Responsabilità

Marito scomparso dall'ospedale, nessun risarcimento per la moglie

Per la Corte di cassazione, sentenza n. 11320 depositata oggi, la donna doveva provare la responsabilità del nosocomio, avendo fatto una domanda iure proprio e dunque a titolo di responsabilità extracontrattuale

di Francesco Machina Grifeo

La moglie non può chiedere il risarcimento del danno per la scomparsa del marito, ricoverato per una riabilitazione motoria dovuto al Parkinson ma in perfetta salute mentale, senza fornire una prova della responsabilità della struttura. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11320 depositata oggi, respingendo il ricorso della donna che chiedeva un 908mila euro per i danni patrimoniali e non.

Il marito, affetto da morbo di Parkinson dal maggio 2011, si era ricoverato presso la Fondazione Ospedale San Camillo a Venezia Lido ma dopo soli tre giorni era improvvisamente scomparso. Le successive ricerche, protrattesi per anni, non hanno dato alcun esito. Secondo la ricorrente la scomparsa era imputabile all'inadempimento degli obblighi contrattuali assunti dalla struttura Sanitaria e in particolare dell'obbligo di vigilanza e protezione del paziente ivi ricoverato.

Nel 2018, il tribunale rigettò la domanda e la decisione è stata confermata, sia pure con diversa motivazione, dalla Corte di appello di Milano, con sentenza del 27 giugno 2019, sui rilievi: che l'invocata responsabilità doveva essere correttamente qualificata, non come responsabilità contrattuale ma come responsabilità extracontrattuale, essendo la moglie estranea al contratto di spedalità stipulato dal marito "e non avendo essa azionato una pretesa risarcitoria acquisita iure hereditario ma una pretesa risarcitoria asseritamente vantata iure proprio".

Avrebbe dunque dovuto provare l'omessa vigilanza della struttura che tuttavia era configurabile solo in presenza di una condizione di menomazione psichica del paziente che invece "era sempre parso persona lucida, orientata nel tempo e nello spazio ed autosufficiente, e che il Morbo di Parkinson gli aveva bensì provocato difficoltà nella deambulazione e, in generale, nel movimento ma non anche compromissione della capacità cognitiva". Del resto, l'assenza di una condotta colposa omissiva derivava dalla stessa conformazione strutturale del nosocomio che offriva prestazioni di riabilitazione motoria in un ambiente aperto, dotato di parco e con affaccio sulla spiaggia, alla quale i degenti potevano liberamente accedere e dove la persona scomparsa era stato notato "mentre conversava confidenzialmente con due donne, in un contesto di perfetta serenità, che non avrebbe giustificato alcun provvedimento limitativo della sua libertà di movimento".

Un ragionamento validato dalla Terza Sezione civile secondo cui "mentre il paziente, in quanto titolare del rapporto contrattuale di spedalità, è legittimato ad agire per il ristoro dei danni cagionatigli dall'inadempimento della struttura sanitaria con azione contrattuale, al contrario, fatta eccezione per il circoscritto ambito dei rapporti afferenti a prestazioni inerenti alla procreazione, la pretesa risarcitoria vantata dai congiunti per i danni da essi autonomamente subiti, in via mediata o riflessa, in conseguenza del medesimo contegno inadempiente, rilevante nei loro confronti come illecito aquiliano, si colloca nell'ambito della responsabilità extracontrattuale ed è soggetta alla relativa disciplina" e dunque ai relativi oneri probatori.

L'attrice, dunque, avrebbe dovuto fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale della struttura, "vale a dire il fatto colposo (consistente nel contegno omissivo conseguente alla violazione di un dovere di sorveglianza giustificato da una minorazione cognitiva del paziente, rimasta indimostrata), il pregiudizio che da questo fatto sarebbe conseguito alla ricorrente e il nesso causale tra il fatto colposo e il danno".

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