Società

Parte la riforma del Codice della proprietà industriale

Via libera del Consiglio dei ministri al disegno di legge che rivede il Dlgs 30/2005

di Federico Fusco

Il Consiglio dei ministri ha approvato lo scorso 6 aprile il disegno di legge di revisione del Codice della proprietà industriale (Dlgs 10 febbraio 2005, n. 30, “Cpi”), ora sottoposto al vaglio del Parlamento, che punta a rafforzare gli strumenti a difesa dei diritti di proprietà industriale e la competitività tecnologica e digitale delle imprese e dei centri di ricerca nazionali, incentivando gli investimenti e il trasferimento tecnologico delle invenzioni dal mondo della ricerca a quello produttivo.

Il 23 giugno 2021 erano state adottate dal ministero dello Sviluppo economico le “Linee di intervento strategiche sulla proprietà industriale per il triennio 2021-2023”, che tenevano conto di quanto indicato dalla Commissione nel “Piano di azione sulla proprietà intellettuale per sostenere la ripresa e la resilienza dell’Ue” del 25 novembre 2020 e prevedevano il varo di questo disegno di legge.

Le novità

Sotto il primo profilo, anche a tutela del made in Italy, si segnalano l’abrogazione del divieto di sottoporre a sequestro civile i prodotti contraffatti esposti in fiere e l’introduzione di una forma di protezione temporanea per i disegni e modelli che figurano in una esposizione, ufficiale o ufficialmente riconosciuta, con attribuzione al momento dell’esposizione della cosiddetta “priorità” della successiva domanda di registrazione del disegno o modello, se depositata entro i sei mesi successivi.

Il Ddl introduce poi il divieto di registrazione di marchi evocativi, usurpativi o imitativi di indicazioni geografiche e denominazioni di origine protette, recependo i princìpi stabiliti anche dalla Corte di giustizia Ue per porre un freno al cosiddetto Dop sounding.

La titolarità delle invenzioni

L’intervento più significativo riguarda la proposta di modifica dell’articolo 65 del Cpi sulla titolarità delle invenzioni realizzate nell’ambito di università ed enti di ricerca.

Il Ddl prevede che gli enti di ricerca si possano dotare di uffici di trasferimento tecnologico (Utt) per valorizzare i titoli di proprietà industriale «anche attraverso la promozione di collaborazioni con le imprese» e, soprattutto, ribalta l’attuale impostazione, che prevede l’assegnazione dei diritti al dipendente dell’ente di ricerca (il cosiddetto professor privilege).

Viene proposta invece una disciplina analoga a quella vigente per le invenzioni dei dipendenti in generale, ai sensi dell’articolo 64 del Cpi: i diritti nascenti dall’invenzione spettano alla struttura di appartenenza, nell’ipotesi in cui l’invenzione sia fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto, di un rapporto di lavoro o d’impiego, anche se a tempo determinato, ovvero nel quadro di una convenzione con una università, un ente pubblico di ricerca, o anche con università non statali legalmente riconosciute, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e organismi che svolgono attività di ricerca e di promozione delle competenze tecnico-scientifiche senza scopo di lucro.

Solo in caso di inerzia della struttura di appartenenza, dopo sei mesi dalla comunicazione dell’invenzione, l’inventore potrà procedere a depositare la domanda di brevetto a proprio nome, previa informativa scritta alla struttura stessa. Il termine di sei mesi potrà essere prorogato di ulteriori sei mesi, previa comunicazione all’interessato, a condizione che siano state avviate le procedure di deposito.

L’inventore avrà diritto a una remunerazione non inferiore al 50% degli introiti derivanti dallo sfruttamento economico dell’invenzione dedotti i costi sostenuti dalla struttura di appartenenza in relazione al deposito della domanda di brevetto, di registrazione e di rinnovo. Tuttavia, all’ente di ricerca spetterà una remunerazione non superiore al 30% di quanto ricavato dallo sfruttamento dell’invenzione fino a che lo stesso ente, nell’ambito della propria autonomia, non avrà disciplinato diversi aspetti del rapporto con i ricercatori, tra cui le premialità connesse con l’attività inventiva e i rapporti con i finanziatori della ricerca.

Se questa proposta di riforma diventerà legge, la sua efficacia nel raggiungimento dell’obiettivo dichiarato di valorizzare i risultati della ricerca e trasferirli al mondo dell’impresa dipenderà molto dall’adozione della disciplina integrativa rimessa all’autonomia degli enti.

Le possibili inefficienze del regime vigente di professor privilege potranno essere superate solo se gli Utt saranno istituiti e capaci di sfruttare le invenzioni di cui gli enti di ricerca saranno titolari.

D’altro canto, nel Paese tristemente noto per l’inadeguatezza dei salari e per le fughe di cervelli, sarà fondamentale incentivare i ricercatori riconoscendo in modo trasparente e tempestivo la remunerazione che gli spetta: le percentuali di introiti a loro riservate dal Ddl potrebbero rivelarsi solo un miraggio, in assenza di adeguate procedure di gestione, protezione e sfruttamento dell’innovazione da parte delle strutture di appartenenza.

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