Comunitario e Internazionale

Dl Brexit, limiti alla raccolta per le banche inglesi

di Luigi Belluzzo e Valerio Vallefuoco

Il decreto legge n. 22 (il cosiddetto decreto Brexit), pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 71 dell’altro ieri, introduce una serie di disposizioni la cui finalità è, tra le altre, assicurare la sicurezza, la stabilità finanziaria e l’integrità dei mercati qualora si pervenga a una “hard Brexit”, ossia a una uscita del Regno Unito dall’Unione Europea senza accordi.

Il decreto gestisce il periodo transitorio di 18 mesi che parte dal giorno in cui avrà effetto il recesso del Regno Unito dall’Unione europea in assenza di un accordo ai sensi dell’articolo 50 del Trattato sulla Ue, indicando quali effetti possa avere il “no-deal” sull’operatività degli intermediari bancari e assicurativi, soprattutto con riguardo ai loro rapporti con la clientela.

Per quanto riguarda le banche residenti nel Regno Unito, queste potranno continuare a svolgere le attività ammesse al mutuo riconoscimento, previa notifica alla Banca d’Italia: tra queste attività rientrano, ad esempio, le operazioni di prestito, il leasing finanziario, la prestazione di servizi di pagamento, il rilascio di garanzie e così via.

Le limitazioni all’operatività sono diverse se le banche residenti nel Regno Unito operano in Italia al momento del recesso in regime di libera prestazione di servizi (Lps) o attraverso una succursale. Qualora si operi in regime di Lps, una specifica limitazione viene prevista per l’attività di raccolta del risparmio e per la prestazione di servizi e attività di investimento: la prima potrà essere svolta solo per quanto necessario alla gestione dei rapporti già esistenti data di recesso, né sarà permesso concludere nuovi contratti o rinnovare – anche tacitamente - quelli esistenti; la seconda potrà essere svolta solamente nei confronti delle controparti qualificate e dei clienti professionali. Se invece queste attività sono svolte mediante succursali, le banche possono continuare a svolgerle sempre previa notifica alle autorità competenti, notifica che deve avvenire almeno tre giorni lavorativi prima della data di “hard Brexit”.

Mentre per i soggetti finora ricordati (e per le attività indicate) è possibile continuare ad operare durante il periodo transitorio, per altri l’attività dovrà cessare entro la data di uscita.

Si tratta degli istituti di pagamento, dei gestori di fondi, degli Oicr del Regno Unito che operano sul territorio della Repubblica, nonché gli istituti di moneta elettronica che operano in regime di Lps o tramite agenti o soggetti convenzionati. Anche le banche e le imprese di investimento dovranno cessare la prestazione di servizi di investimento, in regime di Lps, a favore di clienti al dettaglio e di clienti professionali su richiesta.

Ovviamente, per evitare conseguenze negative sulla clientela, viene dato tempo (sei mesi dalla data del recesso) per chiudere ordinatamente i rapporti in essere. La cessazione dell’attività è prevista anche per le banche, gli Imel (istituti di moneta elettronica) e le imprese di investimento che possono operare durante il periodo transitorio, qualora non presentino le notifiche e le istanze di prosecuzione dell’attività durante e oltre tale periodo.

Cosa accadrà al termine del periodo transitorio? Le banche residenti nel Regno Unito che volessero continuare a operare in Italia dovranno richiedere l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività. In alternativa, potranno interpellare le autorità competenti per operare attraverso una società da loro controllata. Molte banche e intermediarti finanziari del Regno Unito hanno costituito o costituiranno succursali in Paesi membri dell’Ue e opereranno in tutta Europa - in Lps o tramite branch – partendo da quel Paese. Questa situazione sta premiando giurisdizioni come l’Irlanda, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, la Francia e la Germania che hanno già fatto un mirato marketing territoriale e regolamentare.

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