Amministrativo

PA, casella di posta "satura": è onere del mittente attivarsi per il perfezionamento della comunicazione

La ricevuta di mancata consegna di un messaggio PEC inviato a una casella postale satura impone al mittente di adoperarsi altrimenti affinché il messaggio stesso sia portato a conoscenza del destinatario (Tar Sardegna, Cagliari, Sez. I, 14 febbraio 2022, n. 99)

di Daniele Archilletti*

Emergono nuovamente i dubbi ermeneutici in ordine alla validità della trasmissione di un atto indirizzato a una casella di posta elettronica satura, rispedita al mittente mediante una ricevuta automatica di mancata consegna del relativo messaggio PEC: questa volta, però, la sede oggetto della controversia non è né civile né penale, bensì amministrativa.

Nel caso di specie, in particolare, il Tar Sardegna si è dovuto pronunciare sulla legittimità di un provvedimento ablatorio, reso dall'amministrazione comunale competente, a fronte di una dichiarazione autocertificava unica presentata da un privato per la realizzazione di un tratto di muratura di recinzione lungo strada e tra proprietà private, previa demolizione della recinzione esistente e conseguente rimozione e posa in opera di cancelli in ferro.

Il provvedimento de quo è stato adottato anche sul presupposto della mancata ricezione delle osservazioni, da parte del privato, al preavviso di rigetto ritualmente comunicatogli dall'amministrazione circa un mese e mezzo prima dell'adozione del provvedimento stesso. Senonché, come facilmente evincibile dalla premessa, tali osservazioni erano state trasmesse via PEC all'amministrazione comunale, ma il privato si era visto recapitare una ricevuta di mancata consegna del messaggio, in quanto la casella postale di quest'ultima risultava piena.

Il provvedimento in esame è stato dunque impugnato dal privato innanzi all'intestato Tribunale.

Nel ricorso introduttivo del giudizio, il privato ha in particolare sostenuto, per quel che qui interessa rilevare, l'illegittimità del provvedimento ablatorio sul presupposto che l'amministrazione non ha tenuto conto delle osservazioni presentate dal ricorrente in riscontro alla comunicazione dei motivi ostativi, peraltro evidenziando che l'istante non ha presentato alcun riscontro.

A sostegno della propria tesi il ricorrente ha fatto leva sulla circostanza che nessun rilievo potrebbe essere attribuito alla mancata consegna delle osservazioni per l'impossibilità derivante dalla saturazione della capienza massima della casella di posta elettronica dell'amministrazione, dovendosi arrestare l'onere di diligenza del privato cittadino all'invio della PEC e dovendo, al contrario, essere esclusivo onere del titolare della casella di posta provvedere alla sua periodica manutenzione e svuotamento in modo che sia costantemente idonea alla ricezione di atti.

La tesi, pur non essendo peregrina, è stata tuttavia ritenuta infondata dal giudice investito della controversia.

Il Tar ha rilevato, in particolare, che è senz'altro vero che il titolare della casella di posta deve manutenere la stessa affinché sia sempre possibile la ricezione di messaggi (ciò secondo quanto indirettamente ricavabile dalla lettura del Codice dell'amministrazione digitale), tuttavia, anche in assenza di una espressa previsione di legge che disciplina una presunzione di conoscenza del contenuto di documenti non pervenuti all'amministrazione, resta fermo in capo al mittente l'obbligo di comportarsi secondo i canoni comportamentali della correttezza e della buona fede, nel rispetto dei quali avrebbe dovuto inoltrare nuovamente le osservazioni predisposte, anche mediante una modalità alternativa a quella telematica.

Così pronunciandosi, il Tar ha dato prevalenza ai canoni generali che permeano l'ordinamento piuttosto che alle disposizioni del citato Codice, statuendo peraltro come il ricorrente, con il suo comportamento, ha dimostrato di non coltivare con la diligenza dovuta l'interesse di poter superare, mediante la produzione di integrazioni e chiarimenti, i motivi ostativi comunicatigli dall'amministrazione comunale.

Come anticipato, la pronuncia in esame si innesta nel solco di orientamenti giurisprudenziali già formatisi sul punto, peraltro discordanti tra loro, seppur concernenti procedimenti notificatori appartenenti alla sfera processuale – con conseguente applicazione delle discipline del processo telematico – e non già, come nel caso di specie, procedimentale.

Tra gli orientamenti citati valga segnalare, innanzitutto, quel filone giurisprudenziale che sostiene l'imputabilità al destinatario della mancata consegna del messaggio PEC, in caso di inadempimento all'obbligo di dotazione di un servizio automatico di avviso dell'imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e di verifica dell'effettiva disponibilità dello spazio a disposizione. Tale assunto, reso in applicazione del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, considera però la circostanza dell'avvenuto deposito in cancelleria del relativo atto, che ha quindi consentito aliter il perfezionamento della notifica ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (cfr. Cass. pen., Sez. III, 1° dicembre 2017, n. 54141 ).

Un ulteriore orientamento sottolinea che, al verificarsi dell'ipotesi oggetto del presente commento, grava sul mittente l'onere di riavviare in tempi brevi il procedimento di notificazione presso il domicilio fisico del destinatario, in ossequio al principio della ragionevole durata del processo nonché ai sensi delle regole generali dettate dall'art. 137 c.p.c. (vds. Cass., SS. UU., 15 luglio 2016, n. 14594; nello stesso senso, cfr. Cass. civ. Sez. VI - 3, Ord., 31 luglio 2017, n. 19059; Cass. civ., Sez. V, ord. 11 maggio 2018, n. 11485; Cass. civ., Sez. VI - 3, Ord., 9 agosto 2018, n. 20700; Cass., Sez. Lavoro, Ord. 9 marzo 2021, n. 6503; Cass. civ., Sez. III, 20 dicembre 2021, n. 40758 ).

Di avviso diametralmente opposto altre pronunce giurisprudenziali, che considerano regolarmente avvenute la notificazione o la comunicazione trasmesse a una casella di posta elettronica satura, giacché, una volta ottenuta l'abilitazione all'utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, il titolare diventa responsabile della gestione della propria utenza, con il duplice onere di verificare periodicamente le comunicazioni inviategli a tale indirizzo e di attivarsi affinché i messaggi possano essere regolarmente recapitati (cfr. Cass. civ., Sez. Lavoro, 21 maggio 2018, n. 12451, che richiama id., 21 novembre 2016, n. 23650; vds. Cass. civ., Sez. III, Ord., 23 febbraio 2021, n. 4920 ). Valga rilevare che tali pronunce concernono, in particolare, il caso in cui il messaggio PEC sia stato inviato dalla cancelleria del Tribunale investito della controversia.

Un ultimo arresto giurisprudenziale considera, infine, la possibilità che la saturazione della casella di posta elettronica sia configurabile alla stregua di un preventivo rifiuto di ricevere ulteriori messaggi, con l'effetto che tale condotta renderebbe valida la consegna del messaggio (cfr. Cass. civ., sez. VI - 3, Ord., 5 febbraio 2020, n. 2755 ).

Il riepilogo giurisprudenziale svolto dimostra inequivocabilmente l'incertezza che la giurisprudenza nutre sul punto, tanto da dover ricorrere a interpretazioni delle lacunose norme applicabili che, a volte, sembrano essere addirittura – sia consentito l'utilizzo dei termini – tendenziose e discriminatorie, in quanto vengono trattati diversamente casi analoghi, a seconda che il mittente sia il privato ovvero l'amministrazione.

In tale contesto, l'orientamento del Tar Sardegna corrobora ulteriormente il clima di incertezza descritto, laddove non tiene conto del principio di non aggravamento del procedimento amministrativo, ma addirittura aggiunge l'elemento dell'interesse del mittente a coltivare la propria istanza quale indice per valutare il mancato perfezionamento della comunicazione telematica.

A ciò si aggiunga che tale pronuncia risulta particolarmente contraddittoria nella parte in cui, per un verso, riconosce che la comunicazione spedita via PEC è da intendersi validamente consegnata qualora la mancata consegna sia dovuta a fatto imputabile al destinatario, mentre, per altro verso, rileva che non vi è una disposizione di legge che stabilisce una presunzione di conoscenza del contenuto di documenti che non erano pervenuti all'Amministrazione. Delle due, tuttavia, l'una. Anche perché non vi è alcuna disposizione di legge che prevede che l'invio del messaggio telematico, a fronte del quale si è registrato l'inadempimento del destinatario di manutenere la propria casella di posta, possa avere rilievo – come il Tar Sardegna sostiene – ai soli fini della prova del rispetto dei termini ma non anche per la valutazione della legittimità della successiva azione dell'amministrazione.

In tale contesto, è quindi agevole comprendere lo smarrimento avvertito dagli operatori del settore, i quali, in assenza di norme chiare, in casi analoghi a quello di specie non potranno che fare affidamento sulla loro diligenza. Ciò, peraltro, anche a costo di dover sopportare plurimi incombenti, francamente inaccettabili all'interno di un panorama tecnologico avanzato e, in quanto tale, finalizzato allo snellimento e alla semplificazione dei procedimenti e dei processi.

In conclusione, non è banale, a parere di chi scrive, reiterare il solito e noioso appello al Legislatore di dare pronta soluzione al tema in esame mediante la predisposizione di un quadro normativo chiaro, che magari si inserisca all'interno del Codice dell'amministrazione digitale, quale testo di riferimento per l'informatizzazione della pubblica amministrazione nei rapporti con i cittadini e le imprese e da cui attingere per conseguentemente uniformare le varie discipline sul processo telematico.

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*A cura dell'Avv. Daniele Archilletti, Studio Lipani Catricalà & Partners

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