Comunitario e Internazionale

Legittimo il rifiuto di autorizzare cure transfrontaliere solo per motivi religiosi

La libertà di culto non è incisa se il no è necessario a garantire il buon funzionamento del sistema sanitario

di Paola Rossi

Può essere legittimo il rifiuto di autorizzazione preventiva di cure mediche all'estero se la richiesta si fonda esclusivamente su motivi religiosi. Questo l'aspetto principale della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea emessa oggi nella causa C-243/19.
Lo Stato membro di affiliazione del richiedente può legittimamente attenersi alle regole della direttiva europea che se da un lato impongono la concessione dell'autorizzazione nel caso in cui motivi strettamente medici giustificano la cura transfrontaliera, dall'altro possono rifiutarla nel caso in cui la domanda sia avanzata per altri motivi considerati non meritevoli di tutela anche solo in terini di equilibrio finanziario del sistema di assistenza. Ovviamente presupposto di legittimità del rifiuto da parte dello Stato membro di affiliazione del richiedente è che sul suo territorio siano disponibili cure ospedaliere efficaci, anche se le convinzioni religiose dell'affiliato siano contrarie al metodo di cura utilizzato. Si determina così -dice la Cgue - differenza di trattamento indirettamente fondata sulla religione. Ma tale rifiuto non è contrario al diritto dell'Unione se è obiettivamente giustificato da uno scopo legittimo di mantenimento delle strutture sanitarie o delle competenze mediche e costituisce un mezzo adeguato e necessario per raggiungere tale scopo.

Il rifiuto della trasfusione - Nel caso risolto iIl figlio del ricorrente nel procedimento principale doveva subire un intervento a cuore aperto. Tale intervento era disponibile nello Stato membro di affiliazione di quest'ultimo, la Lettonia, ma non poteva essere realizzato senza trasfusione di sangue. Il ricorrente si è opposto a tale metodo di cura in quanto testimone di Geova e ha pertanto chiesto al Nacionālais veselības dienests (servizio sanitario nazionale lettone) di rilasciare un'autorizzazione che consentisse a suo figlio di beneficiare di cure mediche programmate in Polonia, dove l'operazione poteva essere effettuata senza trasfusione di sangue. Poiché la sua domanda è stata rifiutata, il ricorrente ha presentato ricorso avverso la decisione di rifiuto del servizio sanitario. Tale ricorso è stato respinto con una sentenza di primo grado, confermata poi in appello. Nel frattempo, il figlio del ricorrente nel procedimento principale è stato operato al cuore in Polonia, senza trasfusione di sangue. La causa giunta in Cassazione per affrontare il tema della legittimità del rifiuto ha spinto i giudici al rinvio pregiudiziale proprio per verificare la compatibilità di scelte nazionali che possono non tener conto delle convinzioni religiose del malato con la libertà di culto garantita dalla Costituzione della stessa Unione euroepa. Il giudice nazionale dovrà perciò verificare - alla luce dell'articolo 21 della Carta e della direttiva Ue sull'assistenza l'adeguatezza delle limitazioni imposte al cittadino europeo che per motivi religiosi evochi il proprio diritto a ottenere una cura consona al proprio credo, ma non fruibile nello Stato in cui risiede.

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