Penale

Scafisti, giurisdizione nazionale anche per l'intervento in acque internazionali

Francesco Machina Grifeo

Giurisdizione nazionale contro gli scafisti anche se il fermo dell'imbarcazione ed il soccorso dei migranti è avvenuto in acque internazionali. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza 28 aprile 2016 n. 17625, rigettando il ricorso di un uomo contro l'ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo che aveva confermato la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, aggravato dal numero e dall'aver esposto i migranti al pericolo di vita.

Le motivazioni del tribunale - Nella motivazione il tribunale afferma che un reato è perseguibile dal Giudice nazionale (art. 6 del c.p.) «purché nel territorio italiano sia avvenuto anche solo un frammento della condotta» e che «una qualsivoglia attività diretta a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni contenute nel Dlgs n. 286/98 rende perseguibile il fatto in Italia». E così era avvenuto nel caso affrontato considerato che «il motopeschereccio trasportante 356 migranti era stato soccorso in acque internazionali, su delega della Marina Militare italiana, su rotta diretta in Italia e il suo equipaggio era stato fatto sbarcare nel porto più vicino, quello di Trapani». Lo sbarco in Italia dunque «risultava callidamente programmato e realizzato inducendo una situazione di grave pericolo per la vita dei migranti, abbandonati in alto mare su un'imbarcazione di dimensioni e struttura inadeguate per proseguire la navigazione, che imponeva un immediato intervento di soccorso del Paese costiero più vicino, per l'appunto l'Italia».

La decisione della Suprema corte - Giudizio condiviso dalla Suprema corte secondo cui non può esservi alcun dubbio neppure sulla obbligatorietà dell'intervento di soccorso alla luce della giurisprudenza della Corte dei diritti dell'uomo (Ricorso 27765/09) e della Risoluzione 1821 (2011) dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa che si è espressa in termini di «obbligo sia morale che giuridico di soccorrere le persone in pericolo in mare senza il minimo indugio», e della necessità che tale obbligo sia «rispettato in occasione dell'esecuzione del controllo delle frontiere».

Per cui, prosegue la sentenza, sussiste la giurisdizione dello Stato italiano quando «almeno parti delle azioni che costituiscono il reato contestato risultano commesse in Italia, sia direttamente sia per interposizione dei soggetti chiamati a prestare soccorso e ricovero immediato, in Italia, ai migranti posti in deliberata situazione di pericolo». Da qui l'affermazione del seguente principio di diritto: «In tema di immigrazione clandestina, la giurisdizione nazionale è configurabile anche nel caso in cui il trasporto dei migranti, avvenuto in violazione dell'articolo 12 del Dlgs n. 286 del 1998 a bordo di una imbarcazione (nella specie, un gommone con oltre cento persone a bordo) priva di bandiera e, quindi, non appartenente ad alcuno Stato, secondo la previsione dell'articolo 110 della Convenzione di Montego Bay delle Nazioni Unite sul diritto del mare, sia stato accertato in acque extraterritoriali ma, successivamente, nelle acque interne e sul territorio nazionale si siano verificati quale evento del reato l'ingresso e lo sbarco dei cittadini extracomunitari per l'intervento dei soccorritori, quale esito previsto e voluto a causa delle condizioni del natante, dell'eccessivo carico e delle condizioni del mare».

Corte cassazione – Sezione I penale – Sentenza 28 aprile 2016 n. 17625

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