Lavoro

Rider come dipendenti, il recesso passa dai licenziamenti collettivi

Il Tribunale di Firenze (ribaltando la decisione presa in sede monocratica) ha accolto il reclamo della Filcams-Cgil

di Giampiero Falasca

I rider che effettuano consegne per una piattaforma digitale devono essere considerati lavoratori subordinati, con la conseguenza che l’eventuale interruzione del loro rapporto di lavoro è soggetta alle regole sui licenziamenti collettivi, nel caso vengano superate le soglie dimensionali previste dalla legge. Sulla base di tale assunto, il Tribunale di Firenze (ribaltando la decisione presa in sede monocratica) ha accolto il reclamo della Filcams-Cgil e ha accertato la condotta antisindacale di una piattaforma che ha interrotto il rapporto di collaborazione con un numero rilevante di ciclofattorini privi di contratto di lavoro subordinato, senza esperire le procedure di informazione previste dal Ccnl terziario già applicato in azienda per il personale impiegatizio e senza applicare la legge 223/1991 che disciplina i licenziamenti collettivi. Tale decisione è destinata ad assestare un ulteriore duro colpo al modello di gestione dei rider imperniato sull’utilizzo di schemi contrattuali diversi dal lavoro subordinato, ma è coerente con le tendenze più recenti della giurisprudenza.

La vicenda nasce nel mese di ottobre 2020, subito dopo la firma da parte di Assodelivery (associazione di categoria che raggruppa le principali piattaforme) con il sindacato Ugl di un contratto collettivo destinato a disciplinare la prestazione dei ciclofattorini impiegati mediante contratti di lavoro autonomo. Dopo la firma di tale accordo, una piattaforma aderente ad Assodelivery ha scritto ai fattorini chiedendo di sottoscrivere un nuovo contratto di collaborazione come condizione essenziale per proseguire il rapporto.

Secondo il Tribunale, tale comunicazione avrebbe natura antisindacale per due motivi. In primo luogo, avendo un impatto su una platea molto vasta di lavoratori, un cambiamento così importante avrebbe dovuto essere comunicato alle organizzazioni sindacali nelle forme previste dal Ccnl terziario. In secondo luogo, la comunicazione non risulta legittima in quanto i collaboratori rientrano nell’articolo 2, comma 1, del Dlgs 81/2015, che ha introdotto
una sorta di presunzione di subordinazione per i rapporti di collaborazione assoggettati al potere organizzativo del committente.

Il Tribunale prende posizione anche sull’efficacia del contratto sottoscritto con Ugl. E lo fa in modo molto rigido, sostenendo che alcuni elementi fanno desumere la carenza di rappresentatività dell’associazione sindacale, accusata di una eccessiva «vicinanza» con le posizione datoriali, che emergerebbe da alcuni dati oggettivi (carenza di una vera trattativa, mancato confronto con i lavoratori, contenuto del contratto sostanzialmente ripetitivo degli accordi già usati dall’azienda).

A fronte di tali elementi, il Tribunale ordina la rimozione degli effetti della condotta antisindacale, mediante diversi atti: l’azienda deve svolgere l’informativa prevista dal Ccnl terziario, deve
applicare la legge 223/1991 in caso di interruzione
dei rapporti di collaborazione e deve cessare di applicare il Ccnl siglato con Ugl.

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