Penale

Consulta: il Gip che rigetta l'emissione di un decreto penale del Pm non può esprimersi su una nuova richiesta

La mancata previsione dell'incompatibilità del giudice pone la norma (articolo 34, comma 2, del Cpp) in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, per violazione del principio di parità di trattamento e del diritto di difesa

di Simona Gatti

Il Gip, che ha rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante, è incompatibile a pronunciarsi su una nuova richiesta di decreto penale formulata dal Pm in conformità ai rilievi del giudice stesso. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 16 depositata oggi.

La questione era stata sollevata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata secondo il quale è illegittimo l'articolo 34, comma 2, del Cpp, nella parte in cui non prevede «l'incompatibilità del GIP che abbia rigettato la richiesta di emissione di decreto penale per ritenuta diversità del fatto a pronunziarsi su nuova richiesta di emissione di decreto penale, avanzata dal PM in conformità ai rilievi precedentemente formulati dal giudice». L'incidente di costituzionalità si innesta in un procedimento nel quale il giudice rimettente, chiamato dal pubblico ministero a emettere un decreto penale di condanna nei confronti di una persona imputata del reato di guida in stato di ebbrezza, aveva rigettato la richiesta in ragione della mancata contestazione di una circostanza aggravante (l'imputato aveva provocato un incidente stradale), la cui sussistenza era desumibile dagli atti di indagine. In seguito a ciò, il pubblico ministero aveva formulato una nuova richiesta di decreto penale, con la contestazione dell'aggravante. Secondo il giudice di Macerata la mancata previsione dell'incompatibilità del giudice, in una simile ipotesi, pone la norma (articolo 34, comma 2, del Cpp) in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, per violazione del principio di parità di trattamento e del diritto di difesa.

La Consulta ha accolto questa interpretazione ricordando che le disposizioni sulla incompatibilità del giudice, derivante da atti compiuti nel procedimento, hanno la finalità di tutelare i valori della terzietà e della imparzialità della giurisdizione (presidiati appunti dagli articoli 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione) ed evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla forza della prevenzione – ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o mantenere un atteggiamento già assunto – "scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda".

L'imparzialità – prosegue la Corte - richiede che «la funzione del giudicare sia assegnata a un soggetto "terzo", non solo scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto ma anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia da decidere, formatesi in diverse fasi del giudizio in occasione di funzioni decisorie ch'egli sia stato chiamato a svolgere in precedenza». Pertanto, l'articolo 34 del Cpp – dopo aver regolato, al comma 1, la cosiddetta incompatibilità "verticale", determinata dall'articolazione e dalla consecutio dei diversi gradi di giudizio – si occupa, al comma 2 (oggi censurato), della cosiddetta incompatibilità "orizzontale", attinente alla relazione tra la fase del giudizio e quella che immediatamente la precede.

In linea generale, l'incompatibilità presuppone una relazione tra due termini: una "fonte di pregiudizio" (ossia un'attività giurisdizionale atta a generare la forza della prevenzione) e una "sede pregiudicata" (vale a dire un compito decisorio, al quale il giudice, che abbia posto in essere l'attività pregiudicante, non risulta più idoneo).
Per quanto riguarda la prima "sede pregiudicata" che l'articolo 34, comma 2, del Cpp individua nella «partecipa[zione] al giudizio» – la Corte sottolinea che per «giudizio» si deve intendere ogni processo che in base a un esame delle prove arriva a una decisione di merito. Non solo quindi il giudizio dibattimentale, ma anche il giudizio abbreviato, l'applicazione della pena su richiesta delle parti, l'udienza preliminare, l'incidente di esecuzione e anche il decreto penale di condanna.

Sull'"attività pregiudicante", la Corte include tra le possibili "fonti di pregiudizio" anche l'ordinanza con la quale il giudice del dibattimento, avendo accertato che il fatto è diverso da come descritto nell'imputazione, trasmette gli atti al pubblico ministero. Nel momento in cui accerta che il fatto è diverso da come descritto nell'imputazione, il giudice compie, infatti, una "penetrante delibazione del merito della res iudicanda", simile a quella che, in mancanza di una valutazione della diversità del fatto, conduce alla definizione con sentenza del giudizio di merito. L'ordinanza di trasmissione degli atti dunque determinando la "regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari" rende necessario che dal punto di vista costituzionale il nuovo dibattimento o la nuova udienza preliminare siano attribuiti alla cognizione di altro giudice. Di conseguenza, anche nel caso specifico, la successiva riproposizione della richiesta di decreto penale apre a una nuova fase che va "gestita" da un giudice diverso.

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