Casi pratici

Promesse e regali tra fidanzati: quale disciplina?

Tutela contrattuale in vista del matrimonio

di Laura Biarella

la QUESTIONE
La stipula di contratti prematrimoniali è ammissibile nell'ordinamento giuridico italiano? Quali sono i rapporti con il consenso matrimoniale e con le condizioni illecite o impossibili di cui all'art. 1354 c.c. e quali i diritti e i doveri delle parti contrattuali? Quale disciplina seguono i doni tra fidanzati? E' possibile configurare i regali come vere e proprie donazioni?


L'oggetto della questione risiede nello stabilire se sia profilabile per i coniugi ricorrere alla stipula di forme contrattuali atipiche e innominate per tutelare il rapporto matrimoniale non solo durante il suo svolgimento o in vista della sua fine, ma anche e soprattutto ab initio, ossia allorquando il rapporto non si sia ancora venuto a formare. È il tipico caso del c.d. contratto prematrimoniale, descrivibile a onta di accordo attraverso il quale due individui, in previsione della loro futura unione, dettino negozialmente le condizioni alle quali quell'unione dovrà uniformarsi. Chiunque si imbatta nel contratto stipulato in vista del matrimonio (che, come vedremo, è distinto dal contratto stipulato in vista della cessazione del matrimonio) si trova al cospetto di dilemmi operativi e funzionali di elevato peso specifico, in specie valutando la difficoltà di poter bilanciare la volontà contrattuale dei futuri coniugi con le regole solennizzate nella vigente legislazione.

Nascita del vincolo giuridico ante matrimonium
Il contratto prematrimoniale nasce sostanzialmente negli Stati Uniti d'America, nazione che ne offre al mondo una visione assolutamente originale e, in qualche misura, anche allettante per il contraente debole. Siffatta forma di contrattazione non è propria dei comuni coniugi; infatti anche oggi, pur potendo essere utilizzata dal quivis de populo , si apprezza per essere inerente ai rapporti tra VIP (acronimo di very important person ), ergo ai rapporti nei quali almeno uno dei contraenti sia un personaggio famoso.

Il problema della liceità dell'accordo prematrimoniale
Il primo interrogativo che sorge studiando il contratto prematrimoniale consiste nel ritenerlo o meno lecito (art. 1343 c.c.) e meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico (art. 1322 comma 2, c.c.). Molti hanno dubitato sia della liceità che della meritevolezza dell'accordo ante matrimonium , sottolineando che il negozio matrimoniale, essendo informato alla piena e assoluta libertà dei futuri nubendi - prima, durante e dopo la costituzione del vincolo bilaterale - non tollererebbe intromissioni di sorta, men che meno ricorrendo alla predeterminazione del contenuto e della configurazione del contegno degli sposi, contegno che non potrebbe essere cristallizzato in aride pattuizioni contrattuali, simboleggiando una componente inclassificabile e non modellabile sulla falsariga del consueto schema di formazione della volontà contrattuale degli stipulanti. Pur volendo ammettere la liceità del contratto che precede il matrimonio (ed è bene puntualizzare che in dottrina si è sovente negata la plausibilità di stipulare accordi anche dopo lo sposalizio, per determinare la consistenza degli obblighi attinenti alla fine del matrimonio, esistendo all'uopo - si è affermato - gli accordi di cui all'art. 155 c.c., cioè gli accordi di separazione, gli unici a poter regolare la sorte del vincolo ormai venuto meno), a detta di taluni non se ne potrebbe ammettere la meritevolezza, dacché - si è sostenuto - non sarebbe meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico contrattare sull'amore, nonché su ciascuna delle componenti sentimentali che finiscono inevitabilmente per condizionare, orientare e caratterizzare la meccanica matrimoniale e prematrimoniale.
Indipendentemente dalle angolazioni sociologiche, politiche e religiose della questione (che, nonostante ciò, hanno spesso giocato e tuttora giocano un ruolo penetrante in ambito interpretativo e a livello di considerazione che la società civile abbia dei fenomeni rivisitati), v'è da dire, dal punto di vista strettamente giuridico, che odiernamente i vincoli prematrimoniali sono stati reputati leciti e meritevoli di tutela, ragion per cui essi hanno assunto un ruolo (non ancora preponderante ma) sufficientemente sviluppato sotto la sponda quantitativa e qualitativa. Questo, poiché l'accordo preventivo tende a offrire anticipatamente una regolamentazione degli aspetti economici derivanti dalla rottura o dall'alterazione dell'equilibrio, senza per ciò solo danniferamente influire sulla volontà o sulla consistenza mentale e morale dell'intendimento del coniuge o del promesso sposo.

Casi di illiceità dell'accordo prematrimoniale: nullità e annullabilità
Nondimeno, esistono evenienze nelle quali il contratto prematrimoniale non può essere considerato valido, dovendo essere censurato con la sanzione della nullità o dell'annullamento (mentre per quel che concerne l'inefficacia, ne riparleremo a proposito della forma e della prova dell'accordo).
In sostanza, la nullità si potrebbe avere nelle ipotesi di violazione di norme imperative (per es. si conviene che i contraenti dovranno osservare l'obbligo di fedeltà per 5 anni, ma è valido il contratto nel quale si stabilisca che per ogni tradimento accertato dovrà essere corrisposto al coniuge fedele una somma monetaria a titolo di clausola penale o di risarcimento danni), di violazione di norme di ordine pubblico (per es. si conviene che in ipotesi di inadempimento del coniuge l'altro sia autorizzato a commettere violenza verso il non adempiente) e di violazione di norme relative all'osservanza delle regole di buon costume (per es. si conviene che, appurato il tradimento del partner , l'altro debba o possa a sua volta tradire oppure si conviene che, in ipotesi di violazione degli obblighi familiari, il coniuge non violatore sia legittimato a porre in essere condotte denotanti oscenità, tra cui molestare persone terze rispetto all'accordo, facendo loro avances di fronte al coniuge irrispettoso del patto). Di fatti la Corte di Cassazione (Sezione I Civ., 21 dicembre 2012, n. 23713) ha chiarito che gli accordi presi dai coniugi prima delle nozze sono validi solo se affermano interessi meritevoli di tutela e non sono contrari ai principi dell'ordine pubblico.
Il contratto sarà, invece, annullabile qualora esso sia frutto di errore, violenza e dolo dell'un contraente rispetto all'altro.
La nullità potrà essere fatta valere in ogni tempo e da chiunque ne abbia interesse, mentre l'annullabilità potrà essere fatta valere soltanto dal contraente non inadempiente ed entro il termine prescrizionale di 5 anni dal giorno in cui l'errore è stato percepito, la violenza è stata commessa o il dolo è stato scoperto.

Rapporti con le condizioni illecite e impossibili
Com'è noto, l'art. 1354 c.c., dedicato alle condizioni illecite o impossibili apposte al contratto, prevede rispettivamente la nullità degli effetti negoziali (in caso di condizioni sospensive) o la non apposizione delle pattuizioni accessorie (in caso di condizioni risolutive). Occorre allora chiedersi se il contratto prematrimoniale possa reputarsi esprimente illiceità negoziale o impossibilità sinallagmatica.
In relazione all'impossibilità, deve radicalmente escludersi che il contratto prematrimoniale possa palesarsi come contratto sottoposto a condizione impossibile, atteso che la venuta in essere del matrimonio costituisce un evento che non può dirsi impossibile (tranne che una delle parti contraenti venga meno successivamente alla stipula e anteriormente all'unione coniugale). Del pari, non può dirsi illecita l'unione di due persone in matrimonio, a meno che il consenso sia stato estorto (per dolo, errore, violenza o inganno). L'illiceità è stata reputata sussistente da quelli che hanno creduto di poter opinare di contratto illecito per il sol fatto che esso predeterminerebbe il contenuto attuativo degli obblighi coniugali.

L'inadempimento
Assodato che il contratto prematrimoniale, una volta stipulato, produce diritti e doveri in capo alle parti, diritti e doveri sospensivamente condizionati alla contrazione del matrimonio (condizione sospensiva lecita: cfr. supra , anche a contrariis ), se ne deve necessariamente inferire che, qualora tali diritti e tali doveri non vengano rispettati, sorgerà una qualificata fattispecie di inadempienza, che darà il via all'instaurazione delle azioni di risoluzione del contratto (del contratto prematrimoniale, non già del matrimonio, che è negozio giuridico non risolubile se non a seguito dell'intervenuto divorzio) per inadempimento o per eccessiva onerosità sopravvenuta, laddove gli oneri economici originariamente convenuti non fossero ex post più sopportabili dalle parti (o da una sola di esse) a cagione di fattori successivi, oggettivamente valutati dall'autorità giudiziaria, alla quale dovranno essere rivolte le azioni giurisdizionali in discorso.
Più problematico è ammettere la rescissione (sia l'ipotesi rescissoria inerente alla contrattazione in stato di pericolo che quella attinente alla contrattazione in stato di bisogno), ma non esistono, a ben vedere, ostacoli ideologici in tal senso.
I contraenti sono tenuti a osservare le prescrizioni contrattuali una volta uniti in matrimonio, trovando applicazione i precipitati relativi alle regole interpretative stabilite dal Codice civile in riferimento alle obbligazioni e ai contratti (diligenza, buona fede, correttezza, lealtà e salvaguardia, sia in fase di interpretazione che di esecuzione del contratto) e le pattuizioni apposte al contratto ante matrimonium potranno essere liberamente modificate, corrette o integrate (in dipendenza del mutamento delle condizioni che fanno da contorno al dispiegarsi del tessuto coniugale) col consenso bilaterale degli stipulanti e osservate le medesime forme stabilite per la valida stipula dei patti originari (cfr. infra ).

I contratti di cessazione del ménage familiare
Dai contratti prematrimoniali trovano differenziazione operativa i c.d. contratti afferenti ala cessazione del ménage familiare.
Onde evitare equivoci di sorta, all'interno della categoria in esame si sogliono distinguere due tipologie di contrattazione: quella conclusa in vista della cessazione del ménage (per es. i coniugi, una volta sposati, concordano liberamente e senza coartazioni le condizioni di un'eventuale separazione consensuale o giudiziale ovvero del divorzio o di tutte e due le vicissitudini postconiugali) e quella conclusa prima del perfezionamento del vincolo matrimoniale (per es. i futuri coniugi decidono ex ante che, una volta sposati, essi si atterrano alle condizioni prefissate qualora abbiano a separarsi o a divorziare).
Sulla contrattazione in oggetto potrebbero influire innumerevoli contingenze (nascita di figli, mutamento in melius o in peius delle condizioni patrimoniali di uno o di tutti e due gli stipulanti, vicende personali relative a uno o a entrambi i coniugi), ma la revocabilità del contenuto delle clausole apposte al contratto varrà, previa manifestazione di concorde volontà di entrambi i contraenti, a orientare il negozio giuridico in itinere , ovverosia con l'avanzare della vita vissuta assieme. È scontato che, mentre la dinamica dei contratti conclusi in vista della cessazione del matrimonio stipulati posteriormente all'unione abbia connotazioni contrattuali perfette (contratto valido ed efficace da subito), la dinamica dei contratti conclusi in vista della cessazione del ménage prima che si verifichi il matrimonio abbia connotazioni implicitamente subordinate alla verificazione della condizione sospensiva ( id est : gli sponsali).

Individuazione della disciplina applicabile
Breviter , riteniamo che se i contraenti, per qualsiasi ragione, non contraggano matrimonio, il contratto stipulato in vista della cessazione del ménage dovrà considerarsi retroattivamente venuto meno (anche sine die ), poiché lo stato di quiescenza della condizione impedirà l'efficacia delle pattuizioni, evidentemente postergate alla nascita dello status matrimoniale. Siamo dell'idea che sia inapplicabile alla fattispecie l'istituto contemplato dall'art. 1359 c.c. (finzione di avveramento della condizione, che fa considerare avverata la condizione se essa non possa più realizzarsi a causa del comportamento posto in essere da una delle parti contrattuali), con la conseguenza che, non celebrato il matrimonio, il contratto stipulato è come se non fosse mai esistito, anche per la circostanza che l'efficacia delle clausole negoziali presuppongono proprio l'inizio della convivenza coniugale. Un discorso non dissimile deve essere impostato in relazione ai contratti prematrimoniali stricto sensu , mentre per ciò che concerne i c.d. contratti di convivenza (per intendersi, quelli conclusi dai coniugi more uxorio , regolanti l'andamento della convivenza stessa) varranno regole parzialmente diverse, che qui non possiamo esaminare, neppure marginalmente. Complicato risulta stabilire se possa applicarsi all'istituto considerato l'art. 1358 c.c. (comportamento delle parti nello stato di pendenza della condizione, che obbliga esse all'ossequio del canone della buona fede, teso a conservare integre le ragioni della controparte contrattuale), ma crediamo che ciò non possa postularsi, soprattutto data l'assoluta libertà che caratterizza la fase che precede l'unione in matrimonio. Così dicasi in reazione alle altre disposizioni condizionali, valevoli solo per i contratti e per le obbligazioni e non estensibili a quel particolarissimo contratto che è il matrimonio (anche perché la parte convenuta in giudizio ben potrebbe dimostrare che non sussistevano le condizioni giuste o quantomeno sufficienti per sposarsi, il che farebbe ipso facto cadere gli addebiti di inadempienza ipoteticamente provenienti da parte attrice).
Diverso sarebbe se, puta caso, i contraenti si impegnassero (non già a sposarsi ma) a fare in modo di non distaccarsi dal vincolo coniugale e poi uno di essi non esitasse ad assumere atteggiamenti nettamente contrastanti con la rivelata intentio . Nella profilata evenienza, è dubitabile se la parte adempiente (cioè quella non inadempiente) possa o meno domandare all'autorità giudiziaria la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni morali, materiali ed esistenziali subiti a causa del contegno serbato dall'altro contraente (è comunque da escludersi l'ammissibilità dell'azione di adempimento, non essendo coattivamente imponibile alle parti di addivenire forzatamente al matrimonio); è lampante che, in costanza di inadempimento dell'una parte del contratto, l'altra possa invocare il rimedio della exceptio inadimpleti contractus (o anche quella della exceptio non rite adimpleti contractus: cfr. art. 1460 c.c.), secondo il noto brocardo inadimplenti non est adimplendum . Avvertiamo che, stante la libertà che fa da contorno al perfezionamento del vincolo coniugale, ci pare estremamente improbabile ipotizzare l'anticipazione, pur limitata ai fini risolutori e/o risarcitori, di doveri che in tanto sono predicabili in quanto vi sia stata l'unione matrimoniale, specialmente perché il contraente che decida di venir meno agli obblighi funzionalizzati alla celebrazione delle nozze (tradendo il partner o assumendo un atteggiamento complessivamente in antitesi sia con il rapporto sentimentale che con il contratto concluso con il compagno d'affetti) non assume un comportamento in antitesi con la buona fede, con la diligenza e con la correttezza, dato che il primo potere, garantendo fino all'ultimo la liberà decisionale del nubendo - insita nella scelta nuziale della propria metà - ha esplicitamente dato a intendere che la libertà in commento è incompatibile con la ristrettezza di dover garantire il buon esito del contratto (ossia, la celebrazione del matrimonio).
Si potrebbe obiettare che ben sarebbe possibile impedire la conclusione del matrimonio al contempo garantendo che al contraente rispettoso del contratto sia assicurata una contropartita derivante dall'intervenuta, imputabile lesione del principio di tutela dell'affidamento, ma replichiamo agevolmente che il convenuto avrebbe ottimo gioco sia nel dimostrare che la mancata prosecuzione del rapporto dipenda anche o solo dall'altra parte contrattuale sia nel provare l'impossibilità oggettiva di proseguire oltre nel legame affettivo (ad es. per la riscontrata incompatibilità caratteriale o per il sopraggiungere di fattori esterni impeditivi della cristallizzazione legale dell'unione definitiva). D'altronde, la solennizzata libertà consensuale dei futuri sposi mal si concilierebbe con la rigidità scaturente dalla conclusione del contratto prematrimoniale (o del contratto stipulato in vista della cessazione del ménage familiare, allorquando gli stipulanti non siano ancora uniti in matrimonio). Pertanto, preferiamo negare la plausibilità di far valere, a beneficio del contraente rispettoso della primigenia pattuizione, l'inadempimento, addebitabile all'opposta parte negoziale, del contratto stipulato prima del matrimonio, ancorché il comportamento posto in essere da quest'ultimo possa negativamente apprezzarsi a livello sociale e interpersonale.

Requisiti di forma del contratto e regime probatorio
In quanto alla forma è necessario puntualizzare che l'art. 1350 c.c. non comprende, tra gli atti che devono farsi per iscritto, il contratto prematrimoniale e questo significa che esso è valido anche se stipulato in forma orale. Ma, al fine di evitare indebiti approfittamenti, è basilare precisare, per parte nostra, che in ipotesi di contratto concluso in forma orale ovvero in forma scritta senza autenticazione proveniente da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato l'atto negoziale non potrà dirsi munito di data certa. Tradotto in termini sostanziali, questo vuol dire che il contratto sarà valido tra le parti, ma non sarà valido per i terzi, nel senso che esso non potrà essere validamente loro opposto, a meno che non sia munito di autenticazione e, soprattutto, di trascrizione presso gli atti dello stato civile (se il contratto sia stipulato dopo il matrimonio) o presso i registri immobiliari (se, invece, esso sia la risultante del procedimento di trascrizione inerente alla costituzione di diritti ad es. immobiliari, nonostante gli artt. 2643 ss. c.c. nulla lascino formalmente trapelare nell'indicata direzione).
In merito alla prova del contratto, varranno i consueti strumenti istruttori previsti dal c.c. e dal c.p.c., fermo restando che la dimostrazione di avvenuta conclusione del negozio giuridico di cui si discute, com'è intuibile anche dal profano, è più difficile in caso di contratto orale e più agevole in caso di contratto scritto (pur se solo ad probationem actus , non valendo, come visto, particolari regole stabilite ad substantiam actus ).
L' "apertura" dell'aprile 2021: la qualificazione della natura del rapporto tra le parti
Posto che in linea di principio i patti prematrimoniali, stipulati tra coniugi al fine di regolamentare gli aspetti economici in vista dell'eventuale fine del matrimonio, non sono validi, in quanto presentano causa illecita, ed essendo i diritti e i doveri che nascono dal matrimonio di natura indisponibile ex art. 160 c.c., al contempo va preso atto di una notevole "apertura" da parte dei giudici in materia di patti prematrimoniali. Più in dettaglio, l'ordinanza 11012 del 26 aprile 2021, ha superato alcuni cliché: la Suprema Corte ha infatti affermato che "in tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito - credito portate da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell'uno a favore dell'altro, da versarsi vita natural durante, il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull'an dell'assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell'accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) "in occasione" della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all'assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)". Per l'effetto, restano salvi i patti di indole economica che disciplinano i rapporti di dare-avere tra i coniugi quando derivano da un rapporto che è estraneo al divieto di legge. Ulteriormente, tramite la sentenza n. 8109 del 2000, lo stesso giudice di legittimità aveva rilevato che non risulta nullo l'accordo transattivo, anche qualora parzialmente trasfuso nella separazione consensuale, già raggiunto tra i coniugi con l'obiettivo di dirimere una controversia di natura patrimoniale, tra i medesimi insorta, senza riferimento alcuno, né esplicito né implicito, al futuro assetto dei rapporti economici conseguenti alla eventuale pronuncia di divorzio. La Cassazione, nell'ordinanza 11012/2021, ha pertanto imposto un esame volto a qualificare l'eventuale accordo, per verificare se rientra o meno nell'ambito dell'indisponibilità dei diritti e della disciplina inderogabile imposta dall'ordinamento. In materia di soluzione della crisi coniugale, infatti, ove in sede di separazione i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito-credito portate da ognuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell'uno e a favore dell'altro da versarsi "vita natural durante", il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull'an dell'assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla "qualificazione" della natura dell'accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) "in occasione" della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all'assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare).
I doni tra fidanzati: l'evoluzione giurisprudenziale che approda alle "donazioni"
La Corte di Cassazione, tramite l'Ordinanza del 25 ottobre 2021, n. 29980, ha chiarito che l'articolo 80 del c.c., che tratta dei regali tra fidanzati, rifugge da ogni equiparazione rispetto alle liberalità in occasione di servizi, e alle donazioni fatte in segno di riconoscenza per i servizi resi in precedenza dal donatario, o alle liberalità d'uso, pertanto, per la Suprema Corte, costituiscono vere e proprie donazioni, come tali soggette ai requisiti di sostanza e di forma previsti dallo stesso codice, e possono essere inquadrate anche da donazioni immobiliari, incluse quelle indirette. Ma i giudici ermellini sono andati ben oltre le affermazioni di principio, spingendosi ad esaminare anche l'eventuale praticabilità dell'azione restitutoria, precisando quindi la necessità di accertare che i regali siano stati donati "a causa della promessa di matrimonio", e che si giustifichino per tale unica circostanza, senza trovare ulteriore giustificazione al di fuori di tale specifico contesto. Ciò opera nel contesto di una presupposizione e, per l'effetto, ove sia accertato il sopravvenuto venir meno della causa donandi (in ipotesi di donazione indiretta immobiliare posta in essere in previsione delle future nozze, in seguito non celebrate) si determina la caducazione dell'attribuzione patrimoniale al donatario senza incidenza, invece, sull'efficacia del rapporto fra l'alienante e il donante, che per effetto di retrocessione viene ad assumere la qualità di effettivo compratore. Nella stessa occasione, i giudici ermellini, magistralmente, hanno osservato che il codice civile dedica unicamente tre articoli alla promessa di matrimonio (capo I, titolo VI, libro I, c.c.). La disciplina normativa della promessa afferisce alla restituzione dei doni, imponendo il risarcimento dei danni per l'eventuale condotta contraria alla buona fede, e che trova puntuale riscontro finanche nella sanzione contemplata all'articolo 139 c.c. a carico del coniuge che, pur essendo stato edotto della causa di nullità, non l'abbia esternato all'altro. In tale peculiare contesto, l'ordinamento ha inteso assicurare la libertà matrimoniale, prevedendo la restituzione dei doni elargiti "a causa del promesso matrimonio", ovviamente so le nozze non siano più celebrate. Il termine di decadenza è fissato in un anno, entro il quale è praticabile l'azione di restituzione, e che decorre dalla rottura della relazione ovvero dalla morte di uno dei promittenti.
Ai fini del proponimento dell'azione di restituzione dei regali non occorre che la promessa di matrimonio sia stata esternata tramite una dichiarazione pubblica: l'ordinamento giuridico non richiede infatti né una predeterminata forma di promessa, né una pubblicità della promessa svolta, poiché tramite l'art. 80 c.c. si limita a riconoscere alla parte donante la facoltà di chiedere la restituzione dei doni effettuati "a causa della promessa di matrimonio", quindi nella presupposizione della celebrazione delle future nozze, e per la sola ipotesi che il matrimonio non sia stato contratto, e senza assegnare rilievo alcuno alla causa del "mancato" matrimonio. Per esercitare l'azione di restituzione dei doni tra fidanzati, occorre che i doni siano stati fatti "a causa della promessa di matrimonio", e cioè in relazione alla circostanza che tra i due ex sia intercorsa una promessa, ovvero un fidanzamento.

Considerazioni conclusive

La tematica del contratto prematrimoniale in generale non ha ancora raggiunto l'apice, essendovi poche sentenze in materia. Può dirsi, con sufficiente tranquillità ideologica, che il contratto prematrimoniale, così come il contratto concluso in vista della rottura del rapporto familiare, e nei limiti delineati dall'ermeneutica giurisprudenziale, costituisca un valido vincolo giuridico. Certo è che questo può trovare plausibile giustificazione di fronte a patrimoni vastissimi o a situazioni particolari, dacché esso, pur esprimendo un legittimo assetto degli interessi contrattuali, mal si presta, dal punto di vista funzionale, ad assecondare le indefettibili componenti di fiducia e di contiguità morale e assistenziale tipiche del vincolo matrimoniale. Nel 2012 (sentenza n. 23713) la Corte di cassazione ha confermato la liceità dell'accordo, stipulato prima del matrimonio, in cui si prevedeva che in ipotesi di fallimento dell'unione matrimoniale l'un coniuge avrebbe ceduto all'altro un immobile di su proprietà, quale indennizzo delle spese sostenute dal secondo per la ristrutturazione di altro immobile di proprietà del primo da adibirsi a casa coniugale, ritenendo il fallimento del vincolo matrimoniale non la causa genetica dell'accordo ma un mero evento condizionale dello stesso. La deresponsabilizzazione dei nubendi, il progressivo svuotamento di significato delle relazioni umane, lo sviluppo sfrenato della tecnologia, il complessivo decadimento degli usi e dei costumi intersoggettivi, la ricerca spasmodica della perfezione a tutti costi, l'esaltazione della vacuità e la perdita di vista delle cose realmente importanti hanno indotto al rafforzamento della contrattazione prematrimoniale, atteso che il matrimonio è da molti visto (e, in alcuni casi, neppure troppo a torto) alla stregua di situazione restrittiva delle (indi, negativa per le) esigenze individualistiche del singolo promesso sposo. Cionondimeno, è possibile affermare la piena liceità e meritevolezza delle contrattazioni di tal fatta, nei limiti di quanto fin qui esposto. I rapporti tra fidanzati ci paiono statisticamente improduttivi di conseguenze giuridiche, anche per l'assorbente rilievo che i doveri preconiugali nascono attraverso la promessa di matrimonio (se ne esista una: cfr. artt. 79 ss. c.c.), la quale, comunque, non obbliga gli stipulanti a contrarre matrimonio né a eseguire ciò che si fosse convenuto in ipotesi di inadempimento, ma solo alla restituzione dei doni fatti a causa del matrimonio e al risarcimento del danno, sempreché essa sia fatta nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata (anche non autenticata) e il ricusante agisca senza giustificato motivo o dia luogo, con il suo comportamento, al legittimo rifiuto dell'altro di addivenire alle nozze (ma, in ogni caso, il risarcimento, ex art. 81 c.c., è limitato alle spese affrontate per gli sponsali, tenendo conto delle condizioni economiche delle parti). Quanto detto ci induce a paventare la nullità di eventuali accordi sottoscritti dai fidanzati, tesi alla permanenza del fidanzamento (anche sub specie di previsione di penali per la rottura di esso), ostandovi la norma imperativa che prescrive l'obbligo del libero consenso ai fini del perfezionamento dell'unione matrimoniale, interpretativamente desumibile dal combinato disposto di cui agli artt. 122 ss. c.c. (violenza ed errore, causative della nullità del matrimonio). Il fidanzamento, in paucis verbis , simboleggia una situazione naturalistica concretante un'aspettativa non qualificata dei fidanzati (l'aspettativa che il fidanzamento vada a buon fine, culminando nella celebrazione del matrimonio) e, come tale, esso non è vincolabile, modulabile o condizionabile tramite accordi o patti che ne alterino la connaturale aleatorietà, per certi versi tipica anche dello stesso matrimonio (come testimoniano le quotidiane separazioni e i quotidiani divorzi che si registrano, tutti ratificanti che qualcosa non abbia funzionato a dovere fra i coniugi). Né ciò confligge con l'essenza del contratto prematrimoniale, visto che i diritti e i doveri delle parti sorgono solamente dopo che venga formalizzata l'unione coniugale, la quale, inscrivendosi in precise configurazioni evolutive del futuro rapporto, determina validamente il sorgere degli obblighi discendenti dall'essere coniuge, in specie tenendo nella debita considerazione che siffatti obblighi sono stati tassativizzati dal primo potere sia per il rispetto del contenuto del vincolo matrimoniale che per la tutela di eventuali figli nati a seguito dello scambio di rapporti sessuali amorosi inter coniuges . In riferimento ai contratti stipulati in vista della cessazione del ménage familiare, essi, atipici e innominati come quelli prematrimoniali, sono pienamente validi e legittimi, nonché meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico, sia se anteriori al matrimonio che se (a maggior ragione) successivi alle intervenute nozze. Ed il tutto tenendo in debita considerazione che gli accordi presi dai coniugi prima delle nozze sono validi solo se affermano interessi meritevoli di tutela e non sono contrari ai principi dell'ordine pubblico (Cassazione Civ., Sez. I, 21 dicembre 2012, n. 23713). Da ultimo è doveroso osservare che nel 2021 (Cassazione Civ., Sez. I, Ordinanza 26 aprile 2021, n. 11012) la Cassazione ha invitato il giudice di merito a "qualificare" l'accordo intercorso tra i due componenti della coppia, rilevando che, qualora in sede di separazione personale, i due, nel definire i rapporti patrimoniali già tra loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito-credito vantate da ciascuno, abbiano pattuito finanche la corresponsione di un assegno da versarsi dall'uno in favore dell'altro "vita natural durante", il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull'"an" del richiesto assegno divorzile, dovrà dapprima provvedere alla "qualificazione" della natura dell'accordo intervenuto tra le parti, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) "in occasione" della crisi familiare risulti estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti patrimoniali tra coniugi in materia familiare, perché giustificata da altra causa, e quindi verificare se debba essere riconosciuto il diverso diritto all'assegno divorzile, che può trovare fondamento soltanto in ragione della crisi familiare.

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