Penale

Referendum: limiti più stringenti alla carcerazione preventiva

Ridurre, in maniera anche assai significativa, il ricorso alla custodia cautelare, alla possibilità cioè di procedere alla detenzione prima della sentenza definitiva. È questo l’obiettivo che si pone il quesito referendario

di Giovanni Negri

Ridurre, in maniera anche assai significativa, il ricorso alla custodia cautelare, alla possibilità cioè di procedere alla detenzione prima della sentenza definitiva. È questo l’obiettivo che si pone il quesito referendario, attraverso una modifica delle disposizioni che cancella dai casi che possono dare luogo alla carcerazione preventiva il pericolo di reiterazione del reato, quello forse più utilizzato dall’autorità giudiziaria. Resterebbe invece possibile procedere alle misure restrittive in caso di pericolo di inquinamento delle prove e di rischio di fuga dell’indagato.

Il referendum si fonda sulla convinzione che l’utilizzo del carcere preventivo costituisce un’anomalia tutta italiana, che anticipa ingiustificatamente la pena, al quale si ricorre anche in maniera strumentale alla conduzione delle indagini, che stravolge l’esistenza in violazione del principio costituzionale della presunzione di innocenza. E tuttavia chi vi si oppone sottolinea come, in caso di approvazione, la custodia cautelare sarebbe impossibile al di fuori dei delitti di criminalità organizzata, di eversione o commessi con violenza o armi. Del tutto scoperta rimarrebbe, per esempio, la criminalità economica e ambientale.

I dati, ultimo rapporto Space del Consiglio d’Europa, relativo al 2021 e diffuso ad aprile, testimoniano che l’Italia è fra i Paesi con il più alto numero di soggetti detenuti in assenza di sentenza definitiva: su 53.329 detenuti sono 16.118 quelli in attesa di sentenza definitiva alla fine dell’anno scorso. A confronto con le altre nazioni europee, e in percentuale sul totale della popolazione detenuta, un utilizzo più esteso si riscontra in Olanda, Svizzera, Danimarca, Belgio, Slovenia e Ucraina. Solo poco meno dell’Italia vi fa ricorso la Francia. Va però ricordato che nel nostro Paese gli imputati sono considerati in custodia cautelare anche dopo la condanna in primo grado, mentre all’estero, generalmente, dopo la prima condanna il detenuto è considerato in espiazione pena.

Dati che tuttavia vanno letti insieme a quelli relativi al numero di misure emesse che, per quanto riguarda la custodia in carcere, sono in costante diminuzione (più netta negli ultimi due anni anche per l’emergenza sanitaria): si è infatti passati dalle 31.970 del 2018 alle 24.126 del 2021. Quanto ai tempi di durata, generalmente i procedimenti dove vengono emesse misure cautelari personali di tipo coercitivo hanno tempi di definizione molto ridotti, circostanza verosimilmente dovuta al fatto che già esistono gravi indizi di colpevolezza, mentre 9 misure su 10 sono emesse in procedimenti che si sono poi conclusi con una condanna.

Un passo ancora, relativo agli innocenti che finiscono in carcere, il caso più drammatico. A fare da bussola sono in questo caso le riparazioni per ingiusta detenzione, dove invece si assiste a una forte crescita delle decisioni definitive di accoglimento: si è infatti passati dalle 283 del 2020 alle 474 del 2021. A diminuire sono stati gli importi complessivi dei risarcimenti che dai 37 milioni del 2020 sono passati a 24,5 milioni nel 2021. A fronte di questa situazione, anche se non esiste un collegamento diretto tra ingiusta detenzione e responsabilità dei magistrati, colpiscono le sole 5 azioni disciplinari promosse l’anno scorso (24 nel 2019 e 21 nel 2020).

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