Penale

Crollo Ventotene, confermate condanne sindaci, nuovo giudizio per funzionari

La Cassazione, sentenza 14550 del 29 marzo 2018, ha confermato le condanne per omicidio colposo – per non aver comunicato lo stato di pericolo all'Autorità di bacino, nonostante il precedente crollo del 2004 - dei due sindaci di Ventotene, Vito Biondo (fino al gennaio 2005) e Giuseppe Assenso (dall'aprile 2005), per la morte avvenuta il 20 aprile del 2010 di due giovani studentesse romane rimaste schiacciate a seguito del distacco di un masso dalla parete rocciosa di Cala Rossano mentre si trovavano in gita sulla spiaggia sottostante. I giudici hanno invece accolto il ricorso del dirigente del genio civile e del tecnico comunale disponendo un rinvio alla Corte di appello di Roma per un nuovo giudizio che dovrà supplire alla carenza di motivazione. In particolare, per il dirigente dell'Area decentrata di Latina l'obbligo di comunicazione all'Autorità, anche da parte delle strutture regionali, non era ancora in vigore all'epoca in cui si svolsero i lavori di sua competenza. E dunque il giudice del rinvio dovrà individuare una diversa fonte normativa per giustificarne la responsabilità. Mentre per il geometra comunale la posizione di garanzia, in assenza di una nomina dirigenziale, non poteva dedursi semplicemente dal ruolo di fatto svolto, essendo sempre necessario, chiarisce la Corte, in una materia quale la pianificazione idrogeologica individuare la fonte normativa della responsabilità. Ed anche qui occorrerà un supplemento di motivazione.

La Corte di appello aveva affermato che la zona era «chiaramente a rischio e da attenzionare», essendo «pacifico» che il crollo del 2004 «fosse di tipo del tutto analogo a quello verificatosi nel 2010, sia per entità che per localizzazione, e che comportasse in termini di pericolosità il possibile ripetersi dell'evento». Non solo la Corte territoriale aveva anche statuito l'immediata operatività delle norme che impongono la comunicazione del pericolo alle Autorità di bacino. Con la decisione depositata oggi i giudici di Piazza Cavour puntualizzano che la responsabilità dei due sindaci «discende in primo luogo dal ruolo di autorità locale in materia di protezione civile, con lo specifico compito di prevenzione di eventi rischiosi per la pubblica incolumità». Ma l'articolata decisione (70 pagine) fissa anche una serie di principi di diritto ai fini della individuazione delle responsabilità per danni da rischio idrogeologico. In particolare, in tema di “pianificazione” la Cassazione stabilisce che: «la materia del governo del territorio si articola in una pluralità di competenze settoriali che sono attribuite allo Stato ed agli Enti locali, nonché ad Autorità che operino in un ambito territoriale delimitato dalla morfologia dell'area d'interesse; conseguentemente, le funzioni amministrative di una pluralità di soggetti possono coesistere ed esplicarsi in un medesimo ambito territoriale in vista del governo del territorio».

Con riguardo poi ai criteri di individuazione dell'appartenenza al “demanio marittimo”, escluso nel caso di specie trattandosi di un costone arretrato rispetto alla spiaggia, il «criterio determinante è il profilo naturalistico, costituito dalla natura geomorfologica del terreno, unitamente a quello finalistico-funzionale, collegato all'attitudine del bene a realizzare il pubblico uso del mare». Ma, precisa la Cassazione, una diversa qualificazione sarebbe comunque ininfluente nel caso specifico considerato che «il corretto svolgimento da parte della Regione e del Comune di funzioni amministrative inerenti alla pianificazione idrogeologica ed alla materia turistico ricettiva e l'attribuzione al Sindaco di funzioni amministrative in materia di protezione civile comportano a carico degli amministratori degli Enti locali obblighi di controllo circa il sicuro accesso alla spiaggia dalla terraferma, non elisi dalla riserva allo Stato di funzioni amministrative sulle aree destinate ad uso pubblico inerente ai distinti interessi di difesa e sicurezza nazionale (identificate
con Dpcm 21 dicembre 1995)». Il Pai (Piano assetto idrogeologico), prosegue la Corte, prevede infatti «l'immediato obbligo per i Comuni di provvedere alla trasposizione cartografica dei limiti delle aree a diverso grado di pericolosità e delle aree di attenzione» ma anche «l'immediato obbligo di attivare le procedure di modifica della perimetrazione ove avessero riscontrato incongruenze tra la rappresentazione cartografica e lo stato dei luoghi, così da rendere operative le limitazioni imposte come misure di salvaguardia anche per quelle aree non ancora perimetrate».

In riferimento invece alle posizioni di garanzia all'interno della Pa, la Cassazione afferma che: «nell'ambito della pianificazione si riscontra la presenza di molteplici figure di garanti, la cui individuazione non può, tuttavia, prescindere da un'accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all'interno di ciascun Ufficio, con residuale rilievo a poteri di gestione e controllo di matrice prettamente fattuale». E questa è la ragione per cui i giudici hanno accolto il ricorso del geometra comunale. Infatti, prosegue, «in una materia quale la pianificazione idrogeologica, che amplia le maglie dell'obbligo impeditivo fino ad includervi norme procedimentali contenenti doveri di comunicazione e d'informazione che lambiscono il confine della cosiddetta soft law laddove non abbiano contenuto espressamente precettivo, l'attribuzione di posizioni di garanzia senza che ne sia stata indicata la fonte si riverbera in carenza del percorso motivazionale, che deve sempre essere improntato all'attribuzione della responsabilità per colpa omissiva nel rispetto del principio di legalità enunciato dall'art. 25 Cost., tanto più nel settore della pubblica amministrazione connotato da una predeterminata ripartizione di funzioni, competenze e poteri».

Infine, con riguardo al nesso di causalità, la Cassazione precisa che «il succedersi di garanti deve valutarsi alla stregua di una successione di aree di garanzia, per cui solo un errore nuovo, idoneo ad aprire nuovi scenari, nuove aree di rischio rispetto a quella innescata nello scenario di rischio in cui operava il primo garante, potrebbe sollevare dubbi sull'idoneità del comportamento alternativo corretto ad impedire l'evento». Così, al fine dell'osservanza delle regole cautelari, il dato di riferimento dell'agente modello «non è il percepito ma il percepibile con l'osservanza del livello di diligenza richiesto per il medesimo agente, al quale non si chiedono specifiche competenze in materia idrogeologica ma si chiede di segnalare la necessità che l'area interessata da precedenti frane sia sottoposta ad osservazione da parte di specialisti del settore ed interdetta al pubblico fino ad una compiuta valutazione del rischio». In altre parole, «di non adagiarsi su fatti già avvenuti in assenza di elementi di conoscenza che consentano di escludere ulteriori, più gravi, fenomeni».

Corte di cassazione - Sentenza 29 marzo 2018 n. 14550

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