Penale

Concorsopoli in magistratura, nuovo giudizio (ai soli effetti civili) per l'Espresso

La Cassazione, sentenza n. 16099 depositata oggi, ha accolto il ricorso delle parti civili

La Prima sezione penale della Cassazione, sentenza n. 16099 depositata oggi, ha accolto il ricorso delle parti civili contro la sentenza di assoluzione del giornalista Fabrizio Gatti e dell'allora direttore dell'Espresso Bruno Manfellotto per diffamazione a mezzo stampa. Il reato era stato loro contestato per la pubblicazione di alcuni articoli nel settembre 2010 riguardanti l'operato della Commissione esaminatrice del concorso per 500 posti di magistrato ordinario (bandito con D, 27/27/2008)

Negli articoli - "Le toghe ignoranti", "Non idoneo, anzi sì, anzi no" – il giornalista in un passaggio definiva i commissari "un po' troppo pasticcioni", in un altro "razzi" con riferimento ai tempi di correzione di un elaborato, altrove parlava di "versioni" dei verbali d'esame, evocando secondo le parti civili "una duplicità di atti". Ebbene rispetto a queste affermazioni, per la Suprema corte è mancato un controllo di veridicità da parte del giudice di secondo grado che invece le ha pregiudizialmente "dequotate" derubricandole "a particolari non aventi efficacia denigratoria".

"Indubbiamente – scrive la Corte - appartiene alla libera scelta del giornalista l'individuazione e l'attuazione delle modalità di verifica delle fonti delle notizie apprese e pubblicate, così come, poi, costituisce l'in sé della libera stampa assumere le posizioni, anche fortemente critiche, rispetto ai fatti emersi e riferiti".

"Restano, però, rilevanti l'accertamento della verità del fatto e quindi, il controllo delle relative fonti che competono al giornalista: attività che esigono, dunque, anche l'assolvimento del compito d'esaminare e verificare l'oggetto della sua narrativa, allo scopo di superare ogni dubbio in merito".

La sentenza impugnata invece, proseguono i giudici di legittimità, appare decisivamente incompleta e, quindi, censurabile, "sia in ordine all'accertamento della verità dei fatti oggetto delle informazioni, sia - e subordinatamente all'esito - in ordine all'accertamento dell'adeguatezza del controllo operato dal giornalista delle notizie acquisite e pubblicate".

In definitiva, anche considerato l'accostamento delle diverse notizie da parte del giornalista, è mancata da parte della Corte di appello una risposta alla domanda se – pur in presenza di "nodi problematici" nel lavoro della commissione – dagli articoli sia derivato un effetto denigratorio per i commissari fondato su elementi non rispondenti al vero.

"È pertanto emersa – conclude la Corte - una decisiva crisi del tessuto giustificativo, in punto di verifica del rispetto del principio di veridicità delle notizie, dell'adeguatezza delle verifiche compiute prima della pubblicazione e, infine, di continenza espressiva della valutazione globale dell'opera svolta dai Commissari". La sentenza di assoluzione è stata così annullata relativamente agli effetti civili, la decisione ora spetta al giudice del rinvio che liquiderà anche le spese di legittimità.

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