Penale

Sulle intercettazioni “autoregolamento” uniforme e condiviso

Alberto Cisterna

I protocolli di autoregolamentazione, di cui si sono dotate alcune tra le più importanti procure della Repubblica nella materia delle intercettazioni, sono considerati da molti osservatori un buon viatico per porre rimedio a criticità che sono sotto gli occhi di tutti da parecchi anni ormai.

L'iniziativa del Csm e l'autoregolamentazione delle Procure - Secondo fonti di stampa nelle ultime settimane anche il Consiglio superiore della magistratura si sta lavorando anche sulle problematiche delle intercettazioni, per definire delle linee guida nazionali che - sintetizzando e integrando le circolari dei Procuratori di Roma, Torino e Napoli - saranno messe a disposizione di tutte le procure. L'obiettivo è quello di arrivare a un'autoregolamentazione uniforme e condivisa. (si veda Donatella Stasio, “Giustizia. In lizza per la Procura Greco, Nobili e Melillo. Csm, terna per Milano. Sulle intercettazioni in arrivo linee guida”, “Il Sole-24 Ore” del 15 aprile 2015). Nel frattempo, anche i procuratori Giuseppe Pignatone, Armando Spataro e Giovanni Colangelo sono stati convocati in audizione dalla commissione Giustizia del Senato, alle prese col Ddl sul processo penale e sulle intercettazioni (atto Senato n. 2067).

Ad aprire il filone dell'autoregolamentazione delle procure in materia è stata Roma, con la direttiva n. 1757 del 16 giugno 2015, recante “criteri direttivi in tema di intercettazioni di conversazioni tra l'indagato e il suo difensore”, a firma del Procuratore capo Giuseppe Pignatone. Successivamente, il 15 febbraio scorso la Procura di Torino ha emanato le Linee guida su “Modalità di deposito e rilascio copie su supporto magnetico o in cartaceo (inclusi i cosiddetti “brogliacci” redatti dalla polizia giudiziaria di registrazioni e/o trascrizioni di conversazioni telefoniche o ambientali, nonché di comunicazioni informatiche e telematiche”. Anche Napoli si è mossa il 16 febbraio 2016 con la direttiva della Procura n. 1/2016, recante “criteri direttivi in tema di intercettazioni inutilizzabili o irrilevanti nonché in tema di intercettazioni di conversazioni con i difensori”.

Prima di procedere alla disamina del contenuto di queste linee guida di Roma, Torino e Napoli è bene porre alcune questioni preliminari. La prima concerne il fondamento giuridico di questa potestà che i procuratori hanno inteso esercitare con questi provvedimenti. Nessuno degli atti cura di indicare alla stregua di quali disposizioni ordinamentali e/o processuali sia da ritenere in facoltà del procuratore della Repubblica “autointegrare” il corpus di norme codicistiche che regolano le captazioni. Ma un controllo in questa direzione pare pur sempre necessario al fine di poter delineare, anche, quali conseguenze possano derivare dalla violazione o semplice inosservanza di queste regole domestiche.

Il fondamento giuridico dell'autoregolamentazione - Orbene, innanzitutto, deve aversi riguardo all'articolo 4 del Dlgs 106/2006 (recante «Disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero») il quale sotto il titolo «impiego della polizia giudiziaria delle risorse finanziarie e tecnologiche» prevede che «Per assicurare l'efficienza dell'attività dell'ufficio, il procuratore della Repubblica può determinare i criteri generali ai quali i magistrati addetti all'ufficio devono attenersi nell'impiego della polizia giudiziaria, nell'uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l'ufficio può disporre … Ai fini di cui al comma 1, il procuratore della Repubblica può definire criteri generali da seguire per l'impostazione delle indagini in relazione a settori omogenei di procedimenti». E' una disposizione che, a un primo sguardo, ben si presta ad assicurare al procuratore capo la potestà di un intervento di questo genere, potendo certo annoverarsi tra i «criteri generali» da osservare «in relazione a settori omogenei di procedimenti» anche una linea guida che riguardi le indagini nelle quali si ricorre alle intercettazioni telefoniche o ambientali.
Secondariamente si pone il problema della tutela delle prerogative dei difensori (troppo volte intercettati nei colloqui in carcere con i propri assistiti). A questo riguardo, sempre il Dlgs 106/2006, detta una norma generale secondo cui «il procuratore della Repubblica assicura … il rispetto delle norme sul giusto processo da parte del suo ufficio», norme tra le quali occupa un posto di assoluto rilievo la salvaguardia del diritto di difesa e l'inviolabilità delle conversazioni tra difensore ed imputato.
In terzo luogo nulla esclude che tra le direttive che il pubblico ministero può impartire alla polizia giudiziaria (ad esempio, ex articolo 357 del Cpp) vi siano quelle inerenti talune attività complementari da svolgere nell'esecuzione, sempre delegata dal pm, delle attività di intercettazione.

Le conseguenze
- In linea generale il codice non consente al pubblico ministero di impartire disposizioni generali alla polizia giudiziaria, la quale – malgrado la direzione delle indagini competa all'ufficio di procura – ha spazi di autonomia che possono essere erosi solo attraverso una delega specifica (articolo) al compimento di singoli atti (come accade per le intercettazioni all'articolo 267, comma 4, del Cpp). Al di là di queste ipotesi è discutibile che questi provvedimenti abbiano un'efficacia vincolante, anche se è intuitiva la corposa moral suasion che essi esercitano sulla polizia giudiziaria. Quindi, in primo luogo, perché possa darsi responsabilità della polizia giudiziaria delegata all'esecuzione delle intercettazioni è forse indispensabile che il protocollo di autogestione sia espressamente menzionato nel decreto ex articolo 267, comma 3, del Cpp con cui il pubblico ministero devolve l'ascolto e ne fissa le modalità di esecuzione.
Secondariamente, vedremo, i codici di autoregolamentazione delle procure prevedono specifici oneri per i magistrati dell'ufficio inquirente nella trattazione dei risultati dell'attività di intercettazione e, a questo riguardo, soccorre probabilmente l'articolo 2, comma 1, lettera n), del Dlgs 109/2006 che appresta un'ipotesi di responsabilità disciplinare nella «reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e informatici adottate dagli organi competenti».
A questo, integrativamente, potrebbe accompagnarsi l'ulteriore fattispecie disciplinare di cui all'articolo 2, comma 1, lettera d) secondo cui costituiscono illecito «i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell'ambito dell'ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori». Il riferimento all'abitualità implica una reiterazione delle condotte, mentre il requisito della gravità potrebbe rendere sufficiente anche una sola attività di intercettazione che non sia rispondente ai canoni prescritti dal capo dell'ufficio (da notare che nella norma non vengono in considerazione i cosiddetti “terzi estranei” coinvolti dalle captazioni).
L'attivazione di questi dispositivi sanzionatori compete direttamente al procuratore della Repubblica (articolo 14, comma 4, decreto citato) e al procuratore generale presso la Corte d'appello in ragione delle ampie facoltà che gli sono riservate dall'articolo 6 Dlgs 106/2006 «al fine di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo, nonché il puntuale esercizio da parte dei procuratori della Repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici ai quali sono preposti, acquisisce dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto ed invia al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno annuale».
E' un circuito di vigilanza ancora in attesa di un definitivo collaudo (l'ultima riunione plenaria si è svolta presso la procura generale della Cassazione il 14-15 aprile 2016), ma che, allo stato, dovrebbe consentire ai procuratori generali presso le Corti d'appello di verificare il rispetto delle direttive di cui si discute in materia di intercettazione.
In definitiva una cornice non particolarmente rassicurante, poiché si esaurisce nell'inner circle dell'ufficio del pubblico ministero e, comunque, in una dimensione disciplinare che, di certo, non offre alcuna tutela per ai soggetti privati (imputato, difensore, terzo estraneo) i cui fondamentali diritti, spesso di rango costituzionale, sono intaccati dalle attività di intercettazione e dalle lamentate distorsioni applicative.
E', probabilmente, proprio questo il limite dei provvedimenti di autodisciplina di cui si discute: assicurare una sorta di protezione “paternalistica”, ossia dall'alto, delle posizioni giuridiche meritevoli di tutela senza che si abbia la possibilità di azionare in sede giurisdizionale rimedi specifici sul piano della nullità o della inutilizzabilità delle captazioni oltre quelli vigenti nel codice. Probabilmente è da ritenere che il privato, leso da condotte distoniche rispetto alle autodeterminazioni dei procuratori, possa agire per il risarcimento dei danni in sede civile, lamentando la violazione di queste direttive. Ma la questione resta sempre fuori dal perimetro del processo penale e, questo, è un limite insuperabile di questa autodichia del pubblico ministero.
In ogni caso la procura di Napoli ricorda che, laddove l'avviso di deposito ex articolo 268 del Cpp avvenga in uno con l'avviso di conclusione delle indagini ex articolo 415-bis del Cpp, «attivata tale procedura e fino al suo esaurimento, non verranno meno i divieti di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 114 c.p.p. e gli atti rimarranno processualmente segreti fino al momento in cui il giudice competente - e non il pubblico ministero - assumerà doverosamente, da un lato, le decisioni relative ad inutilizzabilità di atti o a manifesta irrilevanza di registrazioni e flussi di comunicazioni informatiche o telematiche contenenti dati sensibili di cui il pubblico ministero stesso abbia richiesto lo stralcio e, dall'altro, quelle relative ad eventuali richieste difensive di estrazione di copie dei medesimi». Circostanza, questa, che sinora non ha certo impedito la divulgazione di materiale investigativo coperto da segreto d'indagine, ma che è resa più cogente per il pubblico ministero sotto il cennato profilo disciplinare.

Lo scopo delle direttive
- I provvedimenti in esame non rispondono tutti alla medesima logica e traggono origine da contesti operativi non del tutto assimilabili.
Così la direttiva della procura di Napoli muove dalla considerazione che «con il presente provvedimento si intende, in primo luogo, dettare specifiche direttive al fine di evitare l'ingiustificata diffusione di conversazioni intercettate nel corso di indagini che siano del tutto estranee e irrilevanti ai fini della proficua conduzione delle stesse o addirittura inutilizzabili; in secondo luogo, analizzare gli adempimenti gravanti sul pubblico ministero al fine di distruggere le conversazioni inutilizzabili o senza alcun dubbio prive di qualsivoglia rilevanza penale, specie nel caso in cui la obbligatorietà di detta distruzione sia stata esplicitamente rimarcata dal legislatore».
La direttiva romana, a sua volta, è circoscritta alla formulazione di «criteri direttivi in tema di intercettazioni di conversazioni tra l'indagato e il suo difensore».
Il provvedimento della procura di Torino precisa, invece, che «la necessità di emanare le presenti linee guida trae occasione dalle considerazioni depositate da uno studio legale di Torino, in merito al rilascio di copie di dvd contenenti registrazioni di conversazioni telefoniche o tra presenti, nonché di comunicazioni informatiche telematiche ed in merito al pagamento dei relativi diritti. Tale problematica, però, ha indotto il procuratore a estendere il contenuto del presente provvedimento, dando indicazioni anche in ordine alle modalità di deposito e rilascio di copie su supporto magnetico o in cartaceo (inclusi i cosiddetti “brogliacci” redatti dalla polizia giudiziaria) delle suddette registrazioni.
Per quanto si tratti - infatti - di argomenti oggetto di comune esperienza e di recenti pronunce delle sezioni Unite e di varie sezioni penali della Corte di cassazione, le linee guida oggetto di questo provvedimento appaiono utili sia a seguito di alcuni quesiti prospettati da magistrati e dal responsabile dell'Ufficio intercettazioni di questa procura, sia in relazione al rilievo della materia che - pur considerando l'importanza delle intercettazioni come strumento d'indagine - presenta indubbi collegamenti con i temi della tutela della riservatezza e del diritto d'informazione, entrambi di rilevanza costituzionale».
Conseguentemente è la direttiva torinese a contenere un'ampia e articolata disciplina di dettaglio che, sostanzialmente, accompagna tutte le disposizioni codicistiche in materia di intercettazioni, offrendone un'interpretazione volta a meglio descrivere gli adempimenti che competono al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria e a curarne il corretto svolgimento.

Le direttrici del codice - Ovviamente tutti e tre i provvedimenti esaminano i profili di criticità dell'attività di intercettazione nella prospettiva dei rimedi azionabili dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria. Sarebbe stato impensabile che fossero concordate con gli organi giudicanti comuni intese regolatrici. Tuttavia non si può fare a meno di considerare che l'intercettazione viene solo “richiesta” dal pubblico ministero e che essa è e resta (al pari delle misure cautelari) un provvedimento del giudice. Tutte le procedure previste in autodisciplina considerano ovviamente questo dato che concentra, secondo il codice di rito, in capo al giudice il sindacato sulla legittimità, rilevanza e pertinenza delle captazioni “solo” raccolte dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero, a sua volta autorizzato dal Gip.
L'ampia manipolazione delle conversazioni - ovviamente sotto l'esclusivo profilo della loro selezione – è certo imposta dalla necessità di assicurare un governo alle registrazioni nella fase cruciale dell'impiego e del deposito a fini cautelari (si veda oltre) in cui non può trovare applicazione il complesso congegno previsto dall'articolo 268 del Cpp e ciò determina, come inevitabile risultato finale, che sul pubblico ministero si concentri una posizione di garanzia e di tutela di rilevanti posizioni soggettive che, secondo l'ordinamento, dovrebbe competere al giudice. A costui – invece – nella disciplina secondaria approntata dalle procure della Repubblica risulta affidato un ruolo che appare di mera ratifica e controllo “esteriore” sulle attività di polizia. La fonte di prova rappresentata dalle intercettazioni com'è noto - per la sua natura di “atto a sorpresa” - non prevede un contraddittorio anticipato per la sua assunzione. E, infatti, il contraddittorio si concentra per intero sulla fase successiva quando il complesso delle acquisizioni investigative scorre sotto il controllo del giudice (quanto al contenuto) e della difesa (quanto, anche, all'iniziale provvedimento autorizzativo). La centralità di questa fase è resa del tutto evidente dal diverso regime delle intercettazioni preventive di cui all'articolo 226 delle disposizioni di attuazione del Cpp (valevole ai sensi della legge 124/2007 anche per i servizi di intelligence), ove la totale inutilizzabilità del materiale raccolto esclude il controllo giurisdizionale sia nella fase dell'autorizzazione (rilasciata dal pubblico ministero o dal procuratore generale della Corte d'appello di Roma) che in quella del deposito dei risultati delle captazioni.
Quindi la selezione delle conversazioni rilevanti per il procedimento, secondo il codice, non può subire alcun intervento anteriormente all'incardinarsi di questo contraddittorio che l'articolo 268 del Cpp descrive in modo minuzioso e, in apparenza, insuscettibile di deroghe: ai difensori delle parti è immediatamente dato avviso che - entro il termine fissato dal pubblico ministero (comma 4) o entro quello prorogato dal giudice (comma 5), hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. Scaduto il termine, il giudice dispone l'acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non appaiano manifestamente irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione. Il pubblico ministero e i difensori hanno diritto di partecipare allo stralcio e sono avvisati almeno ventiquattro ore prima».
Compete, quindi, in esclusivo al giudice - in contraddittorio con le parti - escludere dal compendio delle conversazioni da acquisire e, poi, trascrivere, quelle che «appaiano manifestamente irrilevanti» e quelle «inutilizzabili» (ad esempio, perché intercorse con il difensore). Si badi bene: questo controllo non è onnicomprensivo, ma è circoscritto alle conversazioni «indicate dalle parti» cui compete – ciascuno secondo la propria angolazione – la segnalazione al giudice delle conversazioni ritenute utili ai fini di causa. Nel caso del pubblico ministero questo compito è quasi sempre affidato alla polizia giudiziaria che estrapola la comunicazioni indicate nell'informativa di reato.
La questione è, invece, problematica sul versante della difesa che potrebbe avere interesse all'acquisizione e trascrizione di altre conversazioni che la polizia giudiziaria non ha censito nei propri atti. Spesso, ma non sempre, ciò accade in buona fede, perché l'operatore addetto all'ascolto (che nei procedimenti di criminalità organizzata può essere anche solo un agente di polizia giudiziaria in deroga all'articolo 267, comma 4, del Cpp) non ha inteso la rilevanza di quella conversazione e perché non ne può percepire, in anticipo, l'efficacia dirimente per la posizione dell'imputato.
Per evitare che la difesa si sobbarchi il compito immane di ascoltare le conversazioni (come pure ha facoltà di fare, come visto), l'articolo 268, commi 1 e 2, del Cpp prevede che «le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale. Nel verbale è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate».
Questa trascrizione, anche sommaria, consegue il risultato di consentire un controllo sull'attività di intercettazione e di abilitare la difesa alla selezione di cui si è detto. In sé il meccanismo procedurale è perfetto (cfr. anche le guarentigie di custodia dell'articolo 89 delle disposizioni di attuazione del Cpp). Sennonché il problema è rappresentato dalle conversazioni che coinvolgono terzi ignari e/o gli stessi indagati per profili carenti di qualunque rilevanza e meritevoli di protezione (il provvedimento di Napoli prende correttamente in esame la tipologia dei “dati sensibili” previsti dall'articolo 4, lettera d), del Dlgs 30 giugno 2003. n. 196 cosiddetto “Codice della Privacy”, in particolare dati personali relativi a opinioni politiche o religiose, sfera sessuale, stato di salute). E' evidente che la trascrizione anche di queste comunicazioni sia dovuta e debba essere posta a disposizione delle parti: l'articolo 268 del Cpp è chiaro e inderogabile sul punto. Ma è altrettanto chiaro che devono escludersi da una completa trascrizione (spesso quella più imbarazzante e lesiva) le conversazioni che lo stesso articolo qualifica come «manifestamente irrilevanti» e quelle «inutilizzabili».
La locuzione «anche sommariamente» è direttamente correlata agli adempimenti successivi scanditi dall'articolo 268 del Cpp. Il codice, nella sua lettera e nella sua ratio, abilita la (o impone alla) la polizia giudiziaria a una trascrizione meramente sommaria, ossia sintetica, di quelle captazioni che non sopravvivrebbero al vaglio di cui al comma 6.
In questi termini le disposizioni non necessitano di alcuna eterointegrazione da parte del pubblico ministero, rappresentando un minimum prescrittivo di natura inderogabile.
Il precetto è chiaro: si trascriva, ma solo sommariamente, l'inutilizzabile o il manifestamente irrilevante in modo da consentire comunque un controllo alla difesa. La trascrizione integrale deve intendersi in questi casi interdetta alla polizia giudiziaria, poiché non conducente a nessuno degli adempimenti previsti dal codice di rito. L'esaurimento dell'illegittima prassi di trascrivere per intero conversazioni irrilevanti o inutilizzabili naturalmente comprimerebbe drasticamente la lesione della privacy dell'imputato o di terzi, atteso – come dire – lo scarso appeal mediatico di striminzite sintesi di polizia.

Le soluzioni proposte - Rispetto a questa soluzione che, sulla scorta del solo dettato normativo, valorizza una direttiva di orientamento alla polizia giudiziaria unicamente per i contenuti del verbale e per la completezza o meno delle trascrizioni (cosiddetti “brogliacci”), le direttive in commento attuano una più complessa manovra che distingue – è il caso delle procure di Napoli e di Torino – tra la fase cautelare e quella, per così dire, ordinaria in ragione degli adempimenti imposti (nel primo caso) dagli articoli 291, 293, 309 comma 5 e 310 del Cpp), largamente anticipatori della disciplina dettata dall'articolo 268 del Cpp. Anzi accade quasi sempre che il pubblico ministero abbia conseguito dal Gip l'autorizzazione a ritardare il deposito delle intercettazioni «non oltre la chiusura delle indagini preliminari» (articolo 268, comma 5, del Cpp), per cui l'intera procedura di discovery è dilazionata rispetto all'emissione della misura coercitiva.
Ed è questo il vacuum normativo che i provvedimenti organizzativi di Napoli e Torino intendono regolare. La direttiva partenopea prescrive ai pubblici ministeri che la selezione delle conversazioni da utilizzare nella fase custodiale «dovrà essere eventualmente compiuta dal pubblico ministero in un momento precedente, in quanto spetta al pubblico ministero selezionare, prima dell'invio al giudice competente degli atti posti a sostegno della richiesta di misura cautelare, il materiale acquisito (tra cui le trascrizioni o sintesi delle intercettazioni normalmente redatte della P.G sui cd. “brogliacci” ed i relativi supporti audio o informatici) di cui ritenga di dover tutelare la riservatezza per una delle seguenti ragioni: 1) per necessità di prosecuzione di indagini nello stesso procedimento o anche in altri procedimenti (quando ricorrano le condizioni previste dall'articolo 270 c.p.p.); 2) per inutilizzabilità a qualunque titolo, come - ad es. - nei casi di cui agli articoli 103, comma 5, c.p.p. (ovviamente quando l'avvocato non sia indagato e, ove lo sia, per conversazioni con suoi assistiti attinenti alle sue attività professionali); 270 bis c.p.p. (salvo che non ricorrano le condizioni di cui al comma 3 o il Presidente del Consiglio ne abbia autorizzato l'utilizzo o siano decorsi i termini di cui al comma 4 dell'articolo 270 bis c.p.p.), articolo 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140 contenente “Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato” (ovviamente considerando quanto deciso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 390 del 19 novembre 2007) o articolo 271 c.p.p.; 3) perché non pertinente all'accertamento delle responsabilità per i reati per cui si procede e contemporaneamente rientrante nella tipologia dei “dati sensibili” previsti dall'articolo 4 lett. d) d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196 (c.d. “Codice della Privacy”), in particolare dati personali relativi a opinioni politiche o religiose, sfera sessuale, stato di salute; 4) per assoluta non pertinenza rispetto ai reati per cui viene richiesta la misura cautelare, specie se si tratti di materiali riguardanti terze persone non indagate o non direttamente intercettate. Tale scelta, tranne nei casi di assoluta inutilizzabilità, non potrà mai portare in questa fase al mancato inoltro al Giudice, ai fini del successivo deposito, di trascrizioni e/o registrazioni di conversazioni e/o scambio di comunicazioni informatiche o telematiche astrattamente, anche se indirettamente, favorevoli all'indagato».

Come si vede la questione necessita di una regolamentazione che, per quanto possibile, anticipi le linee di intervento previste dall'articolo 268 del Cpp anche al fine di evitare che nella fase cautelare si utilizzino conversazioni che non supererebbero, poi, il vaglio del contraddittorio di cui al comma 5 citato.

In questa sede il pubblico ministero è chiamato a un esercizio di trasparenza e di correttezza che, ora, attraverso le direttive emanate, può trovare una sanzione sul piano disciplinare (come detto). E' evidente che l'accesso del difensore alle intercettazioni, ed ai relativi atti posti a fondamento della pretesa cautelare, si eserciterà nell'alveo di una scelta comunque discrezionale del pubblico ministero (e della polizia giudiziaria) e, appropriatamente, le direttive di Napoli e Torino auspicano che – al momento della richiesta cautelare – sia messo a disposizione l'intero materiale raccolto: «La selezione del materiale da non inviare al Giudice a sostegno della richiesta di misura cautelare deve quindi essere operata con criteri restrittivi ed, anzi, tendenzialmente, sarebbe auspicabile che i magistrati procedenti avessero esaurito tutte le indagini necessarie e conseguenti alle conversazioni registrate e/o a scambio di comunicazioni informatiche o telematiche prima dell'inoltro al giudice competente delle eventuali richieste di misure cautelari in modo da non precludere ai difensori l'accesso effettivo e la conoscenza – nella misura più ampia possibile - dei contenuti di tutte le comunicazioni acquisite agli atti del procedimento».
E' un indirizzo operativo che, naturalmente, non può condurre a un'indiscriminata discovery di tutte le conversioni con la relativa trascrizione integrale, essendo ovvio l'enorme nocumento che una tale opzione comporta per l'imputato e i terzi. Il criterio qui proposto della trascrizione “sommaria” recupera, allora, valore anche nella fase cautelare dovendosi pur sempre allegare le conversazioni “non utili” con una sintesi, la più stringata possibile, del loro contenuto.
Da questo punto di vista la direttiva della procura di Napoli prevede un regime di secretazione di queste ultime conversazioni ancora più stringente rispetto al disposto normativo in esame visto che prescrive nei «casi in cui durante la fase delle indagini preliminari si verifica l'acquisizione di conversazioni o comunicazioni inutilizzabili o irrilevanti e contemporaneamente contenenti dati sensibili sono numericamente esigui e perché gli organi di polizia giudiziaria cui il presente provvedimento viene pure inviato provvederanno (o continueranno a provvedere ove si tratti di prassi già attuata) ad indicare - nei brogliacci o nei verbali delle operazioni da loro redatti – l'avvenuta registrazione di tali conversazioni o comunicazioni, indicandone data ed ora, nonché gli apparati su cui la registrazione è intervenuta, senza alcuna sintesi delle conversazioni e comunicazioni e senza indicazione delle persone tra cui le stesse siano intervenute».
Del tutta identica l'indicazione operativa della procura della Repubblica di Torino. La direttiva della procura di Roma prevede invece, con riguardo al caso dei colloqui tra imputato e difensore, che «le conversazioni non dovranno essere riportate nei brogliacci redatti dalla polizia giudiziaria, nei quali verrà apposta la annotazione “conversazione con il difensore non utilizzabile”, né potranno, di conseguenza, essere riportate nelle informative, comprese quelle redatte a supporto delle richieste di autorizzazione e di proroga delle intercettazioni, né potranno essere utilizzate dal magistrato procedente per fondare richieste al giudice». Un quid pluris rispetto alla soluzione napoletana.

Per gli approfondimenti si veda Guida al diritto n. 20 del 7 maggio 2016

Intercettazioni - Linee Guida Procura di Napoli

Intercettazioni - Linee Guida Procura di Torino

Intercettazioni - Linee Guida Procura di Roma

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