Civile

Per l’inibitoria infondata scatta la pena pecuniaria

Senza gravi e fondati motivi non si sospende l’esecuzione della sentenza di primo grado

di Giorgio Vaccaro

Il giudice d’appello che boccia, perché infondata, l’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza di primo grado può condannare l’appellante a una pena pecuniaria, in ragione «del tempo occorso al collegio (...) per scrutinare la vicenda (...) e del tempo così sottratto alla decisione di istanze invece ammissibili». Lo ha deciso la Corte d’appello di Roma che, con l’ordinanza resa il 26 gennaio scorso (presidente Lo Sinno), ha irrogato all’appellante una sanzione di 500 euro, chiarendo il raggio d’azione della sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado.

Per i giudici, questo rimedio «costituisce, all’evidenza, un’eccezione ai principi desumibili dall’articolo 282 del Codice di procedura civile», in base al quale «il giudizio di primo grado deve esaurire qualsiasi questione proponibile fra le parti e l’impugnazione dev’essere finalizzata non già principalmente a ottenere l’inibitoria, ma alla correzione dei vizi denunciati sulla base di una concreta possibilità di riforma della sentenza impugnata».

Partendo da questo principio, i giudici della Corte d’appello ricordano che la legge 263/2005 ha modificato l’articolo 283 del Codice di procedura civile disponendo che il giudice d’appello a cui è proposta un’istanza di sospensione dell’esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado deve valutare se sussistono «gravi e fondati motivi» per disporla; ciò «impone una particolare attenzione allo scrutinio del probabile accoglimento dell’appello, poiché la locuzione “fondati motivi” ha riguardo solo al merito ed esclude che il giudice possa limitarsi a valutare le questioni attinenti al pericolo». Per i giudici, la nuova formulazione della norma «restringe il campo di operatività dell’inibitoria al caso che l’esito dell’impugnazione appaia senza meno, in via prognostica, favorevole all’istante» Non solo: la norma «richiede altresì che il pregiudizio – che non può esaurirsi nella mera fisiologica produzione degli effetti propri dell’esecuzione della sentenza impugnata – non sia soltanto allegato, ma altresì comprovato».

Quindi, in mancanza di «reali e oggettive considerazioni in ordine alla sussistenza del “periculum”», e considerato che «il requisito del “fumus” è tutt’altro che palese», l’istanza di sospensiva non può trovare accoglimento, perché infondata.

L’inibitoria, infatti, ha come scopo quello di evitare l’esecuzione di una sentenza non solo ingiusta ma, dalla cui esecuzione, discenderebbe un danno irreparabile per l’appellante.

Al rifiuto dell’istanza consegue l’applicazione del secondo comma dell’articolo 283 del Codice di procedura civile, aggiunto dalla legge 183/2011, per cui «se l’istanza (...) è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta a una pena pecuniaria non inferiore a 250 euro e non superiore a 10mila euro», salva poi la revoca con la sentenza che definisce il giudizio.

I giudici ritengono quindi «conforme a equità» irrogare all’appellante una pena pecuniaria di 500 euro, tenuto conto «del rilievo economico della controversia, della evidente insussistenza dei presupposti di legge per l’accoglimento dell’istanza, del tempo occorso al collegio (elemento rilevante, dato il carattere sanzionatorio della disposizione) per scrutinare la vicenda, del numero e della quantità degli atti esaminati e delle parti e del tempo, così sottratto alle decisioni di istanze invece ammissibili». Con ciò si è voluto evitare il reiterarsi di inibitorie presentate solo per ritardare la soddisfazione, in via esecutiva, della parte vittoriosa in primo grado.

Le norme
Esecuzione provvisoria
Di regola, la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti. Il giudice d'appello, su istanza di parte, se sussistono gravi e fondati motivi, può sospendere in tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza. Se però l'istanza è infondata il giudice può condannare l'appellante a una sanzione da 250 a 10mila euro

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