Civile

Definizione agevolata sulla successione solo se la rettifica è operata dall'Ufficio

Giampaolo Piagnerelli

La maggiore pretesa dell'Ufficio dell'imposta di successione può esser oggetto di condono. A patto però che l'accertamento derivi da una rettifica effettuata dal Fisco e non dalla dichiarazione di standard e parametri forniti dal contribuente stesso. Questo in estrema sintesi il contenuto della sentenza della Cassazione n. 24022/2015.

I fatti - La vicenda finita sul tavolo della Corte è piuttosto complessa con l'impugnazione di un avviso notificato a fine dicembre 2004 con il quale l'ufficio del Registro chiedeva il pagamento dell'imposta complementare derivante dall'accertamento di un maggior valore di alcuni immobili compresi nell'asse ereditario finito nella disponibilità del contribuente. Quest'ultimo aveva eccepito di aver ricevuto in precedenza (14 novembre 2002) notifica dell'avviso di liquidazione dell'imposta principale per la successione, avviso impugnato in relazione all'an e al quantum e successivamente oggetto di domanda di definizione come previsto dall'articolo 16 della legge 289/2002. La sanatoria era stata negata dall'amministrazione con provvedimento che il contribuente aveva impugnato ottenendo una pronuncia che dichiarava condonabile la lite. Conseguentemente, accertato il passaggio in giudicato di tale pronuncia, la lite veniva definita, sulla non opposizione dell'Ufficio, con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

La sentenza della Commissione - La Commissione adita in particolare aveva ritenuto che la definizione del condono della lite relativa all'imposta principale di successione avesse effetto anche nei confronti dell'imposta complementare, privando così l'Ufficio del potere di rettificare i valori dichiarati nella denuncia di successione. L'appello dell'Ufficio era stato rigettato ritenendo che la sanatoria fosse stata efficace anche nei confronti dell'imposta complementare. L'avvenuta definizione della controversia sull'imposta principale, infatti, oltre a riconoscere in ogni caso la congruità di valori dichiarati rispetto a quelli accertati spiegava la sua efficacia anche nei confronti dell'imposta complementare. La Cassazione si è schierata con il contribuente ricordando un precedente insegnamento giurisprudenziale in base al quale nel condono fiscale esulano dalla possibilità di definizione agevolata (ex articolo 16 della legge 289/2002) soltanto le controversie che hanno per oggetto provvedimenti di mera liquidazione del tributo, emanati senza il previo esercizio di un potere discrezionale a opera dell'Amministrazione, cioè senza accertamento o rettifica e senza applicazione di sanzioni. Rientra quindi nell'ambito applicativo del beneficio dell'impugnazione dell'avviso di liquidazione dell'imposta di successione, il quale comporta sempre una previa valutazione da parte dell'ufficio finanziario, della congruità dei valori e dell'effettiva esistenza delle passività dichiarate.

Corte di cassazione - Sezione tributaria - Sentenza 25 novembre 2015 n. 24022

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