Civile

Diritto all'oblio, Garante può ordinare a Google la deindicizzazione globale

Lo ha chiarito la Prima sezione civile della Cassazione, ordinanza n. 34685 deposita oggi, con riguardo alla archiviazione di una indagine su un ex dirigente Eni trasferitosi all'estero

di Francesco Machina Grifeo

Per dare attuazione al "diritto all'oblio", le Autorità italiane - e cioè il Garante per la privacy ed anche i giudici - possono ordinare, in conformità al diritto Ue, al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione globale: il cd. global delisting o global removal. Un repulisti esteso dunque anche ai Paese extra europei, andando a incidere sulle versioni del motore al di fuori dell'Ue. La decisione dovrà essere presa all'esito di un bilanciamento tra il diritto della persona alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei dati personali e il diritto alla libertà d'informazione, tuttavia - e questo è un altro passaggio decisivo - tale valutazione va fatta "secondo gli standard di protezione dell'ordinamento italiano", senza dunque badare alle regole vigenti nei paesi esteri. Fermo restando, ovviamente, che le altre nazioni (fuori dell'Ue) potranno anche non tener conto di tale ordine, ma ciò concerne la diversa questione di "mero fatto" relativa alla concreta attuazione dell'ordine impartito dall'Italia.

Lo ha chiarito la Prima sezione civile della Corte di cassazione (Pres. Genovese, Rel. Scotti), con l'interessante ordinanza n. 34658 deposita oggi, accogliendo il ricorso del Garante della Privacy contro Google Llc, Google Italy Srl e riformando la decisione del Tribunale di Milano del settembre 2020 che, accogliendo parzialmente il ricorso del colosso di Mountain View, aveva limitato il provvedimento assunto dal Garante nell'ottobre 2017 riducendolo all'ordine di rimozione degli Url sulle sole versioni nazionali del motore di ricerca corrispondenti agli Stati membri dell'Unione Europea.

Il caso partiva dalla richiesta di un ex dirigente Eni, addetto all'intermediazione di progetti imprenditoriali in Iraq, Kuwait e Abu Dhabi, che dopo l'archiviazione di una indagine penale in cui era stato coinvolto, aveva chiesto al Garante una completa deindicizzazione delle relative notizie considerato che ormai risedeva a Dubai e operava professionalmente fuori dall'Europa. Nel 2017 il Garante aveva ordinato a Google di rimuovere entro venti giorni gli URL "oggetto di richiesta anche dalle versioni extraeuropee del motore di ricerca", avendo accertato che Google aveva già "spontaneamente provveduto alla rimozione degli URL dalle versioni europee del suo motore in accoglimento della richiesta dell'interessato".

Tornando alla decisione, per la Cassazione non sono pertinenti le osservazioni del colosso californiano sull'efficienza del sistema di delisting adottato, "capace di prevenire in sostanza l'impiego di motori di ricerca extraeuropei da parte di utenti dello Spazio Economico Europeo, della Svizzera e del Regno Unito", in quanto – spiega la Corte - "non era questo il pericolo paventato dal ricorrente che aveva invece dedotto il proprio interesse a che le notizie in questione non pervenissero a conoscenza dei fruitori, fuori Europa, dei motori di ricerca extraeuropei".

Certamente, si legge nella decisione, occorre un bilanciamento del diritto all'oblio con il diritto alla libertà di informazione. Tuttavia, per l'ordinamento costituzionale italiano, "a fronte delle modalità liquide e pervasive della circolazione dei dati sulla rete di Internet, non è consentita una limitazione della tutela assicurata alla tutela della vita privata e alla protezione dei dati personali mediante deindicizzazione alle sole versioni dei motori di ricerca corrispondenti a tutti gli Stati membri dell'Unione Europea".

E lo standard di valutazione a cui ci si deve ispirare nel bilanciamento "non può essere che quello europeo e nazionale e non viene invece in considerazione il quadro giuridico di contemperamento fra i due diritti previsto in altri Paesi il cui diritto nazionale non è applicabile al rapporto giuridico oggetto della pronuncia, per il solo fatto che al destinatario sia imposto di provvedere alla deindicizzazione anche sulle versione di quel Paese del suo motore di ricerca".

Come si è già affermato, infatti, se in quei Paesi vigesse uno standard di tutela dei diritti della personalità meno protettivo, "ciò potrebbe comportare solamente il mancato riconoscimento della decisione italiana o una difficoltà di esecuzione del provvedimento". Ma si tratta di piani distinti: da un lato, quello della potenziale portata extraterritoriale delle norme e dei provvedimenti nazionali; dall'altro, quello del loro riconoscimento da parte degli Stati esteri nell'esercizio della loro sovranità. "Tale sovranità – spiega la decisione - non è certamente compromessa dalla efficacia extraterritoriale del provvedimento del Garante, restando impregiudicata la possibilità per lo Stato straniero di non riconoscere il provvedimento o della decisione giurisdizionale che lo ha ritenuto legittimo".

Tornando invece al diritto dell'Unione, se è vero che esso "non impone agli Stati membri di far sì che la persona interessata che si avvalga del diritto alla deindicizzazione possa ottenere il risultato di incidere su tutte le versioni, anche extraeuropee, del motore di ricerca", tuttavia "neppure vieta agli Stati membri di consentire questo risultato". "Ciascun Stato membro – e così l'Italia - è libero di effettuare nella sua disciplina nazionale, conformemente agli standard nazionali di protezione dei diritti fondamentali, un bilanciamento …, per richiedere all'esito al gestore di tale motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni del proprio motore, incluse quelle extraeuropee".

Ragion per cui la tesi della inammissibilità degli ordini di rimozione/deindicizzazione globale (ossia destinati a produrre effetti anche sui motori di ricerca extra UE) "per ragioni di diritto internazionale consuetudinario", sostenuta dalle società controricorrenti, "è in contrasto con il diritto della Unione europea, così come interpretato dalla Corte di Giustizia".

"È pur vero – conclude la Corte - che si potrebbero delineare conflitti con gli ordinamenti di altri Stati e le decisioni delle loro giurisdizioni potenzialmente contrastanti con quelle dell'Unione Europea e italiane, come del resto può accadere in ogni altro caso di conflitti fra le regolazioni provenienti da distinti ordinamenti giuridici, non mediati da convenzioni internazionali; ma si tratta però di obiezione e di controindicazione di mero fatto che non incide sull'ammissibilità astratta dell'ordine, ma semmai sulla sua effettiva possibilità di esecuzione e sul riconoscimento della decisione italiana in altri ordinamenti".

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