Penale

Dentista incolpevole per l’allergia al paziente se non è chiaro il nesso di causalità

Giampaolo Piagnerelli

Il dentista non è tenuto a risarcire il paziente che abbia avuto delle reazioni allergiche a seguito di installazione di protesi dentarie, quando non sia certo il nesso di causalità. Lo precisa la Cassazione con la sentenza n. 17656/2016.

La vicenda e il contenzioso - La Corte si è trovata alle prese con una vicenda in cui una donna aveva denunciato il dentista perché secondo lei - a seguito di installazione di protesi contenti il nichel - le sarebbero insorte delle manifestazioni allergiche molto forti con lesioni personali gravi. In primo grado il tribunale di Messina aveva dato torto al professionista condannandolo per lesioni colpose poiché installando alla paziente numerosi protesi dentarie a base di nichel, consapevole dell'allergia al metallo da parte della paziente, le aveva causato una dermatite allergica.

La Corte d'appello, invece, ha assolto il dentista dal reato ascrittogli perché il fatto non costituiva reato.

I Supremi giudici hanno rilevato come fosse stato corretto il verdetto dei giudici di secondo grado e il ragionamento da essi seguito secondo cui in sulla base di una consulenza tecnica d'ufficio era emerso che la patologia insorta alla paziente non fosse sicuro che derivasse dal contatto con il nichel ma fosse con tutta probabilità una conseguenza di altra patologia meglio nota come sensibilità chimica multipla. Tutto ciò ha dunque messo in evidenza come l'evento potesse essere derivato con ragionevole grado di probabilità da diverse cause alternative e dunque alternativi decorsi causali.

Le conclusioni - Conclude la sentenza chiarendo che “in tema di controllo sulla motivazione il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni dell'ausiliario di una parte, in difformità da quelle della parte avversa non può essere gravato dell'obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell'esattezza scientifica delle prime e dell'erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni dell'ausiliario privilegiato, senza ignorare le argomentazioni contrarie, conseguendone la possibilità di ravvisare un vizio di motivazione solo nel caso in cui queste ultime siano tali da dimostrare in modo inconfutabile la fallacia delle conclusioni del primo”. Respinto, quindi, l'appello della paziente e assolto con formula diversa il medico. Non, quindi, perché “il fatto non costituisce reato” ma perché “il fatto non sussiste”.

Corte di cassazione – Sezione IV penale – Sentenza 28 aprile 2016 n. 17656

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©