Penale

Legge Lorenzin: per l’esercizio abusivo della professione più carcere e multe salate

di Carmelo Minnella

La legge Lorenzin ha inasprito il trattamento sanzionatorio dei reati commessi nell'esercizio abusivo delle professioni sanitarie, allargando il ventaglio delle pene accessorie; sono state introdotte alcune ipotesi qualificate di concorso di persone nel delitto, ampliando in certi casi l'area del penalmente rilevante con l'estensione dei soggetti attivi.


L'inasprimento del trattamento sanzionatorio della legge 11 gennaio 2018 n. 3 si è mosso lungo molteplici direttrici:
- in alcuni casi si sono elevati i limiti minimi e massimi della forbice edittale (come è avvenuto, in generale, per il delitto di esercizio arbitrario della professione e, in particolare, per i delitti di omicidio e lesioni colpose dove l'aggravamento, rispetto alle ipotesi base di reato, ha riguardato i fatti commessi nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria);
- in altri casi si è ampliato il ventaglio delle sanzioni accessorie (ciò è avvenuto per il reato di esercizio abusivo della professione, soprattutto con riferimento alla confisca obbligatoria dei beni utilizzati per commetterlo);
- in altri ancora si è intervenuto sugli accidentalia delicti inserendo una nuova circostanza aggravante comune (con l'aggiunta del comma 11-sexies all'articolo 61 del Cp) dell'avere, nei delitti non colposi, commesso il fatto in danni di persone ricoverate presso strutture sanitarie o sociosanitarie residenziali o semiresidenziali, pubbliche o private, o presso strutture socio-educative.

Esercizio abusivo di una professione: struttura inalterata - Le modifiche più consistenti della legge Lorenzin hanno riguardato il delitto di esercizio abusivo della professione. È tuttavia rimasta intatta la struttura del reato nei suoi elementi costitutivi, quindi l'articolo 348 del Cp rimane una norma penale in bianco, in quanto la configurazione del reato necessita, a fini integrativi, del ricorso a disposizioni extra penali che stabiliscono i requisiti oggettivi e soggettivi per l'esercizio di determinate professioni, restando esclusa alcuna violazione dei principi di determinatezza e tassatività della fattispecie (Corte costituzionale, n. 199 del 1999 e, da ultimo, Cassazione penale, sezione seconda, n. 16566 del 2017).
Nell'esercizio abusivo della professione – reato solo eventualmente abituale, ma che può essere compiuto anche con un singolo atto – la reiterazione degli atti tipici dà luogo a un unico reato se lo scopo perseguito dall'agente è quello dell'esercizio di una determinata professione, il cui momento consumativo coincide con l'ultimo di essi, vale a dire con la cessazione della condotta (sezione Sesta, n. 20099 del 2016); si deve invece ravvisare una pluralità di reati in presenza di molteplici professioni esercitate (sezione Terza, n. 37166 del 2016).
Invero, il reato non è stato ritenuto compatibile con l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex articolo 131-bis del Cp in quanto tale delitto presuppone una condotta che, in quanto connotata da ripetitività, continuità o, comunque, dalla pluralità degli atti tipici, è di per sé ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità (sezione Sesta, nn. 13379 e 6664 del 2017).

Mancata occasione di recuperare tassatività - Il legislatore ha invero perso l'occasione di intervenire cercando di ridare margini di determinatezza alla disposizione incriminatrice ex articolo 348 del Cp.
Se è fuori discussione che il reato è realizzato dallo svolgimento da parte di un soggetto non abilitato di attività che rientrano tra quelle tipiche o riservate di una specifica professione per il cui esercizio occorra essere muniti di un titolo abilitante (così, la prestazione di consulenze psicologiche da parte di soggetto privo di titolo abilitativo: sezione Seconda n. 16566 del 2017) è non meno indubbio che, ai fini della affermazione di responsabilità dell'agente, si renda sempre necessario verificare, in termini di pregiudizialità, la sussistenza e la commissione reali dell'atto professionale “tipico” e soprattutto delle specifiche ed effettive modalità con cui lo stesso è stato posto in essere (sezione Sesta, n. 22534 del 2015).

Pene più elevate e pubblicazione della sentenza di condanna - Se la struttura del reato di esercizio abusivo di una professione è rimasta inalterata, l'articolo 12 della legge n. 3 del 2018 ha elevato la sanzione penale, sia detentiva che pecuniaria. Mentre in precedenza il delitto era punito con la reclusione fino a sei mesi e con la multa da 103 a 516 euro, adesso la forbice edittale prevista è da sei mesi a tre anni e la multa da 10.000 a 50.000 euro.

Sul versante delle sanzioni accessorie, la legge Lorenzin ha previsto che alla condanna segua la pubblicazione della sentenza , ai sensi dell'articolo 36, ultimo comma, del Cp (a norma del quale «la legge determina gli altri casi nei quali la sentenza di condanna deve essere pubblicata»). Si tratta di una ulteriore ipotesi extra codicem di pubblicazione della sentenza di condanna mediante affissione nel Comune ove è stata pronunciata, in quello ove il delitto fu commesso, e in quello ove il condannato aveva l'ultima residenza. La pronuncia di condanna è inoltre pubblicata nel sito internet del ministero della Giustizia. La durata della pubblicazione nel sito è stabilita dal giudice in misura non superiore a trenta giorni (in mancanza, la durata è di quindici giorni).

La pena accessoria si applicherà solo ai fatti di esercizio abusivo della professione commessi dopo l'entrata in vigore della legge n. 3 del 2018. Ciò alla stessa stregua di quanto già affermato in relazione alle modifiche apportate all'articolo 36 del Cp (dall'articolo 37, comma 18, decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111), che non hanno introdotto nel sistema penale una nuova sanzione accessoria, ma hanno diversamente modulato il contenuto della pena accessoria già prevista, sostituendo alla tradizionale forma di pubblicazione sulla stampa quella via internet, che ha rafforzato il carattere afflittivo di detta pena, sicché, ai sensi dell'articolo 2, comma 4, del Cp, la nuova disciplina non è applicabile ai fatti pregressi (sezione Seconda, n. 14768 del 2017).
La sanzione accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna influenzerà in termini negativi la concessione del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, in caso di prima condanna contenuta nei due anni di reclusione.

Anche se l'articolo 7 della legge 7 febbraio 1990 n. 19 ha abrogato l'ultimo comma dell'articolo 175 del Cp – «le disposizioni che precedono non si applicano quando alla condanna conseguono pene accessorie», per cui è stata eliminata l'automatica preclusione della non menzione nel certificato del casellario giudiziale nel caso siano state comminate pene accessorie – è evidente che il beneficio, perseguendo lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l'eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato (sezione Terza, n. 18396 del 2017), si pone comunque in direzione opposta (per lo meno nei casi più gravi di esercizio abusivo della professione) a quello della prevista pubblicazione della sentenza.

Legge 11 gennaio 2018 n. 3

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