Società

Responsabilità degli enti da reato e confisca: la definizione del profitto confiscabile negli illeciti di natura associativa

Con la sentenza in commento (Cass. Pen. Sez. IV, Sent. n. 47010 del 17 dicembre 2021) la Corte di Cassazione è tornata sulla definizione del profitto confiscabile nei confronti di una società giudicata responsabile del reato di associazione a delinquere, ex D.lgs. 231/01

di Fabrizio Sardella, Alexis Bellezza*

Il caso che ci occupa riguarda condotte di associazione per delinquere ex art. 416 c.p., poste in essere da soggetti apicali di una società. Tra i reati-scopo dell'associazione criminosa contestata sono ricompresi diversi illeciti tributari sanzionati ai sensi del D.lgs. 74/2000. In particolare, il fulcro dell'attività illecita consisteva nella costituzione di plurime società "cartiere", utilizzate per emettere fatture per operazioni inesistenti, al fine ultimo di conseguire sgravi fiscali indebiti, dalla portata assai significativa, in capo alla società di costruzioni posta all'apice della struttura organizzativa.

L'Autorità Giudiziaria, ritenendo che la società beneficiaria avesse conseguito vantaggi patrimoniali delle attività illecite perpetrate dai suoi rappresentanti, ha provveduto a condannarla ai sensi dell'art. 24-ter del D.lgs. 231/01, applicando sia la sanzione pecuniaria che la sanzione della confisca (obbligatoria) ex art. 19 del Decreto.

Nell'approcciarsi all'analisi della pronuncia qui considerata, anzitutto, è doveroso vagliare attentamente l'iter argomentativo proposto dalla Suprema Corte. In principio, gli Ermellini hanno inteso sgombrare nuovamente il campo dall'ipotesi secondo cui sarebbe possibile che illeciti non espressamente menzionati dal D.lgs. 231/01 possano accedere alla responsabilità degli enti per tramite della contestazione a titolo di reati-base del delitto associativo.

Gli illeciti presupposto di cui al Decreto sono infatti annoverati in un circuito a numerus clausus, e nessun ente può mai essere chiamato a rispondere di reati che non siano presenti nell'elenco di cui agli artt. 24 e seguenti al momento della realizzazione del fatto.

Diversamente si incorrerebbe in una manifesta violazione del principio di legalità, come declinato all'art. 2 del Decreto stesso. Ancorché tale principio sia ormai saldo in giurisprudenza, e sia stato rimarcato anche nella sentenza in analisi, le successive considerazioni in tema di confisca paiono intraprendere un sentiero non del tutto coerente.

Nella parte motiva, infatti, la Corte enuncia che "L'associazione per delinquere, in quanto lesiva dell'incolumità pubblica, si astrae dai reati-fine, che vengono in luce solo in quanto costituenti lo svolgimento del programma criminoso perseguito dagli associati; l'ente risponde non già dei reati-fine, ma delle "proiezioni patrimoniali" del programma criminoso, venendo gli illeciti avvinti dal vincolo associativo".

La Corte compie quindi un passaggio ulteriore, smarcando nettamente le due problematiche: da un lato esclude che l'associazione per delinquere, in quanto autonoma rispetto ai reati scopo commessi nel suo ambito, possa fungere da grimaldello ai fini della contestazione a carico dell'ente di reati non espressamente ricompresi tra quelli tassativamente individuati quali presupposto ex 231; dall'altro, però, edifica un ponte concettuale, che consente ai profitti derivanti dai reati base (anche qualora gli stessi non siano presupposto ex 231) di confluire nel profitto associativo confiscabile, così definito: "il profitto del reato di associazione per delinquere, sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente, è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall'insieme dei reati-fine, dai quali è del tutto autonomo e la cui effettiva realizzazione è agevolata dall'organizzazione criminale". Così facendo, la Corte aggira le problematiche afferenti all'osservanza del principio di legalità, sostenendo che la società viene chiamata a rispondere del solo illecito associativo, non anche dei reati-scopo non annoverati nell'elenco tassativo di cui al Decreto 231.

L'orientamento abbracciato dalla Cassazione nella Sentenza 47010/2021 risulta essere ad oggi prevalente, nonostante nei primi approcci alla questione dogmatica qui considerata, il risultato del vaglio di legittimità era stato differente. In particolare, con la pronuncia inerente al caso Ilva , la Corte aveva scongiurato i rischi possibilmente emergenti da un'applicazione estensiva (e distorsiva) degli illeciti associativi nell'ambito della responsabilità degli enti da reato, censurando il provvedimento che aveva disposta il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente nei confronti di alcune società, all'interno del quale venivano in rilievo profili di responsabilità per illeciti non ricompresi nell'elenco tassativo di cui al Decreto 231, escludendone quindi nettamente l'applicabilità, e altresì chiarendo che: "Né la rilevanza di quelle fattispecie può essere indirettamente recuperata, ai fini dell'individuazione del profitto confiscabile, nella diversa prospettiva di una loro imputazione quali delitti-scopo del reato associativo"[1].

La Corte aveva quindi, ab origine, sgombrato il campo anche dalla possibilità che la valutazione del profitto confiscabile a carico dell'ente potesse tenere conto anche del prezzo o del profitto di illeciti non inclusi nell'elenco tassativo di cui al Decreto. A corroborare tale tesi contribuiva la riflessione secondo la quale la responsabilità degli enti non potesse subire un'incontrollata moltiplicazione degli illeciti presupposto, i quali, esclusi dalla tassatività imposta dall'art. 2 del D.lgs. 231/01, sarebbero potuti rientrare di soppiatto, mascherati da reati-fine delle fattispecie associative di cui all'art. 24-ter. Nondimeno, riconoscere una tale possibilità avrebbero causato la proliferazione incontrollata di adempimenti in sede di Risk Analysis e predisposizione delle procedure di prevenzione del rischio di reato in capo alle aziende che intendessero adottare un Modello organizzativo idoneo.

Successivamente, però, si è sviluppato un orientamento contrario, del quale la sentenza qui in commento rappresenta il più recente approdo, che è essenzialmente imperniato sull'autonoma idoneità dell'associazione a delinquere alla generazione di profitto, nonché sull'accentramento nel medesimo illecito di tutti i vantaggi economici collegati ai reati-scopo che si manifestino nel vincolo associativo, e ciò a prescindere dal fatto che gli stessi siano o meno ricompresi nel novero dei reati presupposto ex D.lgs. 231/01.

Sovente, la problematica è emersa in relazione al profitto derivante dalla commissione di illeciti tributari [2], che, come noto, sono stati inclusi in 231 solo a partire dall'entrata in vigore della Legge 157 del 2019 .

Già nel corso dell'anno 2015 ha iniziato ad affermarsi il concetto di associazione a delinquere come detentrice di un'autonoma attitudine alla generazione di profitto, capace di sopravanzare ed inglobare quella del singolo reato-scopo, e tale da comportare, quindi, una accresciuta potenzialità di vantaggio [3].

Una più recente sentenza, la n. 8785 del 2019 , ha quindi ulteriormente precisato che "sono i singoli reati a monte a generare materialmente le entrate, ma queste si fanno profitto divisibile solo per il tramite della sovrastruttura costituita dall'associazione per delinquere. Il necessario passaggio dalle casse dell'associazione e dalle decisioni dei suoi vertici rende dunque il profitto dei reati-fine il profitto proprio dell'associazione. In quest'ottica, deve ritenersi che in caso di contestazione del delitto di cui all'art. 24-ter d.lgs. n. 231 del 2001 l'ente risponde nel caso di specie non per i reati-fine (e quindi non rileva se questi siano o meno inclusi in quelli costituenti il presupposto della responsabilità amministrativa da reato), bensì del reato associativo, espressamente previsto all'art. 24-ter citato, mentre la realizzazione del programma criminoso, e dunque degli illeciti effettivamente posti in essere, viene in rilievo non al fine di valutare la responsabilità della persona giuridica per ciascuno di essi, ma solo nei limiti in cui i medesimi abbiano apportato un vantaggio patrimoniale alla societas sceleris e, dunque, possano consentire di individuare il profitto conseguito ai fini della confisca".

Nel caso analizzato nella presente sede vengono riproposti i medesimi snodi argomentativi. La Cassazione ha, infatti, richiamato il principio secondo cui "a prescindere dal fatto che i reati-fine producano di per sé vantaggi, l'interprete deve porre l'accento sul reato nel suo "complesso", concentrandosi sull'associazione, la quale manifesta una capacità produttiva di profitto proiettata ad oltrepassare il singolo reato-fine, con accresciuta potenzialità di vantaggio", così concludendo con un'affermazione netta in favore della confiscabilità del profitto dei reati-scopo dell'associazione [4].

Diversi sono i profili di criticità che emergono in relazione al filone giurisprudenziale suesposto: da un lato, non è unanimemente riconosciuto che l'associazione a delinquere sia in grado ex se di generare profitto [5], dall'altro, anche volendo dare per assodato questo aspetto, non viene mai chiarito su quali presupposti si possa ritenere che il profitto di cui al sodalizio criminoso possa, di fatto, "assorbire" quello generato dai reati-scopo, operando quasi alla stregua di un passaggio di asseverazione nei confronti dei vantaggi economici conseguiti a monte.

Ma vi è un ulteriore problema: per consolidata giurisprudenza, alla luce del principio di pertinenzialità, il solo profitto legittimamente confiscabile all'ente ai sensi dell'art. 19 del D.lgs. 231/01 è quello che risulta essere di "derivazione immediata e diretta dal reato che lo presuppone" [6], secondo una chiara ed evidente interconnessione causale tra l'illecito presupposto ed il vantaggio economico conseguito.

Tale ultimo principio mal si concilia con quanto sostenuto dalla sentenza in commento e, in generale, dal filone giurisprudenziale in cui la medesima si innesta.

Come posto a rilievo da illustri rappresentanti della dottrina, infatti, allorché si riconosce l'esistenza di un "assorbimento" del profitto derivante dai reati scopo in quello di cui al reato di associazione, si viene immancabilmente a configurare un profitto conseguito in via indiretta e, comunque, mediata [7]. Il nesso di pertinenzialità dovrebbe, invero, identificarsi solo ed esclusivamente rispetto ai singoli reati-scopo dai quali sfocia direttamente il vantaggio economico in capo all'ente incolpato. Si profilerebbe, pertanto, una violazione del principio di legalità.

In conclusione, l'orientamento consolidatosi in seno alla Corte di Cassazione rispetto alla definizione del profitto dell'associazione per delinquere ai fini della confisca, pare improntato su logiche punitive, intese ad aggirare l'impasse di carattere dogmatico e ad assicurare l'ablazione del profitto generato da reati ancora non ricompresi tra quelli presupposto per l'applicazione della responsabilità da reato ex D.lgs. 231/01.

Invero, un'interpretazione coerente sia con il principio di legalità di matrice costituzionale, nonché con gli altri principi enunciati dalla Corte stessa in ambito di definizione del profitto confiscabile (sia di carattere generale, sia localizzati nel più specifico settore della responsabilità degli enti da reato), imporrebbe di adottare un approccio differente, mirato ad escludere a priori che il profitto derivante da reati che non costituiscono presupposto ex D.lgs. 231/01 – ancorché innestati nel contesto di un'associazione criminosa – possa essere appreso dall'Autorità Giudiziaria in applicazione dell'art. 19 del D.lgs. 231/01.

A parere di chi scrive, infatti, l'orientamento ad oggi dominante non è totalmente rispettoso del principio di legalità; prefigurando sostanzialmente un'applicazione analogica della confisca (anche per equivalente) rispetto ad illeciti per i quali la stessa non ne è prevista l'esecuzione. Come si è scritto, la ragione sottesa all'aggiramento della questione relativa alla presenza o meno delle singole fattispecie nel catalogo dei reati presupposto ex 231, risiede nella volontà di raggiungere lo specifico obiettivo dell'applicazione della sanzione afflittiva nei confronti dell'ente. Si auspicano, pertanto, alternativamente, un intervento del legislatore, ovvero delle Sezioni Unite della Cassazione, che possano fare chiarezza definitiva sul punto, rimediando ad ogni possibile violazione del principio di legalità.

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*A cura degli Avv.ti Fabrizio Sardella e Alexis Bellezza, Studio Legale Sardella

[1] Autorevoli commenti a detta sentenza, vennero redatti, con specifico riguardo alle questioni inerenti alla confisca, da C. Piergallini, Responsabilità dell'ente e pena patrimoniale: la Cassazione fa opera nomofilattica, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2014, p. 988; nonché P. Silvestri, Questioni aperte in tema di profitto confiscabile nei confronti degli enti: la configurabilità dei risparmi di spesa, la individuazione del profitto derivante dal reato associativo, in Cass. Pen., 2014, 1538.
[2] Come evidenziato anche dalla più illuminata dottrina, infatti, è ragionevole prevedere che la tematica sia destinata a "perdere di attualità" ora che i reati tributari hanno fatto il loro approdo tra gli illeciti presupposto di cui al D.lgs. 231/01 (così C. Santoriello, in Associazione per delinquere e responsabilità da reato degli enti: è necessaria l'inclusione dei delitti-scopo nel catalogo dei reati presupposto? In Ilpenalista.it, 28 aprile 2020).
[3] Cass. Pen., Sez. III, 4 marzo 2015 n. 26725, nella quale viene proposta la lettura secondo cui che: "il delitto di associazione per delinquere è idoneo a generare un profitto, che è sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente [...] in via del tutto autonoma rispetto a quello prodotto dai reati fine, e che è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall'insieme di questi ultimi, siano essi attribuibili ad uno o più associati, anche non identificati, posto che l'istituzione della societas sceleris è funzionale alla ripartizione degli utili derivanti dalla realizzazione del programma criminoso". Conformemente anche Cass. Pen. Sez. V, 25 febbraio 2016, n. 15205.

[4] In tal senso si afferma anche la successiva Sentenza n. 8785/2020, nella quale la Cassazione, seguendo un approccio aziendalistico nella determinazione del profitto confiscabile, afferma che: "questo profitto non è destinato a recare un vantaggio uti singoli, se non limitatamente alla divisione degli utili conseguiti dall'organizzazione. (…) Dunque effettivamente sono i singoli reati a monte a generare materialmente le entrate, ma queste si fanno profitto divisibile solo per il tramite della sovrastruttura costituita dell'associazione per delinquere. Il necessario passaggio dalle casse dell'associazione e dalle decisioni dei suoi vertici rende dunque il profitto dei reati-fine il profitto proprio dell'associazione".
[5] A tal riguardo si noti come la giurisprudenza attuava, dapprima, un distinguo tra l'associazione a delinquere semplice ex art. 416 e l'associazione di tipo mafioso di cui all'art. 416-bis, riconoscendo soltanto alla seconda fattispecie di reato la proclività a generare profitto, anche alla luce del fatto che tra gli specifici scopi della stessa rientra anche quello di trarre profitto da attività illecite per mezzo dell'applicazione del metodo mafioso.
[6]. In tal senso si sono espresse le Sezioni Unite della Cassazione, con la Sent. n. 44032/08, alle quali si sono poi uniformati i successivi arresti giurisprudenziali sul tema, passando per la sent della Sezione II, n. 50710/19, sino alla recentissima sentenza n. 6607 del 21.10.2021, secondo la quale "il profitto, per rilevare ai fini della disciplina della confisca, deve essere accompagnato dal requisito della "pertinenzialità", inteso nel senso che deve derivare in via immediata e diretta dal reato che lo presuppone (principio di "causalità" del reato rispetto al profitto)".
[7] In tal senso si esprimono R. Borsari, Percorsi interpretativi in tema di profitto del reato nella confisca, in Legislazionepenale.eu. 2019, p. 40; A. Gilio, Cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia: responsabilità degli enti, associazione per delinquere e profitto confiscabile, in Penaledp.it, 22 marzo 2021.

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