in cui si innesta il rapporto gerarchico-disciplinare), fossero realizzate (anche) in «luoghi militari», diversi dalle navi e dagli aeromobili militari.
Il giudice delle leggi – che ha infine espunto il riferimento "logistico" ai «luoghi militari» – ha valorizzato in parte motiva la sfera di protezione dei reati in questione, riguardante il bene della disciplina militare, sotto il profilo della garanzia del rispetto del rapporto gerarchico intercorrente fra il superiore e inferiore e l'osservanza da parte del primo dei doveri di comportamento inerenti alla propria funzione: un presupposto che ricorre in quelle situazioni e in quei rapporti la cui connotazione, obiettivamente militare, fa venire in gioco il bene della disciplina e, quindi, la rilevanza del rapporto gerarchico. Se però il fatto avviene in un «luogo militare» – come nella specie, ove i gravi fatti di nonnismo sono avvenuti all'interno della caserma Gamerra di Pisa – per cause del tutto estranee al servizio o alla disciplina e al di fuori dallo svolgimento del servizio, così come dalla presenza dei militari riuniti per servizio, la condotta rimane collegata in modo del tutto estrinseco all'area degli interessi militari attinenti alla tutela del servizio e della disciplina, giacché l'unico elemento considerabile si riduce al mero accadimento in uno spazio "militare", che in sé non può giustificare l'operatività delle fattispecie previste dai capi terzo e quarto.
Come ancora chiarito nella sentenza costituzionale n. 22/1991, i fatti così espunti dalla disciplina speciale, oltre a restare sanzionabili disciplinarmente, possono però integrare i reati previsti dagli articoli da 222 e 229 al Cpmp: reati che puniscono, tuttavia, fatti diversi da quello - di evento - che cagiona l'omicidio volontario, contemplato di contro dall'articolo 195 del Cpmp.

Tanto premesso, la Cassazione bene chiarisce nella sentenza in disamina che la caserma – nella specie – «si presenta[va] solo come il luogo in cui si verificava il fatto» omicidiario, verificatosi peraltro «nel momento in cui gli autori della condotta (destinatari di una licenza breve) e la vittima (appena rientrata dalla libera uscita), in assenza di precise relazioni funzionali dirette, per il tipo di collocazione delle rispettive figure nell'organigramma militare, non erano impegnati in attività di servizio e perciò si trovavano in caserma in abiti civili».
Dunque, non poteva essere il luogo militare in sé a giustificare la contestata fattispecie militare di cui all'articolo 195 Cpmp, da escludersi agli effetti del vigente articolo 199 Cpmp.
Il dictum: le pratiche di nonnismo e la loro estraneità alla disciplina militare
Ad eguali esiti di estraneità alle ragioni del servizio e della disciplina militare giunge poi la Cassazione rispetto alle causali che hanno dato origine alle contestate pratiche di "nonnismo" richiamate da entrambi i giudici in conflitto.
«Le disdicevoli ragioni di tale pratica e gli atti di sopraffazione che la contraddistinguo – cadenza la Corte regolatrice – non sono in sé ricollegabili al dispiegarsi del rapporto gerarchico, così come al servizio o al rispetto della disciplina militare. Rilevano, invece, secondo l'essenza dello stesso manifestarsi del fenomeno, le vessatorie condizioni di integrazione che vengono imposte ai nuovi arrivati in un gruppo che già vive e interagisce socialmente in un determinato luogo in cui debbono svolgersi certe attività. Tale contesto è individuabile nella caserma nel caso del "nonnismo" militare, ma può anche essere costituito da un altro luogo, nel quale, sul piano delle distorte relazioni sociali proiettate all'interno di un certo gruppo, possono innescarsi le stesse dinamiche di sopraffazione di tipo ambientale.

La sentenza in commento si allinea così alla pregressa giurisprudenza di legittimità secondo cui, in ambito militare, i comportamenti violenti connessi al fenomeno del "nonnismo" non sono costitutivi del reato di cui all'articolo 195 del Cpmp (violenza contro un inferiore) in quanto non sono posti in essere per motivazioni inerenti al servizio e alla disciplina militari, non rientrando siffatti comportamenti in questo ambito, né essendo essi tali da turbare l'ordinato svolgersi del rapporto gerarchico, alla cui sola tutela presiede la norma in esame. Le predette condotte possono essere perseguite a norma di altre disposizioni del codice penale militare di pace (come nel caso delle percosse di cui all'articolo 222 di tale codice) ovvero del codice penale ordinario (come nel caso della violenza privata prevista dall'articolo 610 del Cp), ricorrendone le rispettive condizioni, ma non possono integrare una delle figure di reato di cui al Capo terzo e al Capo quarto del Titolo terzo del Libro secondo del Cpmp, non incidendo sull'oggetto giuridico protetto dalle relative disposizioni (Cassazione, sezione I penale, n. 4139/1995, Quercia, Ced 200792).

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