Giustizia

Incontro Draghi-Cartabia, accelera la riforma del Csm

Mattarella prima e Cartabia poi, pressoché alla lettera, hanno sottolineato come l’intervento è ormai «ineludibile»

di Giovanni Negri

Se due indizi possono costituire una prova, le parole di Sergio Mattarella al Parlamento, nel giorno del (nuovo) insediamento alla Presidenza della Repubblica, e l’incontro tra il premier Mario Draghi e la ministra della Giustizia Marta Cartabia rappresentano un importante colpo di acceleratore sulla strada della riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario. I testi elaborati dal ministero sono stati depositati già da prima di Natale a Palazzo Chigi, ma necessità di nuove misure collegate all’emergenza sanitaria, calendario istituzionale, con le elezioni del Capo dello Stato e delicatezza della materia, hanno sinora impedito la presentazione delle proposte in Consiglio dei ministri. Proposte che poi andranno depositate alla Camera dove a breve ripartirà la discussione sull’ormai datata legge delega Bonafede.

Di sicuro il tempo stringe e Mattarella prima e Cartabia poi, pressoché alla lettera, hanno sottolineato come l’intervento è ormai «ineludibile», soprattutto per la determinazione di un nuovo meccanismo elettorale per il Consiglio superiore della magistratura. Le prossime elezioni sono in calendario per luglio e per allora il quadro dovrà essere definito, il che fa ragionevolmente escludere che almeno questa parte possa essere affidata a una delega e quindi a un percorso più lungo.

Quanto al sistema da scegliere, assai significativi sono stati i risultati del referendum condotto dall’Anm tra i propri iscritti, dove il tema ricorrente del sorteggio, caldeggiato dal centrodestra, dall’ultima nata tra le correnti (Articolo 101), da una parte di Autonomia e Indipendenza, ha ottenuto un buon risultato. Per il sì al sorteggio sono infatti arrivati 1.787 voti, mentre 2.740 lo bocciano. E al quesito su quale sistema di voto scegliere, sono 3.189 i magistrati a favore del sistema proporzionale, mentre solo 745 sono per il maggioritario.

Ricordato, sia da Mattarella sia da Cartabia, che difficilmente un cambio di sistema elettorale da solo potrà condurre la magistratura a ricucire il rapporto di fiducia con i cittadini, la scelta fatta dalla Giustizia va nella direzione di un aumento complessivo dei consiglieri, sia togati sia laici: i primi salirebbero da 16 a 20, i secondi da 8 a 10. I 20 togati sarebbero suddivisi tra 13 giudici di merito, 5 Pm e 2 giudici di legittimità. I 13 giudici di merito verrebbero eletti in 5 collegi, con un meccanismo in cui i magistrati avranno un unica preferenza per eleggere i due più votati in ciascun collegio, più i tre migliori terzi. Stesso meccanismo per i Pm, i cui 5 eletti “correranno” in due collegi, mentre i due giudici di Cassazione saranno eletti in un unico collegio. Da assicurare, su questi punti potrebbe tornare in campo il sorteggio, sia un numero minimo di candidature sia la parità di genere.

Un drastico giro di vite interesserà il rapporto tra toghe e politica, dove a giudici e pm non sarà più possibile il ritorno in tribunale, neppure con rigidi vincoli territoriali e incompatibilità funzionali. Saranno invece ricollocati al ministero in un ruolo specifico di natura amministrativa.

Sull’assegnazione degli incarichi direttivi sarà prevista la pubblicità degli atti (sul sito intranet del Csm), mentre la definizione dei procedimenti avverrà man mano che emergerà la necessità di coprire il posto vacante, evitando di affastellare nomine con l’ormai proverbiale procedura “a pacchetto”.

Nei consigli giudiziari dovrebbe essere assicurato il diritto di voto anche agli avvocati. Sui fuori ruolo (oggi 200) dovrà essere fissato un tetto massimo, tipizzata la tipologia di incarichi extragiudiziari, per i quali è previsto il collocamento fuori ruolo e di quelli per cui è prevista l’aspettativa. In ogni caso non si potrà andare fuori ruolo prima di 10 anni di effettivo esercizio delle funzioni giurisdizionali e non vi si potrà restare per più di 10 anni.

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