Civile

Divieto di tassazione speciale per le merci di origine Ue

di Matteo Mantovani e Benedetto Santacroce

Un soggetto pubblico italiano, a qualsiasi livello, non può introdurre nessuna forma di imposizione che colpisca i beni comunitari, creando così una distorsione del mercato interno. In questi termini si può sintetizzare la conclusione a cui è giunta la Corte di cassazione (sentenza 6087/2019), chiamata a decidere su una serie di ricorsi che lamentavano un’applicazione in violazione dei principi comunitari del diritto speciale da parte del Comune di Livigno, siccome imposto anche su merci comunitarie.

Per i giudici, il regolamento applicativo del diritto speciale di Livigno è illegittimo, nella parte in cui prevede l’assoggettamento a tassazione delle merci di origine comunitaria. Questo perché qualsiasi forma di imposizione fiscale negli scambi fra Stati membri configura una tassa equivalente ad un dazio doganale, vietata dal Trattato istitutivo dell’Ue.

La legge 762/1973 ha istituito a favore del Comune di Livigno un diritto speciale sui tabacchi lavorati e alcuni altri generi voluttuari introdotti dall’estero, quali alcolici, profumi e prodotti di bellezza, apparecchi fotografici, certi articoli di abbigliamento. Il Comune gestisce l’applicazione del tributo con un apposito regolamento attuativo. Quanto all’ambito oggettivo dell’imposizione, questo regolamento prevede che è soggetta al pagamento dei diritti speciali l’immissione nel Comune di Livigno dei suddetti generi «se introdotti dall’estero». Circa la definizione di estero valida a discriminare i prodotti sottoposti al tributo da quelli esclusi, il regolamento comunale, a seguito di una modifica recata nel 2007, stabilisce che si considerano introdotti dall’estero «tutti quei prodotti non provenienti dal territorio doganale nazionale». In altre parole, ai fini dell’applicazione del diritto speciale, il concetto di paese estero si estende sino a ricomprendere tutti i paesi diversi dall’Italia, ancorché comunitari.

Questo implica che sono assoggettate al prelievo le merci (anche di origine comunitaria), fuorché quelle introdotte dal territorio nazionale. Una tale interpretazione del concetto di estero è stata messa in discussione da un commerciante di Livigno che si opponeva ad una serie di atti recuperatori emessi a suo carico per il mancato pagamento del diritto in relazione all’introduzione nel territorio del Comune di beni di origine comunitaria. Nello specifico, l’azione recuperatoria era considerata viziata per via del peculiare significato attribuito dal Comune al concetto di estero che, in quanto inclusivo dei paesi dell’Ue, determinava l’instaurazione fra Stati membri di una tassa di effetto di equivalente ad un dazio doganale, vietata dal combinato disposto dell’articolo 23 e dell’articolo 25 del Trattato istitutivo della Comunità europea. Il Comune, invece, riteneva fondata la propria pretesa per via del carattere extraterritoriale di Livigno.

I giudici hanno condiviso le doglianze del contribuente. La Corte fa notare che Livigno è un territorio extradoganale e non è assoggettato alla normativa doganale comunitaria così come è escluso dall’applicazione dell’Iva. Tuttavia, l’extraterritorialità non vale ad escludere il Comune dal campo di applicazione dei trattati che deriva dal fatto che Livigno è parte della Repubblica italiana.

Pertanto, il Comune di Livigno non è legittimato ad imporre un prelievo fiscale su beni di origine comunitaria ancorché siano introdotti dal confine svizzero. In sostanza, il requisito oggettivo del prelievo dato dall’introduzione dall’estero dei suddetti beni può ritenersi sussistente solo con riferimento alle importazioni di beni originari di Paesi terzi rispetto agli Stati dell’Ue. Ne deriva che i commercianti di Livigno possono presentare istanza per il rimborso delle somme corrisposte in violazione di tali principi.

Corte di cassazione - Sentenza 6087/2019

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