Immobili

"I conti sono fasulli", la mail al condomino fa scattare la diffamazione ai danni dell'amministratore

Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 12186 depositata oggi

di Francesco Machina Grifeo

Scatta la condanna per diffamazione per il condomino che con una e-mail indirizzata ad un altro proprietario insinua la non correttezza dell'operato dell'amministratore dello stabile. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 12186 depositata oggi, respingendo il ricorso di un uomo condannato dal Tribunale di Torino a 700 euro di multa per aver inviato tre e-mail ad un altro condomino in cui sollevava sospetti sui conti presentati dall'amministratore definendoli "fasulli".

Per la V Sezione penale però ad integrare il reato previsto dall'articolo 595 del codice penale è sufficiente anche soltano una mail, non potendosi escludere che il contenuto diventi oggetto di discussione con gli altri condomini. In particolare, con riferimento alla terza mail, il ricorrente lamentava l'assenza sia dell'elemento oggettivo della comunicazione a più persone, che quello soggettivo dell'intenzione di ledere l'altrui reputazione, poiché l'invio era stato fatto soltanto ad un condomino che poi aveva provveduto a inoltrarla all'amministratore.

Per la Suprema corte tuttavia "è possibile ritenere la sussistenza del requisito oggettivo, ai fini della configurabilità del reato di diffamazione, della ‘comunicazione con più persone' anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio, inviato tramite posta elettronica, ad una sola persona determinata; e ciò sia quando l'accesso alla casella mail sia consentito almeno ad un altro soggetto, a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, e tale accesso plurimo sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l'ordinaria diligenza, sia in tutti i casi in cui la comunicazione inviata via mail a un solo soggetto sia, come prevedibile - con giudizio da operarsi ex ante rispetto alla ricezione – sia stata diffusa o comunque posta a conoscenza di almeno un altro soggetto".

E nel caso di specie, prosegue la decisione, "ciò che rileva è che il ricorso nel contestare il requisito delle più persone fa riferimento alle dichiarazioni rese dai testi e in particolare a quelle rese dal destinatario della mail, laddove, dalla trascrizione allegata, emerge, piuttosto, che questi commentava le mail ricevute dall'imputata, come era prevedibile che accadesse trattandosi di questioni che riguardavano il condominio, con gli altri condomini".

Quindi la circostanza che il teste abbia affermato di aver girato la mail al solo amministratore, "non esclude affatto che egli - come dal medesimo affermato nell'ambito dello stesso contesto testimoniale - ne abbia anche parlato "tra condomini" (così testualmente nel verbale allegato).

D'altronde l'invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l'utilizzo di internet, "integra un'ipotesi di diffamazione aggravata e l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria".

Non solo, per la Cassazione, nel caso specifico, sussiste l'offesa e l'animus diffamandi in quanto nella mail si insinua il dubbio circa la correttezza della condotta dell'amministratore - ritenuto, testualmente «in seria difficoltà, per non dire che è nei guai» e che "deve sistemare" la questione - e, nel riportare la conoscenza di un possibile nuovo amministratore, ritenuto «valido», con cui rimpiazzarlo. Così, prosegue la decisione, implicitamente alludendo "all'inidoneità dello stesso a ricoprire la carica, cercando, con tali maniere, di intaccarne la stima e reputazione acquisita nel contesto di riferimento rappresentato dall'opinione degli altri condomini".

Del resto, continua la Cassazione, le espressioni adottate dalla ricorrente risultano "pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti" rispetto al fine di manifestare il proprio dissenso nei confronti della correttezza dei conteggi operati dall'amministratore. Non vengono, infatti, utilizzati termini volti "meramente ad evidenziare l'inesattezza dei conteggi", né gli importi vengono definiti solo «sbagliati», ma anche «fasulli».

Non rileva neppure che fosse pendente un giudizio davanti al giudice di pace in relazione all'opposizione proposta dalla ricorrente al decreto ingiuntivo relativo alle somme condominiali richieste e non pagate, "dal momento che la eventuale pretesa di una non debenza delle somme oggetto di ingiunzione non poteva, in ogni caso, in alcun modo legittimare la campagna altamente denigratoria promossa dall'imputata contro chi quelle somme aveva conteggiato".

Infine, non era invocabile neppure la cosiddetta exceptio veritatis (di cui all'articolo 596, comma 3, n. 2) del codice penale) in quanto "in tema di diffamazione, la cd. prova liberatoria di cui all'art. 596 cod. pen. postula innanzitutto la condizione che, nei confronti della persona la cui reputazione è stata offesa, sia pendente un procedimento penale - e non, come nel caso di specie, uno civile - oltre che la piena dimostrazione della esistenza del fatto attribuito al diffamato, dimostrazione che può essere diretta, cioè acquisibile nel medesimo procedimento penale, ovvero indiretta, cioè fornita mediante la produzione della pronunzia irrevocabile di condanna".

Ed al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo "non è attribuibile, neppure indirettamente, quella consistenza di accertamento storico del fatto idoneo a fondare una valutazione dello stesso in termini di responsabilità penale del diffamato".

Ricorso inammissibile, dunque, e condanna del ricorrente al versamento di 3mila euro in favore della cassa delle ammende, ed alla rifusione delle spese della parte civile liquidate in altri 3mila euro.

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