Immobili

No all’attività di mediazione dello studio che amministra immobili

Per i giudici si producono due danni: per i condòmini e per i potenziali acquirenti. I problemi crescono in modo esponenziale quando si amministrino molti edifici

di Annarita D'Ambrosio

Una nuova pronuncia si inserisce nell’annoso dibattito sulla compatibilità tra le figure di agente immobiliare ed amministratore di condominio. Nella sentenza emessa dal Tar dell’Emilia Romagna, sezione di Bologna, il 4 gennaio 2022, la numero 7, si affronta il caso di una società di amministrazione condominiale che svolgeva anche attività di mediazione, non a carattere prevalente.

In seguito alla ricezione di un esposto, il Mise aveva chiesto alla locale Camera di Commercio di valutare la concomitante attività e quest’ultima aveva ritenuto di precludere quella di mediazione, dato che la ditta amministrava 39 condomìni in maniera palesemente imprenditoriale. Si appellava a violazioni di normative europee in tema di discriminazione lo studio professionale che si rivolgeva al Tar per il riconoscimento di entrambe le attività. L’incompatibilità di quella di amministratore - si faceva notare - andrà valutata caso per caso e solo qualora l’immobile oggetto di mediazione fosse situato all’interno del condominio amministrato.

Ricorso infondato per il Tar, che accoglie le conclusioni raggiunte invece dalla Camera di Commercio. L’incompatibilità è generata dal carattere prevalente dell’attività di amministratore di condominio, esercitata in forma imprenditoriale. Non solo. Affiora anche il rischio che le unità immobiliari amministrate, in sede di mediazione, siano indebitamente “favorite” rispetto alla platea di quelle disponibili. In sostanza, il professionista che gestisce 39 condomìni può essere ragionevolmente indotto ad orientare i potenziali acquirenti verso i locali inseriti negli edifici che amministra, trascurando altre opportunità ugualmente interessanti. Il danno c’è però anche per i condòmini degli stessi palazzi amministrati. «Secondo la logica e l’esperienza comune» scrivono i giudici c’è « un pericolo concreto di conflitto di interessi ogni volta che uno degli appartamenti amministrati resti libero e venga messo in vendita, risultando verosimilmente preferita la ditta che amministra il palazzo rispetto ad altre».

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