Penale

Resta "eterno giudicabile" l'imputato impedito fisicamente (e non mentalmente)

La Cassazione, per la prima volta, ha chiarito, l’ambito della ipotesi di improcedibilità degli eterni giudicabili

di Aldo Natalini

La nuova causa di proscioglimento per incapacità irreversibile a stare in giudizio, prevista dall’articolo 72-bis del Cpp, non è applicabile nei confronti dell’imputato impossibilitato a partecipare al processo per ragioni attinenti alle sue condizioni di salute fisica e non mentale, trattandosi di infermità che non incide sulla capacità di autodeterminazione dell’accusato né impedisce di orientare le proprie scelte processuali.

Così la sentenza n. 14853/2021 , depositata lo scorso 20 aprile, con cui i giudici della sesta sezione penale della Cassazione, per la prima volta, hanno chiarito, circoscrivendolo, l’ambito applicativo della speciale ipotesi di improcedibilità introdotta dall’articolo 1, comma 22, della legge n. 103/2017 per risolvere il noto problema dei cosiddetti eterni giudicabili, cioè quei soggetti che, ritenuti incapaci di attendere coscientemente al processo per una malattia irreversibile, rimanevano imputati in un processo sospeso sine die. Problema di cui si era pure occupata la Consulta (Corte costituzionale n. 23/2013) e di cui si è fatto carico, infine, il legislatore nel 2017, che ha qualificato l’irreversibilità dello status di incapacità psichica quale condizione di improcedibilità conducente alla sentenza di non luogo a procedere (o non doversi procedere), ponendo come unico ostacolo a tale declaratoria l’applicazione delle misure di sicurezza (diverse dalla confisca), nei confronti dell’imputato socialmente pericoloso.

Ma – cadenza oggi la Suprema Corte – nulla autorizza a ritenere che le norme sulla sospensione del procedimento e quelle sull’eventuale adozione della sentenza di proscioglimento ai sensi della novella disposizione riguardino anche l’imputato che si trovi impossibilitato a partecipare al processo per patologie attengono (non allo “stato mentale” bensì) ad una malattia fisica: condizione, questa, che potrebbe essere del tutto transitoria e non incide sulla capacità di autodeterminazione.

 

L’improcedibilità per incapacità irreversibile dell’imputato

Con l’articolo 72-bis – introdotto dalla Riforma Orlando, che ha pure parzialmente riscritto gli articoli 71 e 345 del Cpp – il legislatore del 2017, recependo un percorso evolutivo della giurisprudenza costituzionale (vedi la sentenza monitoria n. 23/2013, menzionata nella sentenza in commetno), ha segnato il definitivo abbandono della logica degli “eterni giudicabili” cui si era ispirato il Codificatore del 1988.

La nuova previsione esclude l’operatività della regola fondata sulla sospensione protratta del procedimento e sulla reiterazione semestrale degli accertamenti sullo stato di capacità per tutti i casi in cui l’incapacità a stare in giudizio sia di natura permanente. Essa prevede infatti che, «se, a seguito degli accertamenti previsti dall’articolo 70, risulta che lo stato mentale dell’imputato è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento e che tale stato è irreversibile, il giudice, revocata l’eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca».

Con l’accertamento dell’incapacità irreversibile dell’accusato – espletabile mediante perizia ma non solo – il novellatore ha ritenuto superflua l’interruzione del procedimento, la quale ha storicamente avuto come unico effetto quello di lasciare in vita un processo penale mai destinato a concludersi se non con la morte del prevenuto o col maturare della prescrizione.

Si è così posto fine a quella sequela di inutili rivalutazioni delle condizioni del prevenuto, destinata altrimenti a protrarsi quantomeno fino all’intervento della prescrizione, evitandosi altresì che l’interessato conservasse oltremodo la propria qualifica di imputato (sebbene essa sia riassumibile alle condizioni di cui all’articolo 345 del Cpp, che sancisce espressamente che, sempreché non siano maturati i termini di prescrizione, l’azione penale può essere riproposta qualora lo stato di incapacità dell’imputato venga meno o si accerti che sia stato erroneamente dichiarato).

È destinato a restare insoddisfatto, tuttavia, l’eventuale interesse della persona destinataria della sentenza di non luogo a procedere (o non doversi procedere) a far valere - nella pur rara e poco probabile ipotesi che riacquisti la capacità di cosciente partecipazione - le più favorevoli cause di proscioglimento nel merito, non essendo esperibile – come ha chiarito la dottrina in proposito – alcun rimedio avverso suddetta pronuncia.

 

Il dictum: gli «eterni giudicabili» fisicamente impediti a comparire

Bene chiarisce il dictum in commento che l’ambito di applicazione dell’articolo 72-bis del Cpp riguarda solo la persona la cui definitiva infermità riguardi lo stato mentale, non anche i soggetti fisicamente impediti di comparire in dibattimento per infermità fisiche, ancorché irreversibili (è il caso, ad esempio, dell’imputato in età molto avanzata e affetto da grave patologia cardiaca). Costoro, quindi, rimangono eternamente giudicabili anche all’indomani della novella del 2017, in quanto continua a prevedersi il rinvio del procedimento e la sospensione del termine di prescrizione.

Le ragioni di tale soluzione – ineccepibile in via di interpretazione letterale e sistematica – risiedono, per la Corte regolatrice, nell’inequivoca formula testuale impiegata dallo stesso articolo 72-bis del Cpp («…lo stato mentale dell’imputato è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento…», pure ripresa, nei medesimi termini, dagli articoli 71, 72 e 73 del codice di rito. D’altro canto, lo stesso articolo 70 – richiamato in seno alla novella disposizione – nel disciplinare gli accertamenti sulla capacità dell’imputato a partecipare coscientemente al processo, fa espressamente riferimento a quelle situazioni in cui l’incapacità dell’imputato sia causata da un’«infermità mentale». Inoltre, sul fronte extracodicistico, l’articolo 112 del Dpr n. 230/2000 (Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario), nel disciplinare le ipotesi in cui gli accertamenti previsti dagli articoli 70 e seguenti del Cpp debbano essere eseguiti su una persona detenuta o internata in un istituto penitenziario, fa menzione ancora una volta delle verifiche sulle «condizioni psichiche»dell’interessato, aggiungendo che i controlli possono essere compiuti, per particolari motivi, presso un Opg, una casa di cura o di custodia o un istituto o sezione per infermi o minorati psichici.

L’odierno arresto si conforma – citandoli testualmente – a quei prespicui rilievi dottrinari secondo cui la nozione di incapace processuale è costruita esclusivamente in relazione alle gravi patologie di tipo psichico perché considerate più stabili di quelle fisiche: indipendentemente dal fatto che quest’ultime nel tempo tendono a risolversi, in ogni caso, a differenza di quelle neurologiche, che impediscono completamente e stabilmente la partecipazione dell’imputato al giudizio, non escludono la possibilità che la presenza dell’imputato in udienza possa essere assicurata con l’impiego di eccezionali modalità di trasporto e con la prestazione di adeguate forme di servizio di assistenza medica.

 

Il richiamo alla giurisprudenza costituzionale

La correttezza dell’odierno approdo giurisprudenziale e la sua conformità ai parametri della Carta fondamentale trovano conferma – secondo gli Ermellini di Piazza Cavour – nella pronuncia con la quale il giudice delle leggi ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 70 e 71 del Cpp, nella parte in cui non comprendono, nella disciplina della sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato, il caso di persone che siano assolutamente impossibilitate a comparire nel giudizio per infermità non afferenti allo stato mentale.

La Consulta – pronunciandosi sulla disciplina dell’impedimento a comparire, di durata non determinabile, che discenda da patologie fisiche dell’imputato nel regime ante novella del 2017 – ha evidenziato come le situazioni poste a confronto dal giudice a quo siano eterogenee, così da escludere che possa considerarsi costituzionalmente dovuta una omologazione delle relative discipline, tenuto conto che solo la infermità mentale preclude all’imputato ogni forma di cosciente partecipazione al processo, compresa quella che potrebbe estrinsecarsi nel consenso alla celebrazione del giudizio in absentia; e che analoghe considerazioni non valgono per gli impedimenti connessi a patologie fisiche, i quali potrebbero essere del tutto transitori e comunque non necessariamente precludono all’imputato l’esercizio di diritti diversi dalla personale partecipazione al giudizio (Corte costituzionale n. 243/2013).  

La Suprema Corte esclude oggi che i termini della questione esaminata nel 2013 dai Giudici delle leggi siano mutati a seguito dell’introduzione della nuova causa di proscioglimento dell’imputato prevista dall’articolo 72-bis del Cpp. Ciò anche valorizzando quelle considerazioni – qualificate come «insuperabili» in motivazione – sviluppate dalla stessa Corte Costituzionale in una precedente decisione in materia con la quale, affrontando una questione relativa ad un prospettato contrasto con il principio di uguaglianza ex articolo 3 della Costituzione, era stato già sottolineato come le situazioni poste a confronto dovessero essere nettamente differenziate (Corte costituzionale, n. 354/1996; conforme Corte costituzionale, n. 67/1999). Solo l’infermo di mente, infatti, non è capace in alcun modo di comprendere gli avvenimenti processuali e di decidere la propria condotta, impedendo in radice lo svolgimento del processo penale, laddove l’infermità fisica, non incidendo sulla capacità di autodeterminazione, non impedisce all’imputato di orientare le proprie scelte processuali (ad esempio permettendo la legittima prosecuzione del procedimento in sua assenza).

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