Società

Società a controllo pubblico e valutazione del rischio di crisi aziendale

La Struttura di indirizzo, monitoraggio e controllo sull'attuazione del TUSP, individuata - con decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze del 16 maggio 2017 - nel Dipartimento del Tesoro, ha predisposto lo schema del Programma di valutazione del rischio di crisi aziendale per le società a controllo pubblico

di Rossana Mininno

Con l'emanazione del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante il "Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica" (c.d. TUSP), il legislatore ha provveduto al riordino strutturale della disciplina delle partecipazioni pubbliche in società di capitali in attuazione della delega conferita con la legge 7 agosto 2015, n. 124, recante "Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche" (c.d. Riforma Madia).

Il quadro normativo ante TUSP era caratterizzato da frammentarietà ed eterogeneità: al regime generale delineato dal codice civile si sovrapponevano una serie di disposizioni normative di carattere speciale, introdotte nel corso degli anni in ordine alla costituzione di società da parte della Pubblica Amministrazione, nonché all'acquisto, al mantenimento e alla gestione di partecipazioni in società a partecipazione pubblica totale o parziale, diretta o indiretta.

L'intervento di riordino è stato finalizzato ad «assicurare la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione della concorrenza», obiettivi perseguibili mediante la «razionalizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità» e la «ridefinizione della disciplina, delle condizioni e dei limiti per la costituzione di società, l'assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche» (articolo 18, comma 1, della legge delega n. 124 del 2015).

L'insieme delle disposizioni recate dal Testo unico definisce uno status giuridico proprio, rectius speciale delle società a partecipazione pubblica: in virtù del criterio della prevalenza, sancito dal terzo comma dell'articolo 1 del TUSP, le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato si applicano agli organismi partecipati da soggetti pubblici unicamente con riferimento ai profili non derogati dalle disposizioni del Testo unico.

Le norme del TUSP sono classificabili in due distinte categorie: nella prima categoria rientrano le disposizioni che fissano i criteri in virtù dei quali è consentita la costituzione di società, secondo i tipi espressamente previsti (cfr. articolo 3, rubricato "Tipi di società in cui è ammessa la partecipazione pubblica"), da parte delle Pubbliche Amministrazioni oppure, ove si tratti di società esistenti, in virtù dei quali è consentito il mantenimento della relativa partecipazione da parte dell'Amministrazione; nella seconda categoria rientrano le disposizioni che disciplinano la governance e il funzionamento delle società a partecipazione pubblica consentite, rectius non vietate.

Il principale vincolo imposto a livello operativo attiene all'oggetto sociale: il TUSP ha fissato nella stretta inerenza al perseguimento delle finalità istituzionali dell'ente costituente o partecipante il principale criterio regolatorio da osservare in sede di parametrazione della sostenibilità finanziaria delle partecipazioni societarie (cfr. comma 1 dell'articolo 4, rubricato "Finalità perseguibili mediante l'acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche").

Per quanto attiene ai modelli societari consentiti il TUSP ha individuato le seguenti tipologie: la società meramente partecipata, la società in house, la società a controllo pubblico (monopartecipata o pluripartecipata), la società mista e la società quotata.

In particolare, per società a controllo pubblico si intendono «le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b» (articolo 2, comma 1, lettera m), ovvero le società nell'ambito delle quali il socio pubblico dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria della partecipata oppure esercita un'influenza dominante in virtù dei poteri esercitabili nell'assemblea ordinaria ovvero in virtù di particolari vincoli contrattuali.

Oltre alle ipotesi di controllo declinate dall'articolo 2359 del codice civile, l'articolo 2 del TUSP ha previsto un'ulteriore ipotesi: il controllo pubblico «può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo» (articolo 2, comma 1, lettera b, secondo inciso).Come chiarito dai Giudici contabili, «[q]uest'ultima ipotesi (come reso evidente dalla locuzione "anche quando") integra quelle elencate in precedenza» (C. conti, Sez. reg. contr. Liguria, 24 gennaio 2018, n. 3/2018/PAR).

L'utilizzo di risorse pubbliche, anche se attuato mediante moduli privatistici, comporta particolari cautele e obblighi a carico di coloro che - direttamente o indirettamente - concorrono alla gestione di tali risorse.

Essendo gli oneri economico-finanziari connessi alle (eventuali) perdite subite dalle società partecipate dagli enti locali a carico - direttamente - dell'ente medesimo e - indirettamente - della collettività della quale l'ente è esponenziale, la scelta di costituire la società richiede l'effettuazione a monte di approfondite valutazioni in merito alla coerenza dell'attività societaria.

Con specifico riferimento alle società a controllo pubblico il TUSP ha imposto precisi obblighi di monitoraggio del generale andamento della gestione e del rischio di crisi aziendale per l'assolvimento dei quali dette società «predispongono specifici programmi di valutazione» (articolo 6, comma 2): l'emersione, nell'ambito di detti programmi, di «uno o più indicatori di crisi aziendale» comporta per l'organo amministrativo l'obbligo di adottare «senza indugio i provvedimenti necessari al fine di prevenire l'aggravamento della crisi, di correggerne gli effetti ed eliminarne le cause, attraverso un idoneo piano di risanamento» (articolo 14, comma 2).
La mancata adozione di provvedimenti adeguati «costituisce grave irregolarità ai sensi dell'articolo 2409 del codice civile».

Le disposizioni del TUSP dedicate al monitoraggio del rischio di crisi aziendale (id est, articoli 6 e 14) assumono carattere di complementarietà rispetto alle disposizioni del codice civile e, segnatamente, all'articolo 2351, ai sensi del quale il Consiglio d'Amministrazione «valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione» (comma 3).

La Struttura di indirizzo, monitoraggio e controllo sull'attuazione del TUSP, istituita presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze, ha fornito indicazioni in merito ai principali contenuti del Programma di valutazione del rischio di crisi aziendale da adottare ai sensi del secondo comma dell'articolo 6 del TUSP, proponendo uno schema articolato in quattro sezioni:
«1) Descrizione del sistema di controllo interno di gestione dei rischi aziendali.
2) Individuazione degli indici/indicatori quantitativi e qualitativi.
3) Determinazione delle soglie di allarme.
4) Descrizione dell'attività di monitoraggio e reporting».


Il documento, dopo aver fornito la definizione di «rischio di crisi aziendale» (intendendosi tale la «probabile manifestazione dello stato di difficoltà di un'impresa, non solo per il profilo economico-finanziario (inteso come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate), ma – più in generale – aziendale»), illustra «in via esemplificativa, i principali contenuti di un Programma-tipo di valutazione del rischio di crisi aziendale» e fornisce «indicazioni sulle modalità di monitoraggio delle aree di rischio individuate».

Come sottolineato dalla Struttura del MEF, è «fondamentale implementare un sistema efficiente di risoluzione delle difficoltà, che permetta il contenimento delle esternalità negative derivanti da possibili inefficienze gestionali e garantisca il mantenimento della continuità aziendale, a vantaggio sia delle molteplici istanze di tutela che ruotano attorno a tali società che della collettività in generale».

Il Programma di valutazione del rischio aziendale deve essere funzionale a «monitorare costantemente lo stato di salute della società alla luce del principio di continuità aziendale» e, nel contempo, ad «anticipare l'emersione del rischio di crisi attraverso l'individuazione di strumenti in grado di intercettare i segnali premonitori di squilibri economico-finanziari (approccio "forward looking") e consentire all'organo gestorio di attivarsi con urgenza prima che la crisi diventi irreversibile (sistema di "early warning")».

L'attività demandata all'organo amministrativo deve - secondo la Struttura del MEF - privilegiare un «sistema di rilevazione» fondato in primis sulla «analisi storica dei dati di bilancio», nonché su «valutazioni prospettiche, elaborate sulla base della prevedibile evoluzione della realtà economica di riferimento», senza tralasciare «l'eventualità che si manifestino eventi improvvisi, causa di importante discontinuità con i passati esercizi».

Il Programma «se ben redatto consente:
i) ai soci pubblici di analizzare e valutare lo stato di salute delle società partecipate e, quindi, tra l'altro, la convenienza economico-finanziaria di tale modalità di gestione del servizio rispetto ad altre alternative possibili;
ii) all'organo amministrativo di assicurare la salvaguardia del patrimonio sociale, l'efficienza e l'efficacia dei processi aziendali, il rispetto di leggi e regolamenti nonché dello statuto sociale e delle procedure interne
».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©