Famiglia

Il diritto all'assegno vitalizio di cui all'articolo 580 del Cc spetta anche al figlio biologico non riconosciuto

Nota a sentenza Corte di Cassazione, sez. I, del 27 settembre 2022 n. 31672

di Giulia Sapi e Marta Rigon*

Il diritto all'assegno vitalizio di cui all'art. 580 cod. civ., che sorge "ex lege" per responsabilità patrimoniale del genitore biologico avente fonte nel fatto procreativo, spetta anche al figlio che abbia già il diverso "status" di figlio altrui e nel novero dei figli "non riconoscibili" devono comprendersi anche coloro che, avendo un diverso stato di filiazione, per scelta consapevole non hanno impugnato il precedente riconoscimento o non hanno proposto azione di disconoscimento di paternità, non potendo negarsi al figlio, pena la violazione degli artt. 2 e 30 Cost. e 8 CEDU, la possibilità di scegliere tra la minore tutela successoria di cui all'art. 580 cod. civ., conservando la stabilità della sua identità familiare precedente, e quella "piena" che gli competerebbe ove facesse giuridicamente accertare la filiazione biologica. ( sentenza Corte di Cassazione, sez. I, del 27 settembre 2022 n. 31672)

Il quadro giuridico e normativo

Con l'espressione "responsabilità per il mantenimento" l'art. 279 c.c. (nel testo modificato dall'art. 36 del D. Lgs 28 dicembre 2013, n. 154) si riferisce all'azione con la quale, in presenza di determinati presupposti, il figlio nato fuori del matrimonio può chiedere nei confronti del genitore biologico e senza che vi sia attribuzione dello status genitoriale, il mantenimento (se minorenne o se maggiorenne non autosufficiente) o gli alimenti (se maggiorenne e in stato di bisogno) ovvero, in caso di morte del genitore biologico, un assegno vitalizio a carico degli eredi (articoli 580 e 594 c.c.).

Ed invero, il codice, volendo venire incontro alla necessità del figlio che si trovi nelle condizioni di cui all'art. 279 c.c., prevede anche una tutela di tipo "ereditario", nonostante questa aggettivazione non sia del tutto appropriata, posto che il figlio che agisce non può essere qualificato come erede del presunto genitore biologico defunto.

Più in particolare, l'art. 580 c.c. prevede che: "Ai figli nati fuori del matrimonio aventi diritto al mantenimento, all'istruzione e all'educazione, a norma dell'articolo 279, spetta un assegno vitalizio pari all'ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbero diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta [250 ss., 594]".

Ciò posto, nei procedimenti azionati sulla base dell'art. 279 c.c. l'accertamento del rapporto biologico, ai fini dell'attribuzione delle obbligazioni economiche genitoriali, è fatto incidenter tantum e senza dichiarazione formale dello status.

Il presupposto per l'esperimento dell'azione di mantenimento e quella di tipo "ereditario" consiste nella circostanza secondo cui "non può proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità", così come disposto dall'art. 279 c.c. richiamato anche negli articoli 580 e 594 c.c.. Tuttavia, questa impossibilità risulta ristretta nel nuovo sistema di filiazione, essendo l'azione imprescrittibile nei confronti del figlio e dunque sempre proponibile.

Giova osservare che con il regime previsto dal decreto legislativo n. 154 del 2013, il legislatore ha introdotto il fondamentale principio dell'unicità dello stato del figlio e la disposizione di cui all'art. 580 c.c., pur rimanendo sostanzialmente invariata, è stata adeguata lessicalmente con la locuzione "figli nati fuori dal matrimonio" rispetto alla precedente dizione "figli naturali".

Peraltro, la stessa Suprema Corte già nel 1992 con la pronuncia n. 12733 aveva affermato che l'accertamento incidentale della procreazione naturale si configurava come puro fatto materiale, riscontrabile senza efficacia di giudicato, in quanto strumentale rispetto al riconoscimento di un diritto patrimoniale - specificamente azionato in via autonoma - che non presupponeva l'attribuzione dello status di figlio naturale. Tuttavia, la Corte di legittimità in tale pronuncia riteneva che sussistesse una condizione di ammissibilità per esperire l'azione ex art. 580 c.c. consistente nell'assoluta e originaria impossibilità per il figlio di esperire l'azione di accertamento della paternità oppure di disconoscimento della paternità.

Con successiva pronuncia, invece, la Corte di Cassazione ha ritenuto che se, dunque, il fatto materiale della procreazione naturale (accertabile anche incidenter tantum e svincolato dal riconoscimento formale del relativo status) costituisce l'antecedente giuridico immediato delle azioni attribuite al figlio naturale dall'art. 279 c.c. e se questo dato è direttamente collegabilecon l'art. 30, primo comma, della Costituzione, non si rivela coerente con tale precetto costituzionale un'interpretazione che riduca l'azionabilità di quei diritti ai soli casi in cui l'interessato sia venuto a trovarsi nell'impossibilità assoluta e originaria (e non relativa, in quanto sopravvenuta) di proporre l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità (Cass. 1° aprile 2004, n. 6365).

Per quanto concerne la natura dell'assegno, si tratta di una vocazione mortis causa a titolo particolare (legato ex lege) che ha natura successoria e non alimentare: conseguentemente, prescinde dallo stato di bisogno ed è dovuto dal giorno dell'apertura della successione, in relazione al valore che in quel momento aveva l'eredità. La norma sembrerebbe riguardare i soli minorenni aventi diritto al mantenimento: tuttavia, la durata dell'assegno (vitalizio e non limitato alla maggiore età) e il raffronto con l'art. 594 c.c. portano ad escludere la discriminazione fra minorenni e maggiorenni.

Ciò detto, sia in dottrina che in giurisprudenza è dibattuta la questione se possa invocare l'art. 580 c.c. chi abbia lo status di figlio legittimo di altro genitore e, solamente a seguito di un lungo iter, la Corte di cassazione (con la già richiamata sentenza del 2004) ha stabilito che l'azione ex art. 279 c.c. può essere esercitata anche dal figlio che abbia lo stato di figlio legittimo altrui e che sia impossibilitato ad esercitare l'azione di dichiarazione giudiziale di paternità per aver omesso il tempestivo esperimento, nel termine di decadenza, dell'azione di disconoscimento del padre legittimo. In tal caso, il figlio aveva così la possibilità di vantare altresì i diritti contemplati dagli artt. 580 e 594 c.c.. Tuttavia, ad oggi, considerato che il figlio non è mai impossibilitato all'esercizio dell'azione, in quanto è venuta meno la decadenza ad esercitare l'azione di disconoscimento della paternità, ovvero a impugnarne il riconoscimento per difetto di veridicità, appare curiosa la soluzione offerta dalla Suprema Corte nel caso in esame.

Il caso di specie

Dalla ricostruzione della vicenda emerge che l'originario attore è figlio "non riconoscibile" in forza del divieto di cui all'art. 253 c.c., posto che, nato prima del matrimonio tra sua madre e il nuovo compagno e riconosciuto da quest'ultimo unicamente dopo il matrimonio, è erede dello stesso in forza di un titolo di filiazione tutt'ora in essere e valido. Nel contempo, tuttavia, il predetto rivendica la paternità naturale del padre biologico, come mero fatto procreativo che rileva solo ai fini patrimoniali, ossia in relazione alla corresponsione dell'assegno vitalizio di cui all'art. 580 c.c..

La Corte d'Appello di Firenze ha confermato la decisione di prime cure con cui era stata accolta la domanda dell'attore per ottenere l'assegno vitalizio in qualità di figlio nato al di fuori del matrimonio, ai sensi dell'art. 580 c.c., nei confronti degli eredi del padre naturale deceduto.

Conseguentemente, i soccombenti hanno impugnato la decisione dinanzi alla Corte di legittimità.

Le motivazioni della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione

Secondo la Suprema Corte, la ratio della disposizione di cui all'art. 580 c.c. è quella di assicurare, in via eccezionale e derogatoria, una tutela patrimoniale successoria sui generis, ossia un diritto di credito nei confronti dell'eredità del genitore biologico, senza attribuzione né della qualità di erede, né dello status di figlio, ai soggetti sprovvisti di un titolo di stato di filiazione nei confronti del de cuius. Il fatto procreativo, dunque, come puro fatto materiale, nei casi di accertamento c.d. indiretto di paternità connotati dalla "non riconoscibilità" del figlio, determina unicamente il sorgere di un rapporto obbligatorio ex lege a limitati fini patrimoniali.

Pertanto, il Collegio ha ritenuto che nel novero della categoria dei figli "non riconoscibili" si devono comprendere anche coloro che, avendo un diverso stato di filiazione, per scelta consapevole non hanno impugnato il precedente riconoscimento ovvero non hanno proposto l'azione di disconoscimento della paternità, in linea continuativa con la già citata pronuncia del 2004.

Ritiene, dunque, la Suprema Corte che con tale opzione interpretativa appare ugualmente tutelato il principio di unicità dello stato di figlio, posto che la disposizione di cui all'art. 580 c.c. attribuisce unicamente un diritto di credito verso l'eredità del genitore biologico; così come appare rispettato anche il principio del favor veritatis, il quale non ha peraltro valenza costituzionale. Secondo la Corte di legittimità, invero, è possibile consentire al genitore "sociale" il mantenimento dello status genitoriale e la permanenza del rapporto giuridico di filiazione con un soggetto rispetto al quale difetta il fatto procreativo.

Ciò posto, il Collegio ha ritenuto che subordinare il riconoscimento dei diritti patrimoniali successori del figlio biologico alla rimozione dello status preesistente significherebbe violare il suo diritto all'identità familiare, declinato ex art. 30 Cost. nonché dall'art. 8 CEDU che tutela il diritto alla stabilità dell'identità familiare del figlio, in tutti i casi in cui, sul piano fattuale e sostanziale, si sia instaurato, per un periodo apprezzabile, un rapporto corrispondente alla genitorialità.

La Corte di legittimità ribadisce infine che da tale impostazione, in linea anche con l'art. 2 Cost. e con l'ordinamento sovranazionale, discende che non può negarsi al figlio, pena la violazione delle suddette norme, la possibilità di scegliere tra la minore tutela successoria di cui all'art. 580 c.c. – non subordinata alla previa rimozione dello status di figlio altrui – e quella "piena" che gli comporterebbe ove facesse giuridicamente accertare la filiazione biologica. Ed infatti, unicamente attribuendo tale scelta al figlio gli si consentirebbe, secondo i giudici di legittimità, di operare un bilanciamento dipendente da sue valutazioni soggettive e personali correlate a più diritti meritevoli di tutela: ossia, solo in tal modo il figlio potrebbe liberamente scegliere di preservare lo status e l'identità familiare con il genitore sociale, in forza di un legame affettivo verosimilmente consolidatosi in maniera continuativa per anni, senza dovere, al contempo, rinunciare ad ottenere quanto dovuto dal genitore biologico per i limitati diritti patrimoniali successori previsti dalla legge.

Osservazioni conclusive

Occorre concentrarsi sulla effettiva portata della sentenza in esame, ossia l'estensione in sostanza della legittimazione ad agire ai fini di ottenere la tutela successoria di cui all'art. 580 c.c., poiché con questa sentenza è proprio l'interpretazione del presupposto ad essere ampliata.

Ed invero, l'art. 580 c.c. fa riferimento all'assegno vitalizio che spetta ai figli nati fuori del matrimonio aventi diritto al mantenimento, all'istruzione e all'educazione, a norma dell'articolo 279 c.c., ossia ai cosiddetti "figli non riconoscibili", originariamente intesi come i figli c.d. incestuosi ovvero adulterini (categorie ad oggi prive di sostanziale rilevanza, risultando di fatto residua l'ipotesi di filiazione non riconoscibile).

Ebbene, con la già citata pronuncia n. 6365 del 2004, come condizione di ammissibilità dell'azione ex art. 580 c.c. era poi stata attribuita rilevanza anche all'impossibilità sopravvenuta, ossia derivante dall'omessa proposizione dell'azione di disconoscimento di paternità entro il termine di decadenza al tempo vigente per il figlio.

Tuttavia, tale considerazione non ha più alcuna pertinenza, posto che l'azione di disconoscimento della paternità, come pure l'impugnazione per difetto di veridicità, è divenuta imprescrittibile con la riforma attuata dal decreto legislativo n. 154 del 2013, potendo così essere iniziata in qualunque momento nel corso della vita del figlio.

Più in particolare, ai fini di meglio comprendere le conclusioni a cui è giunta la Suprema Corte nel caso di specie, giova richiamare quanto ulteriormente sostenuto dai giudici di legittimità proprio nella pronuncia del 2004, secondo cui le azioni consentite dall'art. 279 c.c. possono essere proposte anche quando il soggetto attivo abbia lo stato di figlio legittimo (o naturale) altrui. Ed invero, secondo la Corte di legittimità, posto che il nostro ordinamento non contempla un doppio e contestuale titolo di mantenimento, il figlio naturale (il quale si trovi ad avere anche lo stato di figlio legittimo di altri soggetti) può proporre le azioni previste dall'art. 279 cod. civ. qualora i genitori legittimi non abbiano i mezzi per provvedere oppure qualora, per le circostanze del caso concreto da accertare volta per volta, il figlio medesimo non possa comunque ottenere il mantenimento (o un sostegno economico) dai detti genitori legittimi. Secondo la Suprema Corte, dunque, l'analisi della portata letterale dell'art. 279 troverebbe riscontro nell'art. 30, primo comma, della Costituzione, con lo specifico richiamo in esso contemplato ai doveri incombenti sui genitori anche in relazione ai figli nati fuori del matrimoni.

Così concludendo, il figlio potrebbe trarre un vantaggio dalla duplice condizione di figlio nato fuori dal matrimonio e di figlio nato nel matrimonio o comunque rinosciuto e proprio su questa errata concezione di duplice tutela, i giudici di legittimità, nella recente pronuncia di cui si discute, fondano i presupposti per ampliare le condizioni di ammissibilità dell'azione ex art. 580 c.c., di fatto equiparando l'impossibilità di proporre l'azione alla "non volontà" di proporla, ricomprendendo nel novero dei figli "non riconoscibili" anche coloro che per scelta consapevole non hanno impugnato il precedente riconoscimento ovvero non hanno proposto l'azione di disconoscimento della paternità.

Tale soluzione interpretativa risulta essere piuttosto discutibile.

In primis, occorre rammentare precisamente l'origine che sta alla base dell'introduzione della disposizione di cui all'art. 580 c.c.: all'entrata in vigore del codice civile, invero, erano figli irriconoscibili quelli adulterini e quelli incestuosi. Attualmente, tuttavia, la categoria è priva di sostanziale rilevanza poiché il divieto di riconoscimento è venuto meno, quanto ai figli adulterini, con la riforma del diritto di famiglia del 1975 e per quelli incestuosi con la legge 10 dicembre 2012, n. 219. D'altra parte, la norma conserva comunque una parziale rilevanza per quanto riguarda, per esempio, i figli non riconoscibili perché nati da un rapporto incestuoso, in assenza di un'autorizzazione del giudice al riconoscimento.

L'opzione interpretativa fornita dalla Suprema Corte, dunque, si allontana drasticamente dall'intento originario volto alla tutela di soggetti che – in quanto non riconoscibili – non avrebbero avuto alcuna garanzia successoria. Ed infatti, quanto a coloro che hanno un diverso stato di filiazione e che per scelta consapevole non hanno impugnato il precedente riconoscimento ovvero non hanno proposto azione di disconoscimento di paternità, si ritiene che essi già godano di tutela, essendo eredi di colui che li ha riconosciuti.Non vi sarebbe, dunque, alcuna violazione degli artt. 2 e 30 della Costituzione e dell'art. 8 CEDU, tenuto conto che tali soggetti non sono posti nella condizione di dover scegliere tra la minore tutela successoria di cui all'art. 580 c.c. e quella "piena" che gli competerebbe ove facessero giuridicamente accertare la filiazione biologica. La questione è infatti differente: trattasi di soggetti aventi un diverso stato di filiazione per scelta consapevole e che in ragione di tale scelta sono eredi di colui con il quale mantengono un legame affettivo verosimilmente consolidatosi in maniera continuativa nel tempo.

Non trova fondamento l'interpretazione sostenuta dalla Suprema Corte, secondo cui il fatto procreativo, come puro fatto materiale, nei casi di accertamento c.d. indiretto di paternità connotati dalla "non riconoscibilità" del figlio, determinerebbe unicamente il sorgere di un rapporto obbligatorio ex lege a limitati fini patrimoniali. Tale facoltà apparirebbe, infatti, lesiva della posizione successoria degli altri eredi del de cuius, poiché risulta così unicamente favorito il figlio avente uno status di filiazione differente che si vede riconosciuta la possibilità di godere sia della tutela successoria che gli viene garantita dal suo status di figlio del padre che lo ha riconosciuto, sia della tutela successoria prevista dall'art. 580 c.c..

L'ipotesi di un doppio titolo si rivela infatti estranea al nostro sistema normativo – così come più volte ribadito dalla stessa pronuncia del 2004 richiamata dalla Suprema Corte - che non ammette una duplicazione dei diritti derivanti dallo stato di figlio legittimo e dal fatto di essere al contempo figlio naturale di un'altra persona.

* di Giulia Sapi e di Marta Rigon


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