Penale

Ostia: Spada, le motivazioni del carcere per aggravante mafiosa

La Cassazione, sentenza n. 21530 depositata il 15 maggio (ma la decisione in Camera di consiglio è dell'8 febbraio scorso), ha respinto il ricorso di Roberto Spada confermando la custodia cautelare in carcere (per quello che viene considerato il numero due del clan Spada) a seguito dell'aggressione - percosse e minacce - al giornalista “Rai”, Daniele Piervincenzi, inviato della trasmissione “Nemo”, ed all'operatore che lo accompagnava. Una sentenza molto dura quella dei giudici di legittimità che confermano in toto la decisione del Tribunale del Riesame che aveva contestato le aggravanti dei “futili motivi” e soprattutto del “metodo mafioso”. Per la Cassazione le “lesioni” (frattura del setto nasale, a seguito di una testata, per Piervincenzi e traumi vari guaribili in sette giorni per il filmaker) sono state inflitte per costringere gli intervistatori ad allontanarsi, integrando così anche il reato di “violenza privata”, avvalendosi della forza intimidatrice del contesto delinquenziale.

Riguardo al metodo mafioso la Cassazione ricorda infatti che «la circostanza aggravante non presuppone necessariamente l'esistenza di un'associazione ex art. 416-bis c.p., né che l'agente ne faccia parte, essendo sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso». «Basta, cioè – prosegue la Corte -, che l'associazione appaia sullo sfondo, perché evocata dall'agente, sicché la vittima sia spinta ad adeguarsi al volere dell'aggressore - o ad abbandonare ogni velleità di difesa - per timore di più gravi conseguenze». In questo senso, si legge nella decisione, è dimostrato che Spada Roberto «si avvalse, nell'occasione, della forza di intimidazione promanante dall'associazione malavitosa imperante sul territorio, nota come clan Spada, ben presente alla mente dei giornalisti e ben nota agli abitanti del luogo, tant'è che alla stessa si fece riferimento, ripetutamente, nel corso dell'intervista, come soggetto collettivo in grado di influenzare le decisioni politiche assunte nell'ambito del quartiere».

«Poco importa, quindi - prosegue la decisione -, che l'esistenza di un “clan Spada” non sia stata ancora accertata giudizialmente, né che sia indimostrata, allo stato, la partecipazione di Spada Roberto allo stesso: infatti, per la sussistenza dell'aggravante, è sufficiente che un'associazione malavitosa - avente la caratteristiche di cui all'art. 416-bis c.p. - sia stata evocata e che della stessa l'indagato si sia consapevolmente avvalso per la perpetrazione dei reati che hanno determinato l'applicazione della misura nei suoi confronti». Riguardo infine all'attualità del pericolo, i giudici affermano che nelle ipotesi di contestazione dell'aggravante mafiosa è sufficiente che non via siano nuovi elementi “positivi” da valutare. In questo senso, «Spada non ha dato nessun segno di resipiscenza e non ha preso minimamente le distanze dal contesto delinquenziale di riferimento». Da qui la conferma della prognosi sfavorevole per il ricorrente «essendo dimostrato che non è in grado di contenere le pulsioni aggressive che maturano in lui finanche nelle situazioni di semplice disagio».

Corte di cassazione - Sentenza 15 maggio 2018 n. 21530

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