Civile

Bitcoin e cripto-attività, quale regolamentazione a tutela degli investitori

Dopo l'intervento della Cassazione sull'applicazione delle regole per gli strumenti finanziari ai bitcoin e l'allarme di Consob e Banca sui rischi connessi alle cripto-attività, è in via di approvazione il Regolamento comunitario MiCA (markets in crypto-activities), che già prospetta dubbi di portata applicativa

di Paolo Bonolis, Gianfabio Florio*

È questo il dubbio sollevato da alcuni commentatori a seguito della sentenza della Corte di Cassazione n. 26807 del 17 settembre 2020 , che ha definito un procedimento penale azionato per alcuni reati, tra i quali il riciclaggio e l'abusivismo finanziario.

La Cassazione in tale decisione ha stabilito che le criptovalute – nello specifico, quella più celebre: il Bitcoin – potrebbero essere soggette, ricorrendone le condizioni, alle disposizioni relative agli strumenti finanziari, di talché la loro vendita dovrebbe rispettare, tra le altre cose, la normativa in materia di appello al pubblico risparmio prevista dal TUF e dai regolamenti attuativi, la cui violazione integra, il reato di abusivismo di cui all'art. 166 del TUF, contestato nella sentenza in questione e che punisce chiunque, senza esservi abilitato, offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, strumenti finanziari.

Per meglio qualificare la portata della sentenza in questione, è opportuno precisare che la Banca d'Italia definisce le criptovalute quali rappresentazioni digitali di valore, utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento, che possono essere trasferite, archiviate e negoziate elettronicamente.

In quanto "rappresentazioni digitali di valore", le criptovalute non sono sottoposte all'emissione, alla garanzia o al controllo da parte di banche centrali o autorità pubbliche e sono emesse – per il momento - da privati attraverso DLT (distributed ledger technology), un tipo di tecnologia che supporta la registrazione distribuita di dati cifrati.

Tra le varie criptovalute, la più nota è senz'altro Bitcoin, creata nel 2009 e che, nella fattispecie oggetto di pronuncia da parte della Cassazione, era stata acquistata su un server exchange, senza che fossero rispettate le previsioni di legge in materia di appello al pubblico risparmio.

Nell'ambito del giudizio di cassazione, il ricorrente si era difeso sostenendo che la normativa in tema di strumenti finanziari non fosse applicabile, posto che per l'attività da essi svolta, i c.d. exchange sono considerati alla stregua dei cambiavalute virtuali dal d.lgs. 90/2017 (e devono infatti essere iscritti in una apposita sezione – ancora non istituita – del registro di cambiavalute tenuto dall'OAM).

Inoltre, il ricorrente aveva posto particolare rilievo alla circostanza per cui le valute virtuali scambiate sugli exchange sono qualificate come meri strumenti di pagamento e il TUF prevede espressamente (art. 1, comma 2) che "gli strumenti di pagamento non sono strumenti finanziari", con la conseguenza che il richiamo all'art. 166 del TUF in tema di abusivismo sarebbe risultato errato nel caso specifico.

La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto immeritevoli di accoglimento le censure del ricorrente, sostenendo che nel caso in esame la vendita di Bitcoin era stata reclamizzata sulla piattaforma exchange come una vera e propria proposta di investimento, tanto che sul sito ove veniva pubblicizzata si davano informazioni idonee a mettere i risparmiatori in grado di valutare se aderire o meno all'iniziativa, affermando che "chi ha scommesso in bitcoin in due anni ha guadagnato più del 97%".

Sulla base di tali motivi, il Giudice di legittimità ha ritenuto che l'offerta e lo scambio di Bitcoin integrasse una attività soggetta agli adempimenti di cui agli artt. 91 e seguenti del TUF, la cui omissione integra il reato di abusivismo ex art. 166 TUF.

Il giudizio della Corte di Cassazione è quindi risultato il frutto di una valutazione in concreto basata sulle specifiche modalità con le quali è stata realizzata la condotta contestata all'indagato (l'offerta dei Bitcoin alla stregua di strumenti finanziari), più che sull'intrinseca natura dei Bitcoin, che in alcun modo nella sentenza vengono qualificati come strumenti finanziari.

L'intento della Suprema Corte è senza dubbio lodevole, posto che in una palese situazione di vuoto normativo tende ad applicare la disciplina posta a tutela dei risparmiatori e del buon funzionamento del mercato finanziario; tuttavia, esso presenta qualche incongruenza poiché presuppone una qualificazione delle criptovalute come strumenti finanziari, che non è giustificata dalla normativa attualmente in vigore.

In realtà la pronuncia della Cassazione testimonia l'esigenza (o meglio la necessità) di regolamentare situazioni sicuramente riconducibili a quelle già regolamentate dalla direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MiFID II) e dalla normativa italiana di attuazione (TUF e Regolamenti Consob).

A tale contesto di crescente allarme ed all'esigenza di "mettere in guardia" gli investitori sui rischi legati alle criptovalute e agli altri "digital assets" o "cripto-attività" va ricondotto il comunicato congiunto del 28 aprile 2021 di Banca d'Italia e Consob , con cui tali Autorità di vigilanza hanno richiamato l'attenzione della collettività, e in particolare dei piccoli risparmiatori, sugli elevati rischi connessi con l'operatività in cripto-attività che "possono comportare la perdita integrale delle somme di denaro utilizzate".

Nel comunicato si sottolineano i rischi di diversa natura insiti in tale operatività, in assenza di un quadro regolamentare di riferimento. In particolare: scarsa disponibilità di informazioni in merito alle modalità di determinazione dei prezzi; volatilità delle quotazioni; complessità delle tecnologie sottostanti; assenza di tutele legali e contrattuali; rischio di perdite a causa di malfunzionamenti, attacchi informatici o smarrimento delle credenziali di accesso ai portafogli elettronici. Analogo avvertimento era stato già rivolto agli investitori nel mese di marzo 2021 dalle Autorità europee di vigilanza (EBA, ESMA, EIOPA).

Del resto, a livello comunitario la Commissione europea aveva da tempo proposto di chiarire che l'attuale definizione di "strumenti finanziari" – che precisa l'ambito di applicazione della direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MiFID II) – comprenda gli strumenti finanziari basati sulla DLT, e che venga al contempo istituito un regime specifico per le cripto-attività non disciplinate dalla legislazione vigente in materia di servizi finanziari, nonché i token di moneta elettronica.

Detto regime specifico è proprio quello oggetto delle recenti previsioni del Regolamento UE (markets in crypto-activities - MiCA), in corso di approvazione, sui mercati delle cripto-attività, definite come rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la DLT o una tecnologia analoga e, quindi, come tali idonee a ricomprendere anche le criptovalute (di cui Bitcoin costituisce una species, senza dubbio la più celebre).

Ebbene, ai sensi del Regolamento si impongono agli emittenti di cripto-attività (tra le quali sono ricomprese anche le criptovalute) tutta una serie di obblighi comportamentali e a tutela degli investitori, tra cui la pubblicazione di un white paper avente le funzioni del prospetto per gli strumenti finanziari (sebbene il riferimento a "prospetto", ancorché "semplificato", sarebbe risultato maggiormente incisivo rispetto a "white paper" termine mutuato dalle Initial Coin Offering, che non hanno avuto risultati confortanti dopo i fallimenti del 2017).

Alla luce dell'attuale scenario, quindi, può sostenersi che la sentenza n. 26807/2020 non costituisca un provvedimento "storico" come molti lo hanno definito, poiché, come detto, lungi dal qualificare i Bitcoin – ma, in genere, le criptovalute – quale strumento finanziario, la Suprema Corte ha soltanto stabilito che la loro cessione può integrare i requisiti della vendita di strumenti finanziari al ricorrere di determinate circostanze.

Allo stesso tempo, la sentenza in parola appare quasi "anticipatoria" di future questioni giuridiche: se è vero che, non appena il MiCA sarà definitivamente approvato, i Bitcoin, pur non essendo qualificati strumenti finanziari, saranno considerati cripto-attività, allora chi vorrà venderli, anche attraverso piattaforme exchange, sarà tenuto al rispetto di una serie di obblighi nei confronti degli investitori, molto simili a quelli oggi previsti dalla normativa Mifid e TUF.

Tuttavia, detti obblighi saranno quelli introdotti appositamente dal MiCA per le cripto-attività e non quelli che, con la sentenza in esame, oggi la Suprema Corte identifica negli articoli 91 e ss. del TUF, applicabili agli strumenti finanziari nei quali, come detto, oggi non possono essere ricompresi i Bitcoin.

Residuano, purtuttavia, una serie di dubbi di portata applicativa: il Regolamento MiCA (art. 4.2) esclude l'obbligo di pubblicazione del white paper in alcune ipotesi, tra cui quella in cui le cripto-attività siano create automaticamente tramite mining, a titolo di ricompensa per il mantenimento della DLT per la convalida delle operazioni.

Appare, questa ipotesi, quasi sintomatica di una possibile contraddizione: se da un lato l'emissione di Bitcoin quali cripto-attività soggette alle previsioni del Regolamento dovrebbe prevedere la pubblicazione di un White Paper, dall'altro, sempre ai sensi del Regolamento, la loro emissione a titolo di ricompensa per il mining sarebbe comunque esente da tale incombenza. Resterebbero quindi, a tutela degli investitori, soltanto gli obblighi informativi e di comportamento che il Regolamento impone ai fornitori di servizi in cripto-attività.Questa ipotesi, come molte altre che saranno sottoposte a livello pratico agli operatori del diritto, troverà verosimilmente risposta nella proliferazione di norme e chiarimenti in tema di criptovalute che farà indubbiamente seguito all'approvazione del MiCA.

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*A cura degli avv.ti Paolo Bonolis e Gianfabio Florio, Studio CMS

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