Penale

Il confine tra atti osceni e violenza sessuale

di Giorgio Vaccaro


Un recente fatto di cronaca accaduto su un bus di Torino riporta alla ribalta la distinzione tra reato di violenza sessuale e quello di atti osceni. Con differenti ricostruzioni giuridiche e conseguenze. Il gip di Torino, Alessandra Cecchelli, con ordinanza del 21 luglio 2017, ha deciso che non costituisce violenza sessuale ma solo atto osceno il lasciare materiale seminale sulla vittima. E ha così respinto la richiesta di arresto del colpevole formulata dal pm, Andrea Padalino.

Il pm aveva richiesto la misura cautelare indicandolo colpevole «del delitto di cui all'articolo 609-bis del Codice penale, perché contro la volontà della parte offesa la costringeva a subire atti sessuali, ed in particolare a bordo del bus linea 68, rimanendo in stretto contatto con la parte offesa, si masturbava…». Nella denuncia della donna si legge in sostanza che la vittima si era accorta di un «calore» alla gamba sinistra, e si era spostata, pensando dapprima che il passeggero al suo fianco sul bus la stesse toccando. Solo in seguito aveva realizzato - mentre la stessa persona si dirigeva verso l'uscita - che il calore derivava da una masturbazione che aveva lasciato tracce organiche.

Rispetto a questi fatti, il giudice di Torino osserva che «non sono presenti elementi ulteriori per confermare che lo sfregamento masturbatorio - ipotizzato - sia stato effettuato in appoggio alla gamba della donna, dovendosi ritenere che se così fosse avvenuto, di sicuro, la ragazza avrebbe avvertito sensazioni ben diverse dal mero calore. In assenza dunque di certezze sul punto, appare difficile qualificare il gesto come violenza sessuale e non piuttosto come mero atto osceno – del resto così qualificato dalla stessa parte offesa – che non consente l'applicazione delle misura richiesta».

Approfondendo il contesto giurisprudenziale di riferimento per un tale ragionamento ermeneutico, non v'è chi non veda come questo sia, quantomeno, in contrasto diretto con l'insegnamento della Corte di cassazione in materia di violenza sessuale. La Corte infatti è di tutt'altro avviso, avendo ritenuto, con una produzione di sentenze conforme e concordante, come ad esempio in merito all'elemento centrale del reato (Cassazione, Terza sezione penale, sentenza n. 49597/16) «il fulcro attorno cui ruotano i fattori idonei a realizzare la fattispecie penalmente rilevante di violenza sessuale è costituito dalla violazione della sfera di libera autodeterminazione che l'ordinamento assicura all'individuo nell'ambito della propria intimità sessuale». Di conseguenza, «ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in questione è sufficiente che l'agente abbia la consapevolezza del fatto che sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo del reato al compimento di atti sessuali a suo carico».

In riferimento poi alla tipizzazione di atti sessuali, si osserva come la Suprema corte e la dottrina abbiano raggiunto una sostanziale uniformità di ragionamento, definendo gli atti sessuali essenzialmente come gli atti di contatto fisico, al nudo o meno, con le zone erogene dell'altrui o del proprio corpo. L'assenza dunque di un contatto onde permettere lo «sfregamento masturbatorio» a parere della giudice di Torino impedirebbe la qualifica dell'agito come violenza sessuale. Ma resta da comprendere come sia possibile una tale limitazione di valutazione, in presenza di un vero e proprio «contatto tra il materiale seminale dell'imputato e la vittima dell'agito sessuale».

Non ci si può dimenticare, infatti, come la giurisprudenza in tema abbia avuto modo di ritenere centrale la tutela della persona offesa, ritenendo compresi nel concetto della violenza «qualsiasi atto o fatto cui consegua la limitazione della libertà del soggetto passivo, così costretto a subire atti sessuali contro la propria volontà». Il reato di violenza sessuale non necessiterebbe, dunque, di una violenza tale da mettere la persona offesa nella impossibilità di opporre una qualsivoglia resistenza, essendo sufficiente che l'azione si compia in modo «insidiosamente rapido tanto da superare la volontà contraria del soggetto passivo» (Cassazione, sentenza 15 febbraio 2017, n. 7154).

In buona sostanza, la migliore dottrina ricomprende ormai pacificamente nella nozione di atto sessuale qualunque atto che «coinvolga oggettivamente la corporeità sessuale della persona offesa e sia finalizzato ed idoneo a compromettere il bene primario della libertà individuale» della parte offesa a non subire il soddisfacimento dell'istinto sessuale dell'autore della violenza. Alla luce di questo, il caso in esame potrà ben essere riformato in appello, così da non lasciare spazio a letture restrittive che lascino impunite azioni che ledono, così gravemente, la libertà all'autodeterminazione sessuale e non solo la libertà della circolazione sui mezzi pubblici. In presenza di veri e propri autori di violenza sessuale lasciati liberi di reiterare il comportamento contra legem.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©